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La musica di Howard Shore

Ultimo Aggiornamento: 11/06/2010 14:19
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Post: 529
Sesso: Maschile
09/03/2008 21:35


HOWARD SHORE - EASTERN PROMISES ORIGINAL SOUNDTRACK


È un assolo di violino che apre, con tono dolente, l’intenso score scomposto da Howard Shore per Eastern Promises. Un incipit straziato costruito su una serie discendente di quattro toni che costruisce la pietra angolare di tutta la composizione, il centro propulsivo chiuso e mesto di un discorso musicale che non sembra riuscire a trovare alcuna forma di sviluppo che non sia anche una specie di involuzione. Il breve tema, infatti, pare non trovare altra strada che la reiterazione ostinata di se stesso.
Un percorso musicale, quello che segna i primi secondi dell’opera, che Shore aveva già sperimentato nella colonna sonora de Il Signore degli Anelli: Le Due Torri, più specificamente nei brani che erano palesemente dedicati al personaggio involuto e dedalico di Gollum.
L’hobbit maledetto e consumato dall’anello e Nikolai vittima e carnefice del potere esercitato dalla Mafia russa: due figure che si incontrano musicalmente e si riconoscono in una stessa discesa agli inferi, ineluttabile e profondamente tragica.
Mentre Gollum, però, trova, nelle note di Shore, spiccati accenti melodrammatici, Nikolai, nel più contenuto film cronenberghiano, vive di una musica che si muove tra il paradosso dell’estrema contabilità della parte violinistica e l’estrema concentrazione tematica prevista da una partitura incredibilmente povera sotto il profilo melodico. Come se la propensione al canto nostalgico dovesse accontentarsi della sua sola ripetizione, mentre, a cambiare, è esclusivamente la sua veste sonora o il suo rapporto col resto dell’orchestra.
Il primo track (Eastern Promises) è, in questo senso, esemplare. Alla prima perorazione del violino che si svolge nel silenzio del resto dell’orchestra segue, infatti, una sorta di ponticello costituito dalla ripetizione ostinata di una doppietta di note affidate, questa volta, al timbro del clarinetto, mentre l’orchestra entra in campo con un discreto pizzicato degli archi cui si aggiungono i timbri ovattati di dulcimer e mandolino. La reiterazione invariata del gruppo tematico (sempre affidato al violino) ha luogo subito dopo, ma la sua contabilità espressiva è intensificata dall’intervento del pizzicato degli archi che dona al tutto un sapore decisamente più tormentato, ma anche meno ambiguo. Dopo un ennesimo ponticello sempre affidato al timbro suadente del clarinetto (che lavora questa volta su gruppi di quattro toni) ha luogo la terza ripetizione del nucleo melodico. Questa volta, però, l’orchestra non si limita a sostenere il tutto con il proprio tappeto armonico, ma interviene direttamente con l’inserto di effetti di eco tra il violino solista e gli archi, mentre cominciano a prendere spazio, in secondo piano, delle voci autonome che contrappuntano l’esposizione del materiale tematico. L’unica “vera” variazione della linea melodica arriva solo vero la fine della prima parte della traccia, quando una serie di ornamentazioni impreziosisce la scabra esposizione del tema principale.
Nella seconda parte della traccia, infine, la contabilità viene definitivamente abbandonata a favore di una costruzione accordale tipicamente shoriana con un succedersi di masse di suono che, da una parte, ricordano le composizioni dell’autore per i primi film di Cronenberg e, dall’altra, attivano assonanze con il brano di apertura delle musiche de Il silenzio degli innocenti (altra pellicola che potrebbe attivare paralleli fruttuosi con l’ultimo lavoro del regista canadese).
Altrettanto pregnante, sotto un profilo compositivo, anche il track 2 (Tatiana) che, con l’andamento singhiozzante degli archi di sostegno al violino solo, assume i tratti di un adagio da concerto ottocentesco. Il brano ha un andamento piuttosto rapsodico: ad una prima parte sognante segue, dapprima una cadenza solistica che sfrutta il suono pieno di due corde, poi una variazione del tema dal ritmo saltellante e, infine, declina in una riapparizione ancor più dolente del tema principale di Eastern Promises.
Di qui in poi la composizione prende la strada piana di una serie di brani che, incredibilmente, si mantengono nel solco dell’aura malinconica così magistralmente evocata nelle prime due tracce. Pathos e dramma vengono, infatti, sfiorati solo nella seconda parte della colonna sonora (quella per intenderci che comincia dopo il track 7 Slavery and suffering, non a caso un coro tradizionale chiaramente non composto da Shore). Di lì in poi le soluzioni sono molto varie: dal ritmo di tango che apre il track 10 (Anna Khirova), al cupo incedere del track 12 (Nine elms) dove l’orchestra si riunisce in minacciosi unisono strumentali che si contrappongono al timbro brunito di un violino spesso costretto in regioni molto gravi e ai toccanti interventi del clarinetto; dalle minacciose dissonanze orchestrali che danno il la al triste incedere di Kiril (track 9) fino al magistrale brano di chiusura (Trans-Siberian Diary) in cui la scrittura sembra agitata da un’energia più rabbiosa garantita dall’ostinato degli archi, dal supporto profondo degli inserti dei corni e dalla finale apertura del gruppo di quattro note verso qualcosa che sembra, finalmente, riempirsi di speranza.
Alessandro Izzi, close-up.it
[Modificato da |Painter| 11/06/2010 14:19]
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