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<<Promesse visive (nebbiose, natalizie impressioni)>>

Ultimo Aggiornamento: 28/04/2010 09:59
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Post: 529
Sesso: Maschile
28/12/2007 17:07

PROMESSE VISIVE
NEBBIOSE, NATALIZIE IMPRESSIONI SU EASTERN PROMISES

E’ destino che i film di Cronenberg escano sotto le feste e che io, nel mezzo della Pianura Padana, mi stringa nel cappotto semiassiderato, con la pioggerellina che mi disturba oltre che le membra anche la guida notturna, per andare al cinema l’antivigilia di natale per vedere l’ultimo Cronny. Entro eccitato, senza aver letto quasi niente del film a parte l’argomento della storia, qualche impressione positiva e i premi già guadagnati. Assisto alla proiezione, dall’una e venti alle tre di notte, quindi già in piena vigilia. È una storia che si ripete, stessa faccenda di due anni fa. Esco perplesso e mi chiedo che cosa ho visto. Cerco di recuperare i fili, tirare le somme, arrivare ad un risultato definito, come in un’operazione matematica. Cosa che per Cronenberg è meglio non fare, solitamente, ma di fronte a Eastern Promises, così come A History of Violence, mi sento obbligato, perché è evidente che la perfetta linearità e coerenza narrativa, antitesi di film come eXistenZ per dirne uno, sprona ad interrogarsi sul risultato, sul messaggio, sulla morale. Non è stato così anche per Inseparabili? Ma lasciamo perdere di citare sempre i vecchi film o di sottolineare le differenze.
Volendo procedere per importanza, di Eastern Promises ('Promesse dell'est', e non 'La promessa dell'assassino') colpisce innanzitutto la presenza di elementi molto cari alla poetica cronenberghiana classica. Un ruolo da protagonista è giocato dal significato del corpo e dell’individuo come membro di un clan. Sulla pelle è tatuata la storia di Nikolai, Kirill e di tutti i membri della famiglia appartenente al clan mafioso (russo) Vory V Zakone. La padronanza del corpo è una dote da cui non si può prescindere. Nikolai, che ci viene presentato come un autista e una sorta di tuttofare, e il cui scopo è salire di rango all’interno della famiglia, è assolutamente professionale e professionista, padrone di sé stesso, gelido come un blocco di ghiaccio. Kirill veste il ruolo dell’elemento difficile e suscettibile, immaturo, incapace di controllarsi. Verso il finale ci viene rivelato che Nikolai è un agente infiltrato, e questo, nonostante non tolga nulla al gusto del film, sembra stravolgere il significato che si è dato alla sua figura. Ci si chiede allora se le cose che Nikolai racconta di sé stesso (“sono morto molti anni fa” dice di fronte alla casta criminale) siano vere oppure no. E’ conscio del significato della sua presenza, del suo ruolo, dei rituali a cui si trova sottoposto? Se mente, mente talmente bene da farla in barba a tutti. Quanto si identifica nel ruolo che ha assunto come infiltrato? Chi è veramente? Questo mi domando, ed è il dubbio che Cronenberg insinua più di ogni altro nei suoi ultimi film.
Come in A History of Violence, ci troviamo di fronte a un individuo la cui storia è sinonimo di mutazione. La mutazione è insita nella vita dell’individuo. Mutazione psicologica e sociale, quindi. In questo caso, l’individuo è letteralmente camaleontico. I suoi occhi non rivelano mai ciò che pensa davvero, ancor meno le sue parole, il suo corpo rivela una storia che noi sappiamo che non è… vera? più astutamente, la sola? La sua posizione è camaleontica. Al personaggio di Nikolai è contrapposto quello della bambina, di cui Anna – e noi con lei – si chiede: chi è? Qual è la sua posizione? Cerca così di ricostruire la storia della madre e rintracciare la sua provenienza.
Un tema importante, in questo film come nel cinema cronenberghiano in generale, è la presenza di società o nuclei di persone con potenti significati. Nei vecchi film si parlava di laboratori e multinazionali scientifiche. Ora il nucleo è andato restringendosi ad ambiti familiari e di comunità: la famiglia, la gang mafiosa, la cittadina. In Eastern Promises è il secondo ad assumere il ruolo preponderante. Il riconoscimento dell’individuo come membro di un clan, una comunità le cui regole e il tipo di vita si discostano con quelle della società comune, e naturalmente ne sono al margine. Qui il concetto viene rappresentato in tutta la sua forma losca e rituale, e sicuramente per questo si parla di mafia russa piuttosto che dei gangster in doppiopetto stile Scorsese. Le organizzazioni cronenberghiane diventano figure emblematiche, i “cattivi” se le si guarda nella superficialità della trama, ma intrecciate nel tessuto sociale e psicologico della comunità, e dell’umanità intera, in quel limbo tra l’ingiusto premeditato e l’istintivo giustificato.
Tornando al discorso del corpo, c’è una scena – già diventata cult – che mostra con tutta la sua ferocia l’essere umano nel senso simbolicamente più primitivo. La scena della sauna sono cinque minuti che afferrano lo stomaco e stringono forte. Cronenberg è al suo vertice: non è una scena di paura, da thriller, e non sono nemmeno gli schizzi di sangue che fanno male. Solo ci coglie totalmente incapaci di reagire a ciò che vediamo. Sono gli elementi nella loro totalità a costruire questo disagio. Il fatto che Nikolai combatta (e uccida) nudo. Un uomo nudo è per definizione inerme, ed è incapace di reagire o di lottare. Siamo noi ad essere nudi di fronte alla scena. Non si abbassano gli occhi per non guardare, nonostante il dondolino di Viggo Mortensen, non è quel tipo di scena. La mia reazione, circa a metà, è stata di scoppiare a ridere, perché stavo sudando freddo non sapendo come guardarla e come accettarla. Va detto che la scelta registica di Cronenberg è stata tutt’altro che ingenua nel piazzarla così improvvisamente in un modo che la fa sembrare infinita. Per non parlare della cinepresa che scivola tra le mura della sauna e tra i corpi mostrando (per davvero, non per finta come nei film) la lotta alla stregua di una danza, senza cambiamenti di inquadratura, senza i primissimi piani usati per mascherare. Alla violenza o alla ripugnanza Cronenberg ci ha abituati, ma ora è diventato più sottile e tagliente, ora fa molto più male.
Anche la violenza psicologica è diversa, più attenuata lungo tutto il film. La vicenda familiare di Tom Stall in A History of Violence raggiungeva un’angoscia giustamente superiore, e continuativa fino alla fine (anzi, il finale non serve a attenuarla). Eastern Promises, per questo aspetto, gioca invece sulla vicenda di Anna e della neonata orfana.
Questa è a tutti gli effetti un’altra storia che si congiunge con quella di Nikolai fino all’unico, drammatico e simbolico finale. Nel sangue della bambina c’è la prova per incastrare il padre di Kirill, il boss, nei confronti del quale Kirill nutre una sorta di adolescenziale mix di adorazione e incomprensione. Sta per uccidere la bambina ma è convinto da Nikolai a non farlo e a lasciare che il “re” cada. Naturalmente andrà lui al suo posto. L’ultima scena mostra Nikolai seduto al tavolino, il nuovo capofamiglia. Poi la dissolvenza e i titoli di coda. Ma non è finito niente, abbiamo visto solo un episodio di una vicenda tutt’altro che conclusa. La storia termina quando Anna ottiene l’affidamento della bambina, e la vediamo felice e vestita di abiti luminosi, nella sua casetta improvvisamente colorata in modo caldo. Di contro, Nikolai siede al tavolo in penombra, vestito di scuro e con i tatuaggi neri sulle mani congiunte. In A History of Violence il ciclo si chiudeva lasciandoci però l’interrogativo sull’accettazione di Tom Stall da parte del suo “clan” (la famiglia). Qui assistiamo a uno spaccato, a una linea essenzialmente infinita sia da un capo che dall’altro, ma dall’ultima scena sappiamo che Nikolai ha raggiunto il suo obiettivo, così come Anna, e tanto basta per non darci quelle ulteriori risposte che appiattirebbero ciò che ci è stato mostrato. E così ci si alza dalla poltrona con i personaggi ancora vivi nella mente, non uccisi dalla fine del film. Sono astuzie di una sceneggiatura e una regia di questo tipo a sottolineare, senza utilizzare spiegazioni, il problema dell’identità e tutti i concetti che Cronenberg vuole trasmettere nella sua pellicola, senza assolutamente ingannare lo spettatore con finali improbabili o inconcludenti per il gusto della svolta, alla maniera del comunque bravo M. N. Shyalaman.
Se c’è una caratteristica del cinema odierno del nostro Cronny è una minor immediatezza. Non che Il Pasto Nudo sia un film immediato nel senso di semplice e chiaro, ma è immediato nel modo di porsi, per la sua singolarità. Da Spider a Eastern Promises (ma anche già prima con Inseparabili) i film si sono fatti “normali” in senso cinematografico e narrativo, basati su una lenta narrazione e un preciso ordine di eventi, ma proprio per questo – per essere diventati sottili – vanno rivisti innumerevoli volte per poter essere compresi, perché nell’immediato leggiamo essenzialmente la trama superficiale che ci lascia uno strano sapore in bocca. La visione di Cronenberg sta partorendo immagini sempre più monocromatiche, teatrali e statiche, che mi ricordano le varie Twin Peaks lynchiane. Questo crea un’irrimediabile complessità visiva e interpretativa, ma anche un’atmosfera immediatamente avvertibile che affascina anziché disturbare, avvicinando a Cronenberg lo spettatore comune che non sarebbe mai entrato al cinema a vedere Videodrome o La Mosca.

Matt – davidcronenberg.tk
[Modificato da |Painter| 28/04/2010 09:59]
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