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RECENSIONI - Rassegna Stampa / 5

Ultimo Aggiornamento: 23/04/2011 10:21
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Sesso: Maschile
09/03/2008 21:22


RASSEGNA STAMPA PARTE 5


Dennis Cleg, di fronte: la parte anteriore del suo cervello, la parte "pubblica", è quella di un uomo di trentatré anni, matricida, schizofrenico. Sul retro, nel buco più nascosto della sua mente sfaldata, vive Spider: il ragazzo che un giorno non ha più visto sua madre, e al suo posto ha trovato una volgare sgualdrina. Spider di Patrick McGrath è un romanzo narrativamente complesso: i piani temporali sono continuamente sfasati; per questo motivo il protagonista, il cui soprannome dà titolo all'opera, nello sforzo di ricostruire il proprio tragico passato, la catastrofe che lo ha condotto al manicomio di Ganderhill, si aggira tra passato e presente, testimone e soggetto della propria vicenda. Spider tiene un diario, in cui annota le proprie ricostruzioni, a notte. Ma più che scrivere, egli ha la sensazione di "essere scritto", quasi alla maniera di un medium o lucernario che proietti intorno a sé ricordi ed emozioni. Maggior pregio del romanzo, a mio avviso, proprio l'immersione nella mente del protagonista: attento narratore, quest'ultimo, degli sconvolgimenti della propria mente mutila: delle proprie paranoie, allucinazioni, dei commoventi ricordi e speranze. Più livelli di passato dunque, che diventano presente proprio in quanto è l'occhio - la voce - dell'uomo a discoprirli: presente è il tragico autunno-inverno di vent'anni prima, come presente è il lungo soggiorno a Ganderhill; confusi ciò che è stato e ciò che va diventando, a parlare è ora lo Spider che annota il diario, ora il ragazzino del 1937. Queste le premesse: un uomo e il suo incubo; l'incubo della propria mente, del segreto della propria personalità, del verme bianco che si annida nelle profondità della disperazione. David Cronenberg accetta di trarre un film dal racconto di Dennis Cleg: potrebbe esistere regista più adatto? a descrivere - analizzare - l'inferno ribollente all'interno di un corpo? Nasce Spider, uscito a gennaio di quest'anno, attesissimo. In realtà fu Ralph Fiennes a insistere perchè un film venisse tradotto dal romanzo di McGrath; rimasto folgorato dal protagonista del libro l'attore irlandese volle a tutti i costi interpretarne la sofferenza sullo schermo: A ragione, a giudicare ora dal suo risultato. McGrath riprese in mano l'opera, riscrivendola e sceneggiandola per il cinema. Cronenberg si trovò dunque in mano un soggetto e una sceneggiatura altrui: a questo non era abituato. Come il romanzo, anche lo Spider cronenberghiano segue una sorta di soggettiva: onnisciente è il narratore in entrambi i casi; anche quando il protagonista si aggira tra i propri ricordi, noi siamo con lui presenti agli avvenimenti, reali o meno. In realtà la narrazione è una lunga, ossessiva testimonianza dei processi di una mente straziata: lo stesso Dennis/Spider deve probabilmente vedersi anche dall'esterno, nel suo doloroso delirio. Questa cupa immersione era il fascino del romanzo: come il protagonista, fragile "come una lampadina, che protegge il debole filamento interno" anche il lettore non sa più distinguere tra verità e delirio, tra incubo e realtà. Tra questi ultimi non vi è nessuna divisione. Dunque splendide e terrificanti sono le pagine in cui Dennis/Spider descrive le proprie sensazioni, ciò che vede e ode, ciò che muta improvvisamente intorno a lui e all'interno del suo stesso corpo. Ad esempio, suo padre e la sgualdrina usurpatrice assumono, nel buio della cucina, spaventosi tratti animaleschi: solo a luccicare gli occhi e i denti; convinto che i due vogliano divorarlo, Spider li vede sbavare mentre sente i loro occhi su di sé; una patata inizia a sanguinare durante un pranzo, mentre la luce sopra al tavolo prende a produrre un suono ronzante, affievolendosi. Tali episodi ricorrono di continuo nel romanzo, a sottolinearne un lato orrorifico - fantastico assai sviluppato. L'intreccio, in fin dei conti, è poca cosa; è il pretesto per il tentativo di McGrath di dare uno sguardo agli incerti contorni della tenebra dell'esistere. È questo, a mio avviso, ciò che nell'opera di Cronenberg fa sentire la propria assenza: se visivamente il film è impeccabile, se le atmosfere opprimenti del ruinoso East End londinese sono rievocate con successo, se - ancora - Fiennes è grandioso nel suo dar vita al "povero vecchio Spider", alla fine della proiezione si rimane insoddisfatti: l'intreccio si è risolto, il passato ricostruito, eppure non era questo che aspettavamo; era qualcosa che, dopo aver letto l'opera originaria, si può riconoscere nell'"incubo mancato": era Cronenberg, dopotutto. Al contrario il film privilegia l'aspetto "psichiatrico" della vicenda; sono riprodotte le atmosfere ambientali, non quelle mentali; forse la voce fuori campo di Spider narratore avrebbe in parte potuto colmare questa mancanza. D'altronde è stato McGrath a sceneggiare il suo stesso romanzo; chissà, forse Cronenberg si sarebbe divertito a girare altre scene.
I fili che Dennis/Spider tesse nella sua stanza, nel suo nido ragnesco, non sono ancora presenti nel romanzo: il ragazzino è chiamato "Spider" dalla madre per la sua tendenza a cacciarsi in luoghi angusti e nascosti; il finale è diverso: forse per movimentare un pò l'azione, nel film il protagonista arriva quasi ad assassinare la pensionaria presso cui dimora; nel libro, semplicemente, il povero Spider prende quella corda che aveva nominato tante pagine prima, e sale le scale, va in soffitta; per non sentire mai più quelle voci che nel buio mormoravano alla sua mente, invertendo il suo nome: "gelc sinned gelc sinned gelc SINNED..."
"Sì, era opera sua, gelc aveva peccato ben bene.", riconosce poi.
Ciao, Spider: da una parte torni a Ganderhill: dall'altra vai a riabbracciare la tua dolce, fragile madre.
Mario Bonaldi, hideout.it



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Ecco un film di quelli che lasciano lì a chiedersi se ci è piaciuto o no. Ci si mette tempo a digerirlo, a capirlo e a ripercorrerlo.
Tempo.
Del resto è tutta questione di tempo; quello che, con pazienza, aspetta il ragno rintanato nella sua tana dopo avere teso la ragnatela. E “ci va il tempo che ci va” anche ad entrare in questo film intricato e lento, tra le brume ed i grigio-verdi di una fotografia ipnotica ed irreale, che apparentemente non fa nulla per catturare la nostra attenzione: se ne sta lì, in un angolo, lasciando che sia lo spettatore ad affondare nella trama. Cronenberg rinuncia a tutti gli effetti (speciali e non) di cui il suo cinema è da sempre straordinariamente fatto, e sembra affidarsi solo ed esclusivamente alla sceneggiatura di McGrath, che è anche l’autore del romanzo da cui il film è tratto. Una regia immobile che nasconde, come l’inazione dei malati di mente, processi mentali incredibilmente complessi, ragionamenti di impressionante arditezza, un super-lavoro delle cellule cerebrali che costruiscono e distruggono instancabilmente castelli e cattedrali di idee.
Dal momento del suo arrivo in quella città senza tempo, un non-luogo riconoscibile da una serie di riferimenti anonimi (una stazione ferroviaria come ce ne sono a migliaia, un edificio grigio ed impersonale, un gazometro inquietante come quelli di ogni città, degli orti suburbani che sembrano tristi e irrealizzati desideri di una vita più vera), Spider (Ralph Fiennes) in fondo non fa altro che rimanere immobile ripercorrendo il suo passato che va annotando, con scarabocchi monotoni, su un diario segreto. È dai suoi polsi di malato mentale in regime di libertà vigilata che parte la ragnatela del flash-back, viscida ed appiccicosa come al solito: lo spettatore è invitato ad entrare, come il protagonista stesso, nella proiezione del passato, a scoprire un bambino timido e solo, il suo rapporto di dipendenza dalla madre, i piccoli screzi tra i genitori che ai suoi occhi devono sembrare di una crudeltà insopportabile; poi la ragnatela si fa più fitta, più avvolgente, nel mostrare il padre che, in collaborazione con l’amante, uccide la moglie e la sotterra in un orto, e la reazione del piccolo ragno, ferito e vendicativo, che decide di uccidere la nuova madre servendosi di un ingegnoso meccanismo costruito con lo spago. Anche quando la realtà all’apparenza non sembra affatto semplice, non è detto che non possa essere ancora più complicata; il procedimento che aveva portato lentamente ad oggettivare la visione del protagonista viene bruscamente interrotto e invertito. Cronenberg prende in prestito da David Linch tutto il suo armamentario di fili che sembrano fatti apposta per avvolgere nell’incomprensione, o nella comprensione che può nascere solo da un’interpretazione personale e fallibilissima, e dissemina la seconda parte del film di personaggi che cambiano l’interprete e altre trappole più o meno consentite dalla legge. Si finisce in un labirinto molto simile a Lynch, come detto, ma che ricorda da vicino anche quello che accadeva con la visione di A Beautiful Mind di Ron Howard, altro film in cui lo spettatore veniva recluso, senza saperlo, all’interno della mente di uno schizofrenico e prendendo per buono e reale, da lì, tutto quello che accadeva; un viaggio della mente nella mente. Là si riusciva ad avere una visione perfetta della schizofrenia, trasformata in cinema e metaforizzata attraverso l’unica macchina, escluso il nostro cervello, in grado di costruire universi, fatti e persone inesistenti; qui si finisce per compartecipare al procedimento mentale che porta il protagonista a compiere il suo delitto, pensando, vedendo ed interpretando la realtà per suo tramite.
Svegliandosi da questo delirio lucido non resta che attendere per comprendere i motivi del (nostro) gesto; ci vuole tempo, molto tempo, per giustificarsi ed accettarsi come assassini.
Ludovico Bonora, ilcinemante.com



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Sono cosciente di dispiacere a molti amici cinefili (ed anch’io lo sono a mia volta) ma sono convinto che Spider costituisca il film meno riuscito (o comunque uno dei più deboli) nella gloriosissima carriera di David Cronenberg. E così, con amaro disappunto, scrivo questa recensioncina risentita, in attesa, me lo auguro, di infiammarmi al prossimo film. Beckett riletto da Freud - con questa formula ad effetto il regista canadese ha descritto l’essenza di questo Kammerspiel tratto (e sceneggiato dallo stesso autore) dall’omonimo racconto di Patrick McGrath. Ma così come lo scrittore londinese non è certo del calibro di William Bourroughs, anche Spider non è The Naked Lunch (1992), di cui a dieci anni di stanza condivide, nell’incipit della narrazione, la natura oscura di un incubo prolungato e labirintico. Ancora uno psicodramma, quindi, com’è ovvio aspettarsi dal film-maker Cronenberg, ma semplificato, denaturato, sterilizzato, reso quasi un semplice spettacolino da palcoscenico teatrale. Siamo in una topaia dell’ East End a Londra, dove torna un uomo profondamente disturbato sul piano mentale: a contatto con l’ambiente natio, inizia a rievocare i traumi della sua infanzia, in particolare la tragica morte della madre, avvenimento che tende a sovrapporre con personaggi del presente. Sulla base di questo labile canovaccio, Spider allora - privo com’è anche di qualunque suspense o mistero sottocutaneo dato che qualunque spettatore un poco attento può immediatamente individuare i termini della problematica del double - si riduce ad essere nella sostanza una prova d’attore. Dove domina, in una galleria di contorcimenti mimici, l’istrionico talento di Ralph Fiennes che fa da padrone assoluto sulla scena, insieme ai toni marci della fotografia, questa sì splendida, del mago Peter Suschitzky, abituale compagno di avventure visive dell’ultimo Cronenberg. Tutto il resto - a partire dai flash-back, dagli insert di passato con la coppia Miranda Richardson-Gabriel Byrne nei panni dei genitori del protagonista - passa in secondo piano, così come il film che si rivela, malgrado il presunto mistero del protagonista, ad una sola dimensione. Viene allora a cadere quella celebre “doppiezza”, quel senso di spaesamento e di oscura riflessione sull’Esistente che ha reso il cinema del film-maker di Toronto unico ed inimitabile, mentre qui, invece, sembra che al suo posto sia all’opera un fiacco ed imbolsito allievo di bottega. Mentre il vero maestro torna a palesarsi solo in parchi momenti quando - lo stile non è acqua - ci restituisce il glamour di sempre.
Giovanni Spagnoletti, close-up.it



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“Gli abiti fanno l’uomo. Meno c’è l’uomo più cresce il bisogno dell’abito”.
Poche gelide parole biascicate, farfugliate sommessamente nella confusione e nel disorientamento tradotti dal gelo di uno sguardo assente e proiettato all’indietro, nel doloroso passato, fatto di immagini indelebili e sfocate che si sovrappongono all’apparente realtà contingente per riprendere il filo di quella tela intessuta di agghiaccianti angosce e solitudini incolmabili. Viaggio nel labirinto intricato della mente, percorso a passi lenti ed insicuri come quelli di chi ritorna sulla scena madre della propria esistenza perdendosi nei corridoi dei ricordi presunti. Violenta e indolente “toccata e fuga”, quella di Cronenberg, che si accosta pericolosamente ad una psiche deragliata dalla vita e dalla percezione del tempo e dello spazio che costituiscono la realtà oggettiva. Vortice abbagliante, impetuoso ed affascinante in forma di indifesa ed inerme disperazione, soffocata da quella ossessione grafomane che si scopre rivelatrice della necessità di un ordine nel marasma dei fili di uno Spider malato e melanconico, adulto eppure ancora bambino, reso perfettamente, nella sua fragilità, dalla eccellente interpretazione dell’ottimo Fiennes: semplicemente superbo nella scena della vasca da bagno, raggomitolato in posizione fetale, una scena che, da sola, racchiude il significato dell’intera pellicola. Il ritmo lento ed incessante delle riprese, il suono lontano e cadenzato della perfetta colonna sonora, la grigia e incombente tristezza della vecchia Londra esprimono nettamente, con algida armonia, il grido di dolore, violentemente soffocato nel totale straniamento degli occhi di un uomo-ragno che, da predatore, diventa debole preda dei propri sentimenti e dei contorti meccanismi della propria mente allucinata, restando invischiato e attonito, vittima di quel nero sorriso volgarmente fragoroso e martellante che lo spinge a cadere nella trappola da lui stesso ordita.
Il regista sceglie di incamminarsi per un sentiero largamente esplorato dalla cinematografia contemporanea, sceglie di portare sul grande schermo il romanzo di McGrath per confrontarsi con la tematica della percezione plurima della realtà servendosi, dunque, degli attori che si fanno interpreti della meticolosa analisi con cui il canadese esamina l’animo umano soffermando la propria attenzione, lucida e partecipe, sul disagio psichico del protagonista e risultando capace di realizzare un’opera densamente introspettiva, ma mai scontata a dispetto dell’argomento abbondantemente abusato in diversi ambiti di espressione negli ultimi anni.
E le immagini sullo schermo si trasformano in lame sottili che si insinuano nei pensieri degli spettatori, testimoni basiti di questo inconsapevole naufragio della ragione il cui epilogo, benché ipotizzabile, lascia paradossalmente sorpresi e smarriti nella sua fredda immediatezza, nella sua crudezza priva di fronzoli che afferma e rinnega tutto quanto descritto sino all’istante immediatamente precedente, colpendo nel vivo e raggelando il sangue, mentre i titoli di coda scorrono sulla nostra finta incredulità, figlia dell’ostinata speranza e del bisogno di percorrere vie contraddistinte dalla linearità di un ordine univoco e generalmente condiviso e condivisibile.
“La cosa peggiore del perdere la memoria è ritrovarla”.
Angela Migliore, lankelot.eu



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Tratto dal romanzo del 1990 di Patrick McGrath, un film che procede lento e inesorabile come la mente malata del protagonista. Un'opera davvero interessante e inaspettata conoscendo le precedenti fatiche del regista canadese. Questa volta Cronenberg abbandona le suggestioni della "carne" tipiche dei suoi film per strutturare un viaggio nella mente di uno schizofrenico. È proprio questa la vera forza del film e non il finale che in fin dei conti non è così né originale né scioccante (nella sezione degli spoilers chiarirò meglio il finale e i meccanismi psicologici sottostanti). Per apprezzare questa pellicola occorre non avere fretta di svelare l'arcano che sta dietro al disagio di Spider, né spazientirsi perché non accade nulla di eclatante. In effetti il film procede piano come i piccoli passi che muove il protagonista, si ferma, retrocede e sembra non decollare mai, sembra non prendere mai il via. Il segreto stia nel farsi rapire dalla dimensione psicologica del protagonista, dalle sue manie, dai suoi silenzi continuamente inframezzati da bisbiglii indistinti. È un vero e proprio viaggio nei meandri del cervello, è un modo di vedere la realtà come la vede Spider. Forse è solo un esercizio di stile da parte del regista e forse, da questo punto di vista, se lo spettatore non riesce ad entrare in contatto empatico con il protagonista (cosa assai difficile da farsi con gli schizofrenici), il tutto rimane un freddo e distaccato racconto di un disagio mentale. Comunque l'interpretazione di Fiennes è eccellente, e la è soprattutto quella triplice della Richardson. Splendide, cupe e diroccate le locations e la fredda fotografia. Qualcuno potrebbe essere infastidito nel non riconoscere il Cronenberg di Videodrome, ma altri potrebbero essere lieti di trovare una certa affinità fra Spider ed Il Pasto Nudo (1991). Altri ancora potrebbero essere sfiancati dalla lentezza della pellicola ma consiglio di tener duro per non perdersi un finale che dà davvero senso al tutto. Insomma, se Les Cahiers du cinéma hanno definito Spider l'ottavo film più bello del 2002, ci sarà ben un motivo! Per molti ma non per tutti.
exxagon.it



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Gran Bretagna. Lo schizofrenico Dennis "Spider" Cleg viene trasferito in una casa di riposo per malati mentali, gestito dalla dominante Mrs. Wilkinson. Dopo qualche giorno, Spider comincerà a rivedere i luoghi della sua infanzia e a rivivere i suoi ricordi. Il ricordo del matrimonio dei suoi genitori in rovina e la sostituzione della madre con una prostituta. Ma le cose si sono svolte esattamente come crede lui?
David Cronenberg ha deciso di rischiare. E molto. Dopo gli allucinanti incubi su celluloide del genere Body Horror, Videodrome ed eXistenZ solo per citarne alcuni, il regista sorprende pubblico e critica sfornando questo film basato sul romanzo di Patrick McGrath.
Un film allucinato e sorprendente, reale ma al tempo stesso irreale.
Ma è davvero così diverso dai precedenti? E il regista ha avuto successo o ha fallito?
Realtà e Fantasia
Alla fine cos'è la realtà? Ciò che noi registriamo nel corso della nostra vita, lo registriamo, lo analizziamo, cerchiamo di comprenderlo. Ma come io posso vivere una esperienza, chiunque può viverla e comprenderla in tutt'altro modo. La storia di Spider si basa essenzialmente su questo, sulla realtà dei fatti. O meglio, sulla nostra realtà dei fatti. Il protagonista vive in un mondo che sembra troppo complicato per lui da decifrare, deve registrare ogni cosa su un taccuino, su cui scrive con una calligrafia indecifrabile, cercando di ritrovare un filo logico dello svolgimento del suo passato, senza, apparentemente, dubitare della propria memoria e fidandosi più del suo malato intelletto che di altro. Basti pensare alla sua mania di raccogliere molti oggetti per strada, metaforicamente raccogliendo le sue schegge di memoria, parallelamente cercando di ricostruire il vetro della sua coscienza. Anche se Spider racconta una trama che nulla ha a che fare con le mutazioni di Videodrome, almeno a livello fisico, entrambi mostrano un chiaro interesse sullo sfocamento della linea di demarcazione tra realtà e fantasia, e in entrambi i casi è l'ambiente stesso che impone ai protagonisti questo effetto di sospensione della realtà, dove in Videodrome era la televisione, in Spider sono le persone e i luoghi del passato, nonché la mente stessa del protagonista, che impongono al protagonista questa modificazione.
Di mamma ce n'è una sola...
Il problema, il dilemma di Spider è l'identità della madre, che lui crede essere stata uccisa dal padre e sostituita da una prostituta uguale a lei, eccetto per il colore dei capelli. Miranda Richardson in questo caso effettua un magnifico lavoro di caratterizzazione dei personaggi. La madre, dolce e sensibile, Yvonne, la prostituta, rozza, maleducata e con ben poca dignità (basta ricordare la scena sotto al ponte....) entrambe rappresentano personaggi differenti, ma che l'attrice sa gestire in maniera davvero notevole, indice della sua bravura attoriale come già dimostrato nelle passate pellicole da lei interpretate. Il personaggio della madre rappresenta molte cose nell'immaginario di Spider; la dolcezza, che lui vede nella forma normale di lei, e la cattiveria, che lui vede in Yvonne, personaggio creato dall'immagine di una prostituta che gli ha provocato uno shock da piccolo e dai comportamenti da lui indesiderati della madre reale. Ma non solo, lui vede essa anche nella figura della direttrice della casa di riposo, una figura che dovrebbe essere dolce e accogliente, ma che in realtà è crudele e dispotica, l'insieme delle due facce della madre.
Spider
Chi è Spider? Il nomignolo di Spider risale all'infanzia del protagonista, datogli dalla madre a causa della sua mania di tessere nella sua camera una grande ragnatela di tessuto. Nel passato la ragnatela servirà a Spider per proteggersi dal mondo che lo aspetta al di fuori della sua camera, nel presente gli servirà a catturare e imprigionare i suoi frammenti di ricordi. Citando Aitareya Upanisad "Noi siamo come il ragno. Tessiamo la nostra vita e poi ci muoviamo lungo essa. Siamo come il sognatore che sogna e poi vive nel suo sogno." E mai una frase può adattarsi meglio a questa pellicola. Spider, di fatto, non rimembra solo i suoi ricordi, ma li rivive in prima persona, trovandosi a spiare se stesso e la madre da dietro una porta o a osservare il padre ubriacarsi mentre è seduto a un tavolino di un pub. E anche qui abbiamo davanti una prova di straordinario talento.
Ralph Fiennes crea un personaggio che dice molto poco durante la storia, anzi dice parecchie cose, ma biascicando a bassa voce. Ma non sono di certo le parole che rendono un personaggio e un attore magnifici. Espressività e ricreazione di stati d'animo spiacevoli, sono le uniche parole che servono a Fiennes per darci una prova di meravigliosa recitazione. La schizofrenia del personaggio, non è invece molto approfondita nella trama, essendo un elemento di poco rilievo, ma è mostrata attraverso sequenze in cui il protagonista si ritrova in un campo assieme ad altri due individui vestiti uguali a lui che parlano di argomenti quasi ironici, che riescono addirittura a suscitare un sorriso nel tormentato Spider (la scena in cui i tre hanno un calzino nelle mutande per tenerci gli oggetti preziosi). Altro elemento della caratterizzazione risiede nel fumo. Spider è difatti un assiduo fumatore di sigarette, come constatabile dalle ingiallite dita del personaggio, quasi a voler comunicare una voglia di volerla fare finita con la sua triste vita.
David Cronenberg
Ritornando alla domanda sopracitata, se David Cronenberg abbia fallito o meno, dovrebbe essere ormai ovvio quale sia la risposta esatta.
Cronenberg ha decisamente avuto successo. Spider è un lavoro molto particolare, così come è bizzarro guardare al passato di effetti splatter del regista canadese, mentre si guarda questa bellissima pellicola. Una regia accuratissima con inquadrature curate nei minimi dettagli e che lasciano traspirare una certa ispirazione a vari stili registici, unita a una superba fotografia che vivacizza o smorza i colori intorno a Spider.
Ma dire che questa pellicola sia una capolavoro sarebbe un po' troppo. Perché dove personaggi e regia sono superbi, la sceneggiatura tende a essere molto distensiva. Tempi molto lunghi per l'evolversi della trama sono solo alcune pecche di una narrazione che azzecca benissimo i personaggi ma che si trova un po' in difficoltà nel gestire il ritmo della storia e che sicuramente scoraggerà gli spettatori prevenuti.
Il consiglio di chi scrive è di godersi i tanti dettagli che compongono questa triste storia di una realtà mnemonica e lasciarsi catturare dalle forti emozioni e dalle immagini di questa perla. I tempi in cui James Woods dichiarava lunga vita alla nuova carne sono decisamente molto lontani.
filmscoop.it
[Modificato da |Painter| 23/04/2011 10:21]
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