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La tematica omosessuale - alcune recensioni

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2010 18:15
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Sesso: Maschile
05/03/2008 19:11


LA TEMATICA OMOSESSUALE, FILM PER FILM

Stereo (1969)

La sessualità, in ogni suo aspetto (omosessualità compresa), domina il cinema di Cronenberg fin dai suoi esordi. Questo suo primo mediometraggio si presenta come una sorta di finto documentario, girato in bianco e nero con uno stile asettico, senza alcun suono, rumore o musica. La colonna sonora si esaurisce in una voce off che di quando in quando interrompe il silenzio commentando con tono gelido e impersonale le riprese di una serie di esperimenti condotti su alcuni giovani telepatici.
In uno di questi esperimenti, due ragazzi e una ragazza sono seduti intorno a un tavolo e mangiano delle mele nelle quali sono contenuti degli afrodisiaci. L'idea quasi ironica della mela afrodisiaca offre il pretesto per una prima riflessione complessiva sulla sessualità. Mentre vediamo uno dei due ragazzi lasciare il tavolo, dirigersi verso l'altro ragazzo, spogliarlo e iniziare un incontro erotico cui poco dopo si aggiunge anche la ragazza, la voce off illustra la teoria di Cronenberg:

- La struttura bipolare della sessualità è ignorata quando sorge il problema della devianza. Essendo considerata norma l'eterosessualità, sia la bisessualità sia l'omosessualità sono considerate devianze, rispetto a quella norma. La principale giustificazione per la normalità dell'eterosessualità è la riproduzione. Solo le relazioni eterosessuali, al momento, confluiscono nella procreazione. Ma questo argomento collassa ogni volta che si illustra il fatto che la sessualità a fini riproduttivi rappresenta solo una piccolissima parte, quasi un segmento accidentale, della totalità della sessualità umana. Ricerche universitarie hanno stabilito che l'eterosessualità e l'omosessualità sono ugualmente perversioni relativamente al campo della totalità della sessualità umana. In questo senso, la vera norma è costituita da una bisessualità espansa, che possiamo chiamare "omnisessualità" [omnisexuality]. -

Il commento prosegue esponendo l'ideale dell'«uomo tridimensionale», capace di superare l'opposizione etero/omo-maschio/femmina per inserirsi nel panorama della omnisessualità. Gli afrodisiaci dell'esperimento servono appunto ad «abbattere i muri del vincolo psicologico che costringono alla monosessualità».
In questo episodio di Stereo è contenuta in nuce una parte importante della poetica di Cronenberg, approfondita ed esplorata poi con coerenza per trent'anni e una dozzina di film. Ad affascinare il regista canadese è l'interazione che si instaura nell'esistenza dell'individuo tra mente e corpo. Tale rapporto si evidenzia, e per così dire è più facile da studiare, in esperienze limite quali la malattia, la morte o appunto la sessualità. L'interesse di Cronenberg per il cinema fantastico lo ha portato a esplorare i confini di tale interazione nel tentativo di comprendere quali potenzialità inesplorate risiedano in essa e a quali futuri possibili possa dare luogo, postulando l'intervento di mutazioni genetiche e forzature dell'evoluzione indotte da esperimenti più o meno folli.
Nel libro-intervista di Chris Rodley (Il cinema secondo Cronenberg, Parma, Pratiche, 1994, p. 100), Cronenberg ha dichiarato:

- Vita, morte e sessualità sono strettamente collegati. Non puoi discuterne uno senza in qualche modo discutere gli altri. Dato che i miei film trattano molto della morte e del corpo umano, la sessualtà viene discussa automaticamente. E io credo che in questo campo noi non siamo pienamente evoluti, né culturalmente, né fisicamente, né in qualsiasi altro modo. I miei film sono un tentativo per scoprire come potrebbe essere, con tali premesse, un essere umano pienamente evoluto. -

In un altro esperimento di Stereo viene illustrata ciò che Cronenberg chiama «morfologia erotica». In un rapporto "normale" gli individui percepiscono una carica affettiva/erotica in una serie di fatti e gesti che li circondano (un movimento della mano di un'altra persona, il suo respiro, ecc.). Il giovane telepatico percepisce tale carica nel momento stesso in cui quei gesti vengono concepiti da parte dell'altro telepatico, prima ancora che vengano eseguiti. In questo modo può investire in quei gesti, ancora potenziali e fermi a uno stadio di pura concezione, una carica erotica e affettiva molto maggiore di quella che sarebbe stata coinvolta nella loro immediata esecuzione da parte di una persona normale. Tutto ciò svincola il potenziale erotico dai limiti della fisicità, permettendo di reinvestirlo in qualsiasi forma di relazione, superando i condizionamenti della "monosessualità" e liberando le energie potenziali in una forma espansa di sessualità, quella che in precedenza era stata definita "omnisessualità", dove «le categorie maschio/femmina e eterosessualità non sono più applicate».
Si vede dunque come già in Stereo il cinema di Cronenberg si prepari a una visione aproblematica della sessualità: nessuna sua manifestazione (nemmeno l'omosessualità) costituisce un problema, ma solo un dato di fatto su cui riflettere. Si tratta di un'impostazione a-moralistica, contraria per principio a qualsiasi censura, che parte da una necessaria tabula rasa di valori per esplorare senza pregiudizi e senza condizionamenti le possibilità e le potenzialità dell'uomo: il mondo come potrebbe essere in un futuro in cui questi vincoli fossero superati (come accade con gli afrodisiaci nella mela di Stereo e con tutta una serie di esperimenti equivalenti nei film successivi).
È altresì chiara la vicinanza di Cronenberg alle teorie freudiane, evidente tanto nell'interpretazione del potenziale erotico e affettivo in termini di energia, che si rifà al concetto di libido, quanto nel riconoscimento della necessità di separare la concenzione della sessualità dall'atto procreativo quale conditio sine qua non per accedere alla comprensione, o quanto meno all'analisi non giudicativa, di una quantità di espressioni e di forme della sessualità umana, che invece si richiama al concetto di perversione polimorfa elaborato da Freud per spiegare le manifestazioni sessuali nella vita infantile. Dalla separazione della sessualità dall'esigenza riproduttiva partiva infatti anche Freud (con tutt'altri intenti, ovviamente) per approdare al riconoscimento di tutta quella serie di manifestazioni della sessualità indirizzate alla ricerca del piacere fine a se stesso (comunemente denominate perversioni, termine «non certo onorifico», come riconosce nella sua Introduzione alla psicoanalisi lo stesso Freud, che poco prima preveniva le possibili obiezioni dei suoi studenti ammonendoli: «siete incorsi nell'errore di confondere tra loro sessualità e riproduzione, e così vi siete sbarrata la strada per la comprensione della sessualità, delle perversioni e delle nevrosi»).
Mauro Giori, culturagay.it



Crimes Of The Future (1970)

Secondo mediometraggio di Cronenberg, molto simile al precedente Stereo nell'impianto narrativo ed estetico: un'inespressiva voce off, alternata a rumori e silenzi, descrive eventi e personaggi incontrati dal protagonista Eugene Tripod (che racconta in prima persona, ma nella parte finale si riferisce a se stesso in terza) nelle sue peregrinazioni alla ricerca del dr. Rouge, già suo maestro e forse responsabile di una malattia che ha causato la morte di centinaia di migliaia di donne.
L'eventualità della scomparsa delle donne che si profila a causa del morbo di Rouge induce la natura a fare il suo corso: il «cancro creativo» è l'anticipazione più lucida della "nuova carne" di cui si tratterà in Videodrome ed è forse il segno di una mutazione imminente dettata dalle nuove necessità di adattamento e di sopravvivenza che potrebbero indurre ad elaborare nuove forme di riproduzione che escludano l'intervento della donna. È un'ipotesi futura: nel frattempo l'unica speranza di sopravvivenza dell'umanità sembra affidata all'unione del protagonista con una ragazzina artificialmente portata a sviluppare una pubertà precoce.
La prospettiva pedofila del finale-shock (risolto visivamente con una serie di accenni tutt'altro che morbosi, anche se inquietanti) non è che la chiusura di un'inchiesta che ha tutta l'aria di un viaggio nel "polimorfo" universo del feticismo, di cui sono rappresentate varie manifestazioni nei diversi istituti visitati da Tripod: si tratta certo di un'inchiesta non priva di contorni umoristici, ma di un umorismo surreale dai tratti inquietanti.
Tipod, da parte sua, non si limita a osservare, ma anzi partecipa e sperimenta volta per volta nuove forme di sessualità. Tripod ha seri problemi a comunicare con le persone che incontra, ma grazie alla "bava" afrodisiaca il contatto si stabilisce comunque in forma di rapporto sessuale metaforizzato. Metafora non significa necessariamente eufemismo: il film gioca a più riprese sugli effetti di sorpresa.
Nella prima parte del film, ambientata nell'istituto dermatologico diretto da Tripod, la sessualità del protagonista si esprime attraverso vere e proprie forme di vampirismo (forse un residuo delle letture dell'amato Burroughs, rielaborato con tanto di citazioni dal Nosferatu di Murnau) nei confronti di altri uomini, spinte fino al limite della necrofilia.
Nell'istituto di "Podiatria Oceanica", invece, Tipod incontra individui che raggiungono la soddisfazione sessuale attraverso il massaggio dei piedi. L'omoerotismo si fa in questa sezione del film ancora più evidente: Tripod, dopo aver scambiato massaggi al piede con un dottore, avvicina e seduce di fatto tre ragazzi. Il primo è un giovane che stava cercando di fuggire; il secondo un ragazzo che gli si concede volentieri, anche se il rapporto viene interrotto dall'arrivo di quello che sembra essere il compagno geloso del giovane; il terzo è invece un ragazzotto che ha tutta l'aria del prostituto. Tripod lo invita a sdraiarsi sul prato e inizia a massaggiargli il piede. A questo punto il giovane respinge Tripod con un sorriso beffardo e prima di andarsene gli getta alcune immagini, che Tripod analizza dopo un breve soggiorno al centro di "Import/Export Metafisico" (nel quale alcuni aspiranti a un posto di manager riempiono sacchetti con calze e biancheria), confessandosi attratto dalla loro «natura sessualmente perversa», addirittura «brutale».
L'esatta natura della "perversione" che attira Tripod viene esplicitata poco dopo, quando il nostro eroe si rende conto di essere stato avvicinato da un gruppo di «cospiratori»: si tratta di una congrega di «pedofili eterosessuali» guidati da un tale Tomkin, sostenitore della necessità di «sviluppare una normale sessualità per una nuova specie di uomini», ovvero «una emergente genetica biochimica per una forma di vita riproduttiva straordinariamente innovativa».
Tripod entra a far parte del gruppo di cospiratori, i quali rapiscono una bambina da un altro centro di studi di carattere ginecologico, dove è stata sviluppata una tecnica per indurre precocemente la pubertà nella speranza di immunizzare le femmine superstiti. Lo scopo dei cospiratori è quello di mettere incinta la bambina per dare avvio a una nuova generazione di uomini, immuni alla malattia di Rouge. Uno dei tre fugge però imbarazzato nel momento cruciale, sicché il ruolo di padre dovrebbe infine toccare a Tripod.
Il finale è estremamente ambiguo e nessuna lettura che ne sciolga l'ambivalenza può dirsi corretta. L'accoppiamento tra Tripod e la bambina, dato per scontato da tutti i commentatori, non è affatto sicuro, né è certo che porterà a una nuova razza di uomini. La pubertà precoce indotta nel centro ginecologico da cui la bambina viene rapita dovrebbe rendere immuni dalla malattia. Ma nelle ultime inquadrature la bambina secerne la bava biancastra che è sintomo del morbo di Rouge e Tripod la preleva con la mano e la porta alla bocca. Dunque la bambina è già malata? Prima del rapimento si era detto chiaramente che l'efficacia del rimedio messo a punto nel centro ginecologico non era sicura.
L'ultima inquadratura mostra Tripod che piange. Entrato deciso nella stanza, aveva cominciato a spogliarsi, ma poi aveva «avvertito la presenza di Antoine Rouge», reincarnato nella bambina. Quindi si era fermato e si era seduto su una poltrona davanti alla bambina, notandone la bava. Dunque si è fermato? Non è scontato che l'accoppiamento avvenga, né che serva a qualcosa, né è chiaro se si basi su un'attrazione per la bambina in sé (quella perversione cui Tripod si era confessato non immune) o per Antoine Rouge. E per chi o per cosa è versta quella lacrima? Per la bambina sottratta alla sua infanzia? Per la bambina malata e condannata a morire come tutte le altre donne? Per il fallimento dell'ultima speranza? Per il ritrovato maestro?
In realtà non solo il finale, ma tutta la messinscena è estremamente ambigua. Cronenberg ha proposto per il film una lettura freudiana in base alla quale gli uomini tenterebbero di venire a patti con il lato femminile della loro sensibilità, espressa in «qualità generalmente considerate femminili» quali la dolcezza e il calore:

- Gli uomini devono assorbire la femminilità che è scomparsa dal pianeta. Essa non può cessare di esistere perché non ci sono più le donne. Così comincia a emergere la parte femminile dei maschi, perché quel dualismo e quell'equilibrio sono necessari. La versione definitiva sarebbe quella in cui l'uomo muore per riemergere donna ed essere pienamente consapevole della sua precedente vita di maschio - (Chris Rodley, Il cinema secondo Cronenberg, Parma, Pratiche, 1994, p. 62).

È più o meno ciò che viene additato nel finale, con la ragazzina nella quale si è reincarnato Rouge. Il riassorbimento della femminilità nella mascolinità è rappresentato anche in forma simbolica in alcune forti idee visive, quali il leit-motive delle unghie laccate, non solo del paziente della "Casa della Pelle", ma anche di uno dei giovani incontrati al centro di "Podiatria", e la scena nella quale Tripod accarezza il paziente steso a letto, massaggiandogli un capezzolo dal quale esce la secrezione bianca che sortisce l'effetto afrodisiaco. La bava biancastra, oltre all'ovvia simbologia sessuale, assume anche valenze femminili e materne, sperma e latte insieme, quasi a preludere alla possibilità di superare la malattia stessa tramite un'attrazione tra corpi maschili avviati all'ermafroditismo.
I protagonisti del film in effetti si scambiano continuamente carezze e in una sequenza singolare vediamo anche due medici seduti su un muretto tenersi per mano: all'arrivo di Tripod, che si siede in disparte abbattuto, uno dei due si alza, va da lui e lo conforta abbracciandolo.
Ma tutto il film esprime tranne che calore. Anzi si tratta, come già nel caso di Stereo, di un'opera glaciale, devitalizzata (Cronenberg sostiene di aver voluto restituire l'impressione di qualcosa che avviene sott'acqua), nella quale le vicende sono seguite con la curiosità ma anche l'oggettività propria di un'impersonale osservazione scientifica. L'attrazione sessuale, in entrambi i film, è determinata da un'agente artificiale e tra amante e amato c'è sempre di mezzo un'evidente raffreddamento scientifico: la morte, la mancanza di umanità, la necessità di sperimentare una teoria, un tubicino-catetere che si infila sotto i pantaloni del paziente, escludendo traumaticamente l'area genitale da qualsiasi possibile piacere proprio nella scena più sensuale del film. Non manca anche una certa resistenza all'attrazione omosessuale e all'incursione della femminilità nella virilità del protagonista, evidente nella scena nella quale Tripod cerca inutilmente di fermare uno dei medici che sta laccando le unghie del paziente, mentre la sua voce fuori campo commenta significativamente: «la Casa [della Pelle] è innegabilmente in declino». Ma il processo avanza inesorabile e inarrestabile, indotto da esigenze evolutive incontrollabili, anche se non sempre razionalizzabili.
Oltre che da Freud, la riflessione sulla sessualità di Stereo e di Crimes of the future è segnata certamente dalla temperie culturale del tempo (a metà degli anni '60 il giovane Cronenberg aveva trascorso un anno in Europa, tra Copenaghen e Londra, assorbendone il clima culturale: la rivoluzione sessuale ne ha indubbiamente segnato la formazione), dalle letture di Vladimir Nabokov e William Burroughs, dai quali il regista si sentiva addirittura «posseduto» al punto di non riuscire a trovare una forma di espressione personale nella scrittura, dall'incontro con Ron Mlodzik (protagonista di entrambi i mediometraggi), che lo stesso Cronenberg definisce «uno studioso omosessuale molto raffinato, un intellettuale che stava studiando al Massey College» (C. Rodley, op. cit., p. 55), e infine dal clima del cinema underground, che il regista assorbe seguendo le proiezioni di Cinecity, una piccola sala ricavata in un vecchio ufficio postale da Willem Poolman, «un avvocato olandese pazzo», nonché «omosessuale dichiarato», che «aveva riunito intorno a sé parecchi giovani autori» (C. Rodley, op. cit., p. 46) fondando una sua casa di distribuzione. Si trattava di isole alla ricerca di libertà espressive difficili da coltivare in una Toronto che il regista ricorda conservatrice e repressiva: è significativo che solo a New York, capitale del cinema indipendente, Cronenberg potesse vedere i film di Brigitte Bardot, al tempo in cui esordiva come lolitina conturbante entusiasticamente sostenuta dai futuri registi della Nouvelle Vague.
Tutte queste influenze agiscono profondamente nel regista e rimangono attive nella produzione successiva, segnandone in modo talora evidente anche le espressioni più originali: costituiscono insomma un background nel quale, come si è visto, l'omosessualità gioca un ruolo significativo attraverso le figure di Mlodzik, Poolman e, su tutti, Burroughs.
Mauro Giori, culturagay.it



Il demone sotto la pelle (1975)

Cronenberg riprende in questo suo primo lungometraggio alcune riflessioni sulla sessualità già affrontate nei mediometraggi Stereo e Crimes of the Future, rielaborandoli in una forma narrativa più lineare e distesa. L'esordio di Cronenberg non poteva essere più personale e più ardito: nella sua semplicità, Il demone sotto la pelle ha suscitato a suo tempo una quantità di fraintendimenti e di critiche: alcuni lo accusavano di perversione, altri al contrario di repressione (ritenendo l'associazione sessualità-mostruosità come un affronto conservatore).
Ma nella visione di Cronenberg (che in un'intervista ha definito il film una sorta di "manifesto della rivoluzione sessuale") l'eroe è evidentemente il parassita fallico-escrementizio che diffonde nel grattacielo moderno, ordinato e borghese (limpido specchio della società canadese di quegli anni) una ventata di liberazione sessuale, facendo crollare con il suo potere afrodisiaco tutte le possibili inibizioni. Il regista ha persino dichiarato di aver pensato a questa orda di assatanati, che nel finale richiamano evidentemente gli zombi di Romero, come a una metafora dell'artista e della sua collocazione scomoda ed eversiva nel contesto della società borghese.
Le conseguenze di questa epidemia libidica tra l'altro portano una casalinga frustrata e trascurata dal marito a concedersi a una vicina lesbica (interpretata da Barbara Steele): alla fine, quando le più singolari coppie formatesi in seguito alla diffusione del parassita lasciano il grattacielo per diffondere il contagio liberatore nel resto del mondo, le due fanno ormai coppia e se vanno insieme (nel corso del film incontriamo brevemente anche una coppia gay, più stereotipata).
Mauro Giori, culturagay.it



Inseparabili (1988)

FASSBINDER E CRONENBERG:
DUE DIFFERENTI SGUARDI SULL'OMOSESSUALITA' E SUL DIVERSO COME REALE IN QUANTO ALTRO-DA-SÈ

QUERELLE DE BREST
(Querelle, Francia 1982, 106 min.)
Di: Reiner Werner Fassbinder
Con: Brad Davis, Jeanne Moreau, Franco Nero
Trama: Un marinaio omicida, Querelle, segreto oggetto del desiderio del suo capitano Sablon, si lascia andare a un calvario di esperienze attraverso cui spera di trovare una propria identità.

INSEPARABILI
(Dead Ringers, Canada 1988, 115 min.)
Di: David Cronenberg
Con: Jeremy Irons, Jeneviève Bujold
Trama: La vita dei due gemelli Beverly ed Elliot Mantle, famosi ginecologi che si dividono tutto, casa e amanti comprese, è sconvolta dall'incontro con Claire: Beverly si innamora follemente di lei, distruggendo a poco a poco se stesso e il fratello gemello.

È difficile e forse pretenzioso voler confrontare due film così diversi tra di loro. Querelle de Brest, ultimo film di Fassbinder, è forse uno dei più belli e meglio realizzati di tutta la storia del cinema, pur essendo passato in sordina e non avendo scardinato nessuna regola aurea del cinema mainstream. La pellicola di Cronenberg non riveste invece un'importanza rilevante, se non all'interno della sua 'politica d'autore', eppure le due opere convergono per diverse strade, pur divergendo poi in maniera sostanziale. Il rapporto tra due fratelli, l'autodistruzione e il rapporto con una donna sono i punti di convergenza tra i due film. Il rapporto di omosessualità (intesa etimologicamente come 'amore per lo stesso') nel suo svolgimento tra i due fratelli, la scelta libera o la necessità del calvario, l'importanza del dirompente rapporto con una donna o la sua incidenza pressoché nulla sono i diversi momenti dello scollamento tra le due opere. Vediamo di analizzarli con calma.
Querelle e suo fratello si odiano. Non si accorgono di essere simili, sono gli altri a dirglielo. E ciò perché ognuno dei due vede nell'altro ciò che non vuole essere e che invece è per natura (mortale: declinate questo termine poi come volete: senso di inferiorità nascosto da spavalderia, bisogno di essere amati da un altro - 'etairos' in greco, da cui il nostro eterosessuale- represso nell'omosessualità che diviene quindi odio per se stessi). Di qui la decisione di sottoporre se stesso e l'altro (il fratello e l'amante, interpretati non a caso dallo stesso attore), che in fondo è una declinazione del sé, al calvario e al supplizio, fino alla morte.
I fratelli Manltle sono invece identici sotto tutti i punti di vista, al punto che nessuno riesce a distinguerli. E i due approfittano di ciò per prolungare la propria esistenza, per annullarne la finitezza. Mentre Elly si consacra all'innovazione delle tecniche ginecologiche, Bev si dedica alla ricerca dei finanziamenti per l'istituto, si scopa le donne dei possibili finanziatori o le proprie clienti insoddisfatte, ritira premi per le scoperte del fratello. Un'osmosi perfetta, dunque. A rompere la quale giunge un'ospite (in)desiderata: l'attrice Claire Niveaux, che non può avere figli perché ha un utero trifido (una sfida alla scienza, anche a quella avanzatissima dei due fratelli!) e che per di più instaura una relazione 'seria' con Elly (che vuol tenerne al di fuori il fratello Bev). Ed è presto tragedia: decidere la separazione dal proprio doppio vuol dire la morte, ed infatti Elly perde il senno: si droga, costruisce 'strumenti ginecologici per donne mutanti' (il che rivela la natura simbolica di Claire: tutte le donne diventano mostruose, perché ci costringono ad allontanarci da noi stessi e da ciò che conosciamo con sicurezza), finisce con l'uccidere il fratello segnando così definitivamente l'apoteosi della propria follia. Claire (Jeneviève Bujold), la donna che non può avere figli e che di per sé costituisce un'anomalia, fino a divenire per i Mantle LA anomalia (l'interruzione della loro osmosi) è ciò che Jeanne Moreau non può essere per Querelle e suo fratello: in Fassbinder tutta la società è omosessuale (i marinai ed il loro capitano, i poliziotti, il tenutario del bordello che pure è sposato). Una società violenta, dunque, perché sa solo rispecchiarsi in se stessa e non lascia posto all'amore per ciò che è diverso (la donna), relegato dunque sullo sfondo ed impotente di fronte allo spettacolo di morte cui deve assistere.
È forse questa una delle differenze fondamentali tra i due registi: lo 'sfondo', la 'società', per Fassbinder è importante quanto l'interiorità, anzi l'uno determina l'altra e viceversa, in un continuo rimando e in un reciproco influenzarsi. In Cronenberg, invece, l'accento è sempre puntato sull'individuo e sul suo precario equilibrio psichico: la società e il mondo esterno sono strumenti da utilizzare per i propri scopi, e quando l'equilibrio interiore si frattura (per necessità o per degli incidenti: tutta la filmografia di Cronenberg è costellata di questi eventi destabilizzanti) la realtà sparisce, viene manipolata dall'individuo che la sostituisce con le proprie visioni, per un bisogno di equilibrio interiore che è più forte di qualsiasi tentativo di adattamento (vedere anche Videodrome e Il Pasto Nudo). La realtà diviene quindi per i protagonisti delle pellicole del cineasta canadese qualcosa di più pericoloso delle ferite inferiori, perché percepita non come possibilità di guarigione, ma come qualcosa di ostile al proprio 'stato nascente'. Di qui la differenza col cinema di Fassbinder. Basta vedere la sofferenza sul viso di Jeanne Moreau, disposta a tutto pur di farsi accettare dagli uomini che desidera e da cui viene rifiutata, contrapposta alla freddezza della Bujold, che rimane muta al telefono pur sapendo che all'altro capo c'è un Elly ancora sconvolto dall'assassinio del fratello.
Giampaolo Galasi, cinemah.com



Il Pasto Nudo (1991)

Il Pasto Nudo rappresenta l'apice della fascinazione di Cronenberg nei confronti dell'omosessualità, già ben attestata fin dai suoi primi lavori, Stereo e Crimes of the Future.
È facile comprendere cosa attiri Cronenberg nella letteratura di Burroughs, e in particolare nel Pasto Nudo, pieno com'è di allucinazioni, mutazioni, esperienze sessuali non disgiunte da metamorfosi organiche che contemplano la crescita di nuovi organi sessuali (le metamorfosi del Vigilante e di Bradley il Compratore sono straordinariamente vicine all'immaginario cronenbergiano, ad esempio al finale originalmente pensato per Videodrome).
Tuttavia il romanzo era irriproducibile alla lettera sul grande schermo. Cronenberg opta dunque per un suo assorbimento all'interno del proprio universo, attraverso una contaminazione con altre fonti burroughsiane: ai frammenti del Pasto Nudo che rimangono in circolazione, talora non più di singole frasi sparse, quasi semplici citazioni ricontestualizzate e risignificate, si sovrappongono così i racconti Interzona e Sterminatore!, nonché le lettere da Tangeri spedite dallo scrittore all'amico, ed ex compagno, Allen Ginsberg. Il regista contamina poi tali fonti con alcuni episodi della biografia di Burroughs (in particolare l'uccisione della moglie, che ha significato molto per l'avvio della sua carriera professionale, e il soggiorno pluriennale a Tangeri, durante il quale si era innamorato di un giovane prostituto, Kiki). Cronenberg struttura così un racconto estremamente lucido, ancorché basato su un'alternanza tutt'altro che razionalizzabile tra piano della realtà e piano della fantasia.
Il film abbandona il fine pedagogico del testo di Burroughs a tutto favore di un'esplorazione dell'atto della creazione. Il Pasto Nudo è anzitutto un film sull'arte, sul genio, sulla scrittura: «A writer lives the sad truth like anyone else. The only difference is, he files a report on it», sentenzia lo scarafaggio-macchina da scrivere. Allo stesso tempo è anche un viaggio oltre lo specchio, nei territori dell'inconscio, un confronto con i desideri più segreti, che per il protagonista coincidono con un'omosessualità rimossa.
Sullo sfondo traspare la concezione freudiana dell'atto creativo che stabilisce una forte vicinanza tra letteratura come formazione di compromesso (cioè occasione per riaffermare i rimossi della censura del Super-Io sotto una veste formale capace di scavalcarne i divieti), alle soglie della nevrosi, e psicopatologia. Per Freud l'artista è anzi un vero e proprio nevrotico che sostituisce la cura con l'arte, sia che usi l'arte come cura (come in un certo qual modo credeva di aver fatto Burroughs scrivendo Il Pasto Nudo), sia che rinunci del tutto all'eventualità della cura per poter continuare a creare. Sotto molti aspetti è proprio questo il destino di tutti gli eroi di Cronenberg: per loro la cura è impossibile, addirittura inconcepibile e al contrario la malattia e la mutazione sono le premesse di un bisogno letteralmente inguaribile di esplorare nuove possibilità umane.
Interzona non è altro che questo: l'inconscio di Bill materializzato in visioni. L'atto creativo comporta l'apertura del vaso di Pandora della pulsioni rimosse. E la rimozione in Bill/Burroughs riguarda essenzialmente le sue tendenze sessuali. Iniziare a creare e dare libero sfogo alla propria omosessualità sono dunque per il personaggio due azioni inevitabilmente coincidenti, e assume così un senso preciso anche la necessaria eliminazione preliminare della moglie.
Cronenberg trasforma l'ossessione politica del romanzo in paranoia privata, in mania di persecuzione del protagonista, e sfruttando l'aspetto privato dell'immaginario burroughsiano al lavoro nelle pagine del romanzo riordina tutto mediante il tema della scrittura e della creazione artistica. Le cupe prefigurazioni totalitariste di Burroughs sono quindi rimodellate, anche mediante l'immaginario cinematografico dell'hard boiled anni '50, in una sorta di opera spionistica, seppure derivata dall'interiorità di un personaggio espressa per visioni. Alla fine nulla rimane dell'inarticolazione del romanzo, ma abbiamo piuttosto una sorta di intreccio kafkiano.
Anche sul piano dei contenuti omosessuali Cronenberg semplifica l'immaginario del romanzo e prende in parte le distanze:

- Una delle cose che gli ho detto è stata: "Sai, io non sono omosessuale,e quindi la mia sensisbilità, per quanto riguarda il sesso in questo film, sarà diversa. Non ho paura dell'omosessualità, ma non è innata in me, e probabilmente voglio che nel film ci siano delle donne" - (C. Rodley, Il cinema secondo Cronenberg, Parma, Pratiche, p. 211).

Anche se lo stesso Cronenberg dice di aver visto «sotto la superficie gay» del romanzo di Burroughs l'espressione di quella «sessualità perversa polimorfa» (lo afferma nelle interviste incluse in Naked Making Lunch (1992), documentario girato da Chris Rodley sul set di Il Pasto Nudo) che da sempre gli è tanto cara. Ancora una volta è dunque nel polimorfismo che trova abbondante spazio l'attrazione omosessuale, non solo nei personaggi che ruotano intorno ai prostituti dell'Interzona, ma anche in Joan II che si unisce all'harem lesbico della strega Favela, anche se poi quest'ultima si rivela in realtà nel finale un uomo, che esce letteralmente dalla crisalide del corpo femminile. Benché a livello conscio sia Bill che Joan cerchino (tra di loro, ma non solo) un rapporto eterosessuale, questa relazione non raggiunge mai soddisfazione: nella prima parte del film Joan I viene sorpresa (senza sorpresa) da Bill durante un rapporto con Jack, ma, come rivela poi la stessa donna, Jack è drogato e non riesce a completare il rapporto; Joan II si unisce con Bill, ma a loro si unisce una macchina da scrivere ermafrodita, finché l'incontro a tre viene interrotto da Favela.
Nella scena in cui Joan I ha il suo rapporto con Jack, Allen tenta invano di sedurre Bill, che ancora non cede alle sue pulsioni profonde, anzi sembra ancora non conoscerle. Eppure già nel primo incontro con Kiki, o con il suo doppio newyorkese, Bill sostiene di non essere prevenuto nei confronti dell'omosessualità, benché non si senta «finocchio per natura», e ammette che se le circostanze lo consentissero, non si tirerebbe indietro.
Le creature mostruose e gli scarafaggi-macchine da scrivere che ossessionano Bill nell'Interzona sono i prodotti della sua psiche e la loro funzione è quella di ordinargli di confrontarsi con la sua sessualità rimossa e di dare sfogo alla sua creatività (in originale la voce della macchina da scrivere, rauca e aspra, è pressoché identica a quella di Burroughs).
La strada appare lunga, ma alla fine Bill sembra trovare in Kiki un possibile partner: fra i due sembra aprirsi la possibilità di una relazione, Kiki è affettuoso, aiuta e assiste premurosamente Bill in una delle sue serate più nere. La loro relazione è breve e sottintesa: tutto quello che vediamo è Kiki che esce dal letto di Bill di mattina, quando i due si scambiano qualche contenuto segno di affetto (nel mondo di Cronenberg, in realtà, è già molto).
Eppure nella sequenza successiva Bill dà, letteralmente, Kiki in pasto a Yves, nonostante l'evidente riluttanza dello stesso Kiki. La felicità viene dunque sabotata, la fascinazione per la sessualità come tale, com'è tipico di Cronenberg, trova nell'affetto, nell'amore e nel legame un ostacolo anziché un punto di arrivo.
La visualizzazione della sodomizzazione di Kiki da parte di Yves come un atto mostruoso rappresenta l'inquietudine nei confronti della sessualità in generale, il disagio per ciò che più profondamente si desidera, qualora questo desiderio non si conformi alla norma (che Cronenberg trova nella tormentata biografia di Burroughs, ma è proprio del suo cinema, inteso a mostrare lo sforzo necessario a liberarsi dei condizionamenti sociali che tendono a reprimere la sessualità).
L'insoddisfazione è insomma la condizione necessaria per la ricerca, e per la creatività. La felicità è un lusso che non ci si può permettere, e quando la si raggiunge, la si deve anche sopprimere, pur nell'apparente assenza di necessità: accade lo stesso nel finale, che gioca con il senso perturbante (nell'accezione rigorosamente freudiana del termine) del ritorno del rimosso, della ripetizione del già vissuto, della coazione a ripetere anche in mancanza di una reale costrizione. Perché la ricerca deve continuare.
A Bill viene chiesto dai doganieri di Annexia di dimostrare che è uno scrittore. Egli estrae una penna. I doganieri gli chiedono di scrivere qualcosa. Lui, per dimostrare che è uno scrittore e che sa scrivere, uccide Joan II. Sembra assurdo, ma è logico. Bill dimostra realmente di essere uno scrittore uccidendo Joan II: uccidendo la sua felicità, prova il suo desiderio sincero di continuare l'esplorazione di sé, la ricerca, premessa necessaria per la creazione, così come l'uccisione di Joan I era la premessa necessaria per la liberazione della creatività e dell'omosessualità latenti in lui.
Burroughs ha dichiarato che con sua moglie viva non avrebbe mai scritto una parola: è appunto questo il senso del finale apparentemente enigmatico del film.
Lo stesso significato ha il sacrificio di Kiki: è necessario per arrivare a Benway, cioè per continuare la ricerca, e quindi la creazione, che tanto ha in comune con un rapporto sessuale: la soddisfazione estetica e la soddisfazione erotica procedono di pari passo, la scrittura passa attraverso il rapporto sessuale con la macchina da scrivere, tanto che quella a forma di testa di Mugwump dispensa fluidi inebrianti come premio per la riuscita della scrittura.
Il finale dunque non chiude, ma continua, o forse ripete: non c'è nessun motivo di pensare che Annexia differisca in modo sostanziale da Interzona. Di certo non è un mondo logico e razionale, se non della logica e della razionalità del sogno, la stessa che domina Interzona, la stessa che vediamo all'opera nella sequenza della dogana. Se ci lasciamo influenzare poi dalle suggestioni del romanzo di Burroughs, allora dobbiamo pensare al peggio, poiché nel Pasto Nudo dello scrittore beat Annexia è la quintessenza della dittatura.
Mauro Giori, culturagay.it



Cronenberg, regista dello splendido Inseparabili, è riuscito ad adattare sullo schermo l'opera cardine della beat generation (assieme a Kerouac) che sembrava per definizione non filmabile. D'altra parte è il momento della riscoperta di William Burroughs, il profeta di uno stile di vita senza regola alcuna, che a ottant'anni viene recuperato alla grande dai cineasti indipendenti, addirittura come attore in Drugstore Cowboy di Gus van Sant.
Il regista canadese riesce a rendere tangibile il senso dell'opera che altro non è che un flusso di coscienza che, alterata da droghe, fluttua tra incubi e desideri finalmente non più repressi, tra mostri antropomorfizzati e uomini metamorfizzati, tra scatologia e sadomasochismo. Pur ingenuamente artificioso in molti effetti speciali, il film riesce però a creare un mondo sospeso, quasi parallelo al reale, dove ogni cosa rimanda enigmaticamente altrove.
Interzona è Tangeri, ma non solo: è un miscuglio della fascinosa città marocchina (ex città libera, quindi ricettacolo di tutti gli avventurieri del mondo) e della stessa New York, la metropoli che Bill Lee credeva di fuggire. Ma, in effetti, è solo un parto della mente intossicata dello sterminatore dove tutto può accadere, persino che parlino e agiscano le macchine per scrivere, dotate di un enorme sfintere dal quale vomitano parole senza senso.
Forme falliche e anali sono sparse un po' ovunque a Interzona, dove accadrà anche che Bill, eterosessuale, si scopra omosessuale, riuscendo così a mimetizzarsi nella compagine in cui è finito e prendersi un ragazzo che lo guidi nei meandri intestinali della misteriosa città e alla scoperta del piacere del sesso tra uomini.
Ma omosessualità in quella landa significa anche altro, visto che Cloquet, adescato Kiki - il ragazzo di Bill dai tratti chiaramente nordafricani - lo fagocita con bave e salive durante un orripilante amplesso in cui si trasforma in un mostro simile ai mugwump. Una scena/limite in cui Cloquet si appropria dell'altro, mettendo effettivamente in pratica l'espressione "penetrare", e che, pur nella sua mostruosità, paradossalmente non nasconde un senso di desiderio di un possesso e di un amore globale.
Vincenzo Patanè, culturagay.it



M. Butterfly (1993)

Ispiratosi ad un fatto vero, conclusosi con il processo per spionaggio contro il diplomatico Bernard Boursicot ed il suo amante Shi Pei Pu, cantante dell'Opera di Pechino, e portato sui palcoscenici italiani con successo da Ugo Tognazzi e Arturo Brachetti, il film si rifà alla vicenda narrata dal sino-americano Hwang. Cronenberg, dichiaratosi "intellettualmente attratto dall'omosessualità", esplora il corpo e le mutazioni cui esso può essere soggetto e accentua ancor più quegli aspetti di inverosimiglianza che già i veri accadimenti si tiravano dietro.
Il dito è puntato innanzitutto sulla fascinazione che la cantante opera sull'uomo, ovvero la malia che l'Oriente ha sempre gettato sull'Occidente (al riguardo forse ha ragione il padre della moglie di Gallimard, navigato diplomatico, dicendo che "l'est è l'est e l'ovest è l'ovest: non si incontreranno mai"). L'uomo/Occidente viene prima attratto dalla donna/Oriente, rimanendo incantato da un'esibizione addomesticata della cultura orientale (la Turandot di Puccini) per poi restare catturato dalla brutale autenticità dell'opera cinese, lo spettacolo che mette in scena il vero Oriente e non quello ricostruito.
L'innamoramento di Gallimard è sincero, lui ama la sua donna cinese, delicata e forte ad un tempo, e ne rispetta valori e tradizioni. Ad ingannarlo però non è solo probabilmente il perfetto travestimento di un uomo che, in quanto tale, sa come procurare piacere ad un altro uomo, ma c'è anche un autoinganno, portato avanti per anni, per non ammettere a se stesso la propria natura omosessuale e la propria ottusità nel non aver compreso la realtà sin dall'inizio. Song, d'altra parte - spia per costrizione di un regime deciso a soppiantare tutto il "vecchio" - si innamora realmente del suo uomo, ritenuto all'inizio solo un veicolo per la libertà, ma non può fare nulla per fermare un congegno politico irrimediabilmente avviato.
Il film trova i suoi momenti più belli in un erotismo affrontato sì con pudore, ma anche con trascinante passione, e nel drammatico suicidio di Gallimard nel carcere, in una disperata quanto umana messinscena davanti ad altri carcerati, ma che in realtà è un amaro, tragico rendiconto con se stesso.
Vincenzo Patanè, culturagay.it
[Modificato da |Painter| 10/06/2010 18:15]
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