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RECENSIONI - Rassegna Stampa / 1

Ultimo Aggiornamento: 11/06/2010 14:13
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Sesso: Maschile
27/12/2007 12:59


RASSEGNA STAMPA PARTE 1


Con Eastern Promises la maturazione di Cronenberg, ormai sdoganato anche dalla critica mainstream non più costretta a sbattere il muso di fronte a sperimentazioni para-lisergiche o opere comunque difficilmente assimilabili, giunge a compimento. Il suo cinema acquisisce una classicità e un'essenzialità che le tematiche noir esaltano consegnandoci il film ideale alla consacrazione definitiva del suo autore. Un Viggo Mortensen magnifico (circondato da un cast diretto alla perfezione) chiude il cerchio che musiche, fotografia e una sceneggiatura eccellente avevano già contribuito ad avvicinare a Giotto. Ogni parola è soppesata, non c'è uno sguardo fuori posto, i personaggi trovano tutti il loro spazio collocandosi in un mosaico composto ad arte da un maestro che ha saputo con gli anni affinare uno stile in grado di confrontarsi a viso aperto coi migliori registi di sempre. La contiguità col precedente A History of Violence è più apparente che reale: qui la convinzione nei propri mezzi è superiore e l'articolazione del soggetto più ricca di spunti interessanti. Mortensen ricalca in parte le caratteristiche che avevano reso grande il protagonista di A History of Violence, ma è integrato in un disegno complessivo molto più sfaccettato e vario. Cassel è una buona spalla, Naomi Watts svolge con diligenza e professionalità il compito. Ancora esplosioni di violenza improvvisa e sangue, ma ormai nessuno riesce più a definirli gratuiti. Il film non ingrana subito, ma quando lo fa rapisce fino all'ultima scena. Londra appare più gelida dei volti dei mafiosi russi che la abitano.
davinotti.com



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Feroce da far male. Eppure assai lontano dal sadismo massificato del corrente horror adolescenziale. La Promessa dell’Assassino (Eastern Promises) è un film memorabile che dalla sua trama noir estrae col bisturi dello stile un grumo di contemporaneo orrore «multiculturale». David Cronenberg, l'inquietante alchimista dell'anima e del corpo mutanti (Inseparabili, Crash, Il Pasto Nudo), vi studia come al microscopio le personalità aliene e i codici ossessivi della malavita venuta dall'est ex-comunista che si propaga in un habitat all'apparenza tranquillo ed elegante, ma in profondità mefitico e marcio, in cui la lotta darwiniana per il mercato e per gli affari produce un'interminabile catena di violenze e sopraffazioni. Il sessantaquattrenne regista canadese esercita, così, un controllo minuzioso sulla virulenta materia romanzesca, rifinendo i dettagli della messinscena e indirizzando lo sguardo dello spettatore con un nitore pressoché glaciale, che si lacera, però, di colpo in poche acmi quanto mai brutali: con la conseguenza, tutt'altro che scontata, di allestire una sorta di balletto per immagini o di coreografia funesta e rituale, una sinfonia in crescendo del massacro che confluisce, non a caso, in sottofinale nella sequenza dell'agguato al bagno turco destinata ad entrare di prepotenza nel pantheon del genere. Naomi Watts è l'ostetrica ingenua e impulsiva che vuole in qualche modo riscattare il tragico destino di una spaurita e fuggiasca partoriente; Viggo Mortensen lo statuario e laconico autista di uno dei clan russi più potenti di Londra; Armin Mueller-Stahl l'elegante, irreprensibile titolare del ristorante etnico a cui fa capo l'antica fratellanza criminale «Vory V Zakone» (Ladri nella Legge); Vincent Cassel l'isterico e fragile figlio del boss... Quattro pedine risucchiate in un gioco mortale, scolpito da riprese geometriche ed essenziali, concentrato sugli interni minimalistici e gli esterni freddi e scivolosi, scandito da una luce disturbante e precaria, via via sempre più stretto in una morsa impermeabile alla paura e alla logica della gente normale. L'interesse di Cronenberg per la patologia «concreta» - più che sociologica o filosofica - dei rapporti umani trova nella sceneggiatura di Steve Knight (già autore di Piccoli affari sporchi per Stephen Frears) un appiglio particolarmente congeniale: i tatuaggi dei criminali russi, spaventosi intarsi d'iscrizioni, figure e diagrammi che conferiscono un'ulteriore valenza metaforica al film e permettono al regista di ribadire le sue provocatorie convinzioni sulla superiorità della pelle sulla mente, del dolore sulla memoria, dell'esigenza del martirio autolesionistico sull'aspirazione alla morale «naturale». Mortensen sembra, in questo senso, un interprete ideale perché solo la sua andatura robotica e la sua maschera scheggiata possono tentare di comunicare sentimenti oscuramente devianti senza doversi arrendere alla normalizzazione del the end. In cui, al contrario, la solitudine del potere del padrino alla Coppola sembra murarsi nella masochistica attesa dell'annientamento.
Valerio Caparra, Il Mattino



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Veggente esploratore di orrori biomolecolari, instancabile detective delle fluttuazioni e degli spettri dell'identità, dopo il western A History of Violence, David Cronenberg sceglie un gangster movie russo, ancor più compatto e essenziale del film precedente. Il regista nega ogni continuità, ma Eastern Promises (scritto da Steve Dirty Pretty Things Knight) è un doppio programma ideale con A History of Violence - stessa vena stringata, stessa geometria perfetta, stessa fascinazione per la violenza, nelle sue forme più fisiche e esplosive, come in quelle di assoluta immobilità. Ed è una violenza a base di lame, non di pistole, ancora più paurosa perché incredibilmente intima. Non a caso, il regista canadese ha detto di essersi ispirato alle decapitazioni arrivate persino su Internet. Il set è la Londra russa East End, più Dickens che Livinenko. Il milieu - cui si accede, come a un altro mondo, attraverso il portone di legno di un vecchio ristorante - è una famiglia di Vory V Zakone, la rigida casta criminale fiorita già nella Russia zarista e poi nell'Urss di Brezhnev. Nel film di Cronenberg, i Vory sono esemplificati in un crocevia di commerci che vanno dall'oppio afghano alle prostitute minorenni allo champagne da 3 lire. Il tutto controllato dalle gerarchie dei legami di sangue e dall'occhio impossibilmente azzurro di un vecchio capofamiglia, Seymon (Armin Mueller-Stahl). Il tutto in via di estinzione, minacciato com'è dalla presenza Nato in Afghanistan che danneggia il commercio della droga e dall'arrivo sulla piazza di feroci famiglie del crimine ceceno per cui i codici dei Vory non contano nulla. Tony Soprano e Michael Corleone sono le versioni meridionali, solari, del glaciale Seymon. Ma, nonostante la sua dimensione asciutta, molto poco operistica, il film di Cronenberg ha una sontuosità di dettagli - dai colori del caviale servito nel ristorante, a quelli dei fiori che lo decorano, ai volti decrepiti che lo popolano, alla palette infinita di neri in cui è immerso il tutto, fino all'aroma di borsh che quasi emana dallo schermo - che ricorda le magnificenze rituali e arcaiche delle mafia coppoliana. Il tono funereo dei Padrini e di The Funeral di Abel Ferrara è lo stesso.
Vincent Cassell è Kirill, il figlio del boss, debole, troppo emotivo e debosciato. Un altro segno della fine. Viggo Mortensen - una maschera impenetrabile, nascosta dietro a un pesante accento russo, occhiali neri, Armani impeccabili e vetri scuri della Mercedes - è l'autista. Seppellita nel passato di Mortensen in A History of Violence, la cifra del cinema cronenberghiano, l'identità, è qui - in prima istanza - un fatto di superficie - letteralmente parlando, di pelle. Sta infatti negli elaboratissimi tatuaggi che decorano il corpo dei membri della «famiglia» e ne determinano rango e storia - una biografia incisa sui pori. Scoperti da Mortensen in un documentario sulle prigioni russe, The Mark of Cain, di Alix Lambert, i tatuaggi sono diventati importantissimi, «una metafora e un simbolo nel film - spiega Cronenberg - l'espressione di un mondo specializzato che muore a causa dei cambiamenti verificatisi in Russia negli ultimi 10 anni».
Alla porta di questo mondo in regale, sanguinaria, estinzione, arriva un'ostetrica (Naomi Watts) armata solo di un biglietto da visita del ristorante. È di origini russe anche lei - per via del padre, di cui cavalca (omaggio a Marylin Chambers di Rabid) la vecchia moto. Luminosa e solo apparentemente fragile, Anna sta cercando la famiglia della quattordicenne morta pochi giorni prima in ospedale dando alla luce una bambina. Insieme alla neonata, la ragazza ha lasciato un diario in cirillico su orrori che la gente normale non dovrebbe mai conoscere, le ha spiegato lo zio Stepan (un fantastico Jerzy Skolimowski, dal cui Moonlighting Cronenberg ebbe l'idea di scritturare Jeremy Irons in Dead Ringers), che lo ha tradotto e millanta un passato nelle retrovie del Kgb. È un diario su cui Seymon deve mettere le mani per proteggere gli esecrabili segreti dei Vory, racontati anche in voice over dalla ragazza morta, il cui spettro strega la storia, oltre che Anna. Non importa se si tratta solo di una fessura. Una volta dischiusa, dalla porta del ristorante esce ogni sorta di mostro: esecuzioni sommarie, dita tagliate, miniprostitute imbottite di droga da scoppiare e una scena nel bagno turco che - ha già anticipato Cronenberg - passerà alla storia come la scena della doccia di Psycho. Non solo per la ferocia del corpo a corpo tra l'autista e due killer armati di coltello ma perché Cronenberg si diverte a far combattere Mortensen completamente nudo. Attore ermetico e poco affettato, perfetto per il cinema austero del maestro canadese, Mortensen è di nuovo il cuore di tenebra del film. Il suo rapporto con Anna, aldilà della cortina di ferro, è fatto di gesti impercettibili, di occhiate, apparizioni improvvise. Non la tocca quasi, ma l'intensità è quella dell'amplesso sulle scale con Maria Bello.
Giulia D'Agnolo Vallan, Il Manifesto



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Una Londra inedita ritagliata in certe vecchie zone periferiche dove gravitano organizzazioni criminali di ogni parte del mondo. La scelta di questa ambientazione fatiscente, ma non squallida perché rievocante un passato, è la chiave di volta del nuovo film di David Cronenberg. La Promessa dell'Assassino: un thriller che, pur senza sovvertire le regole del genere, segue un suo fascinoso percorso interiore. Per rintracciare i parenti di una russa adolescente, morta dissanguata di parto, l'ostetrica Naomi Watts si serve del suo diario e approda a un elegante ristorante transiberiano, il cui proprietario Armin Mueller Stahl non è il gentiluomo d'altri tempi che sembra, bensì l'affiliato della temibile cosca Vory y Zakone legata al traffico delle prostitute dall'Est. E cosa si nasconde sotto il viso glaciale e crudele di Viggo Mortensen, autista al servizio di Vincent Cassel, figlio debosciato e intemperante di Stahl? D'altronde anche Naomi, cercando la verità, scoprirà qualcosa di se stessa. Nel rispetto della struttura del noir, Cronenberg si sofferma a indagare sul quartetto di anime in pena al centro della storia, come fossero personaggi di Dostoevskji. Gli interpreti sono tutti ottimi: ma è Mortensen, intenso e ambiguo, davvero straordinario, a dominare la scena.
Alessandra Levantesi, La Stampa



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C'è la violenza degli horror, quella dei vendicatori solitari, quella dei film sulle guerre e quella sui serial killer. C'è la violenza così assurda che diventa comica dei fratelli Coen e quella stilizzata e grottesca di Quentin Tarantino. Poi c'è David Cronenberg, una violenza estremamente grafica, rivoltante a volte, altre ancora letta come uno stimolo sessuale. Ma se tutti i 17 film che ha firmato, da The Dead Zone a Dead Ringers, da La Mosca a La storia della violenza, sono centrati attorno a questo tema, Cronenberg mira non a stupirci o a impaurirci ma a svegliarci, a stimolare la nostra coscienza e la nostra moralità. Come in Eastern Promises, il suo ultimo film che ha vinto il premio del pubblico al Festival di Toronto e che verrà mostrato alla Festa di Roma. Potremo vedere il taglio di una gola che dura un'eternità, una lotta a sangue che dura ben quattro minuti tra Viggo Mortensen, il protagonista, nudo in un bagno pubblico ricoperto solo dei suoi 34 tatuaggi, e altri due energumeni. Una violenza che non ha niente di elegante e di estetico. E che il regista canadese spiega così: «Penso che la gente sia tratta, incuriosita, respinta, impaurita dalla violenza e ha ragione. Anche quando vedi i terroristi che mozzano la testa a un innocente con tutti i canti e i rituali, c'è un qualcosa di perversamente erotico. Allo stesso modo di uno che non ha mai messo le mani addosso ad alcuno, nemmeno ai tempi della scuola, e che non crede nell'aldilà, vedo la morte come la distruzione totale di un corpo la cui esperienza non potrà venire mai più replicata. Una vera tragedia, non una cosa astratta. E perché il pubblico possa apprezzarne la portata, occorre dargli qualcosa con cui spaventarsi, sia fisicamente sia emotivamente. Se conoscessimo le conseguenze reali della guerra sui nostri corpi, avremmo eliminato i conflitti». Eastern Promises si riferisce a promesse dell'Est, a quelle fatte a giovani ragazze arrivate in occidente con sogni di carriera e ricchezze e che si ritrovano a prostituirsi come schiave e alle promesse fatte tra maschi che trapiantano in occidente le loro imprese criminali. Eccoci a Londra in mezzo a un gruppo di mafiosi russi capitanati da Armin Mueller-Stahl che a sua volta conta su due luogotenenti senza scrupoli: Vincent Casell e Mortensen. È un killer, il suo corpo ricoperto di tatuaggi testimonia gli anni in carcere e il suo grado nella gerarchia. Uno capace di gettare un cadavere nel Tamigi come si trattasse di un pacchetto vuoto di sigarette. Ma sa anche sciogliersi di fronte a Naomi Watts, una levatrice che si ritrova in possesso di un diario esplosivo. «Quando David mi ha contattato e poi mi ha mandato la sceneggiatura non ho avuto alcun dubbio sul fatto che volevo essere parte di questo progetto», sostiene l'attrice australiana, che due settimane dopo l'inizio delle riprese ha scoperto si essere incinta. «Con David la violenza acquista una prospettiva diversa». E la gravidanza, a che cosa l'ha fatta pensare? «Sono diventata estremamente protettiva, scopro che passerei le mie giornate ad allattare e a guardare il mio bimbo, potrei non fare altro». Se per la Watts è stato il primo film con Cronenberg, per Mortensen è stata una riunione, nella quale si è buttato con grande meticolosità per poter portare la massima dose di realismo. Per scoprire le radici del suo personaggio, ha passato due settimane in Russia da solo, da anonimo, tra Mosca, la Siberia e gli Urali. Quando il regista gli ha chiesto se voleva delle controfigure, come nella scena del nudo, si è rifiutato. «Non sono molto attraente, lo so. Ma sapevo di poterlo fare e ho chiesto a David di essere io». Anche per quanto riguarda i tatuaggi, è stato Viggo stesso a insistere che fossero parte integrante del personaggio e ha passato settimane a studiare i simboli usati dai russi delle prigioni. «David non è uno che ti offre risposte, è un regista che ti forza a porti molte domande». Cronenberg ricambia: «Viggo è perfetto per questa parte. Ha un look molto russo e un grande dominio delle lingue. E non se ne sta lì a prendere ordini, ha sempre suggerimenti da dare».
Lorenzo Soria, La Stampa



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Bello e straziante, La Promessa dell'Assassino di David Cronenberg racconta la desolazione e il vuoto letale del nostro mondo. Naturalmente, nel film magnifico s'intrecciano molte avventure nere. Una lotta inedita, all'interno di una sauna, tra due ceceni vestiti di nero e Viggo Mortensen che sguscia nudo tra loro. Una terribile coltellata dentro l'occhio sinistro. Una ragazzina morente che partorisce nel sangue una bambina. Un cadavere messo in freezer, scongelato con un asciugacapelli, al quale vengono tagliate tutte le dita, estratti tutti i denti, per privarlo di ogni identità. Coltelli napoletani, curve lame da linoleum. Un diario contenente notizie atroci sulla prostituzione di dodici-quattordicenni dei paesi dell'Est europeo. Un fastoso, tetro ristorante russo a Londra dove si svolgono i commerci più abietti, diretto da un vecchio benevolo infinitamente crudele. Una buona ostetrica di origini russe, un suo zio (è il regista polacco Jerzy Skolimowski) che si vanta mentendo di essere stato nella polizia politica sovietica, il Kgb. Violenze terrificanti. Ma la maggiore violenza sta nel quadro del mondo che Cronenberg traccia con forza spietata, esaminando in particolare il condizionamento imposto in Occidente dalla gente smarrita dell'Est europeo, senza più storia né memoria, portatrice d'un contagio mortale. Il grande regista canadese è cambiato. Se finora il suo cinema aveva raccontato anomalie (la mosca incorporata, i gemelli inseparabili, la cantante uomo di M. Butterfly, i giochi di realtà virtuale), è come se adesso si fosse reso conto che tutto è anomalo, che la normalità o la norma non esistono più. Dal 2005 di A History of Violence, il suo cinema s'è fatto più convenzionale e insieme più profondamente caotico nel tentativo di rappresentare un mondo anarchico privo di punti di riferimento, nel quale la generosità, l'altruismo, la bontà sono capricci paranoidi come tutto il resto.
Lietta Tornabuoni, L’Espresso


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Grande film di un regista capace di sorprenderci ogni volta, La Promessa dell’Assassino è un Taras Bulba riambientato nella Londra odierna, dove i legami famigliari, i rituali, la violenza della mafia russa del clan "Vori v'zacone" sembrano rimasti fermi a quelli degli antichi cosacchi di Gogol. Nel bel mezzo del clan mafioso capita l'ostetrica Anna, anche lei di origine russa: ha assistito al parto e alla morte di una ragazzina e ora cerca una famiglia cui affidare la neonata. E' così che incontra Seymon, capogang sotto la maschera di ristoratore, e i suoi due figli: l'uno naturale, lo squilibrato Kirill, l'altro adottivo, il carismatico Nikolaj, autista-killer apparentemente freddo come una lama, in realtà ansioso di riscatto. Attraverso Anna, Nikolaj inizia un percorso di riscatto che lo mette in conflitto con il milieu criminale.
Conoscendo il repertorio delle ossessioni di Cronenberg, sei tentato di andare in automatico: vero, nel suo nuovo film si ritrova la violenza, estrema e stilizzata insieme, del penultimo, A History of Violence; certo, la carne è ancora il fulcro del suo cinema, nei corpi sgozzati, massacrati, stuprati, umiliati (terribile la scena in cui Nikolaj "testa" sessualmente una giovane ucraina) che traversano il film da cima a fondo. Però, rispetto all'altro, il criterio di rappresentazione subisce un ribaltamento: in History il regista adottava un tono grottesco, quasi parodistico; qui, l'atmosfera noir è tragica, feroce e malinconica senza soluzione di continuità. Nel milieu della mafia messa in scena come una tribù barbarica, i criminali russi perdono anzi - per la prima volta - il colorito caricaturale con cui il cinema era solito mostrarli.
Quanto alla violenza, c'è il rischio di scambiarne la rappresentazione per fascinazione: specie nella sequenza del bagno turco in cui Nikolaj, nudo, si batte a morte con due sicari vestiti di pelle nera; combattimento di brutalità animalesca, che immaginiamo già nelle future antologie del gay-movie, accanto alla "ripassata" di Marlon Brando nel Selvaggio.
E invece, le cose non stanno affatto così. Proprio nel modo radicale, crudo con cui la violenza è trascritta in immagini c'è la presa di distanza da essa, un'implicita somministrazione di disgusto allo spettatore, per la violenza in se stessa e per una cultura dove qualsiasi antagonismo - nella famiglia, nei rapporti. negli "affari" - è lavato col sangue. Quel che sembra premere di più al regista canadese, questa volta, è esplorare il confine interiore fra luce e ombra; meglio, l'ambivalenza costitutiva della natura umana, dove ombra e luce convivono indissolubili.
In fondo, La Promessa dell’Assassino può essere guardato anche come una storia d'amore tra angeli decaduti, il killer tatuato e la giovane ostetrica contaminata dalle brutture del mondo; però senza la pretesa di distribuire condanne o assoluzioni, né di impartirci lezioncine di morale, ma traducendo tutto in immagini potenti, articolate senza mai una caduta di tensione. Assassini a parte, insomma, quello di Cronenberg è un film che mantiene (di quanti si può dire altrettanto?) interamente la sua promessa.
Roberto Nepoti, La Repubblica



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Eastern Promises, livido horror sociale di Cronenberg, è un film sconvolgente per cosa dice, come lo dice, quanto lo dice: nessuno è come sembra. Ideale seguito di quel doppio western che era A History of Violence, La Promessa dell’Assassino si svolge fra i capoccia della mafia russa a Londra in un intrigo laocoontiano di razze, violenze, un trionfo del malaffare organizzato dai grandi boss della casta criminale russa approdato nella Londra off off turismo. Dove vive e prospera, trafficando in corpi e prostituzione, la famiglia affiliata alla fratellanza che ha espulso dalla propria morale ogni comandamento: padrino è il proprietario di un ristorante transiberiano che lavora col figlio, giovane uomo senza qualità, ma il suo vero alter ego è un misterioso autista killer senza cuore. Finché, un Natale, incontra una bionda ostetrica che ha appena visto morire una ragazzina di parto, ha preso la piccola cercando di scoprire cosa si celi dietro questo scenario di povertà post dickensiana. Il Male che viene dall' Est, non immune dal Kgb, è organizzato meglio, ma lo spostamento di una pedina rompe tutti gli equilibri. Sarà l' inizio di una metamorfosi che vede un cambio della guardia associato alla patologia autodistruttiva filiale, alla regola del clan. Insomma, siamo messi male, il tasso etico è sotto i tacchi. Cronenberg riprende il suo magistrale film col massimo del realismo ma palleggiandolo in un incubo in cui tutto è permesso, dal primo sgozzamento alla sequenza straordinaria in cui due neri e loschi figuri attentano alla vita di Viggo Mortensen nudo e tatuato in sauna. Un racconto animalesco e sensuale dove la sevizia morale e materiale è all' ordine del giorno: qualcuna delle bestioline del primo Cronenberg si è inserita nel dna di oggi. Cast da Oscar: Mortensen sembra un automa ma scopre un cuore, Cassel è debole ed edipico, la Watts è bravissima; lo spavento maggiore è nel capo tribù Mueller-Stahl.
Maurizio Porro, Corriere della Sera



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Il film di chiusura è di uno dei registi meno amati in assoluto da Moretti, David Cronenberg. Ravvedimento estetico o concessione mediatica? Un pò tutti e due: l' attesa del pubblico per Eastern Promises (che in Italia uscirà tra due settimane col titolo La Promessa dell'Assassino) ha costretto gli organizzatori ha dedicargli due proiezioni supplementari e la qualità di questo noir è decisamente molto alta. Ambientato a Londra, il film mette a confronto un' infermiera ostetrica (Naomi Watts) con il mondo della mafia russa: assistendo una partoriente minorenne, che muore dando alla luce una bambina, Anna entra in possesso del diario della giovane. Ma è in russo e per farselo tradurre chiede aiuto al gestore di un ristorante (Armin Mueller-Stahl) che scoprirà troppo tardi essere coinvolto nelle disavventure della ragazza. Così come si renderà conto che il ristorante è la facciata di un' organizzazione mafiosa dove sono coinvolti anche il figlio del gestore (Vincent Cassel) e l' autista (Viggo Mortensen). Compatto e tesissimo, con una serie di colpi di scena, il film, scritto da Steve Knight, rispetta le regole del film di genere, con la paura per il destino degli «innocenti indifesi» (oltre ad Anna, la madre e lo zio ubriacone, interpretati da Sinéad Cusack e dal regista Jerzy Skolimowski), l' inevitabile confronto/scontro tra i due «figli» del boss - quello vero, un debosciato, e quello desiderato, di cui Mortensen dà un' interpretazione indimenticabile - e una lunga lotta all' interno di una sauna, dove la violenza si spreca. Ma la logica di mercato che sta spingendo molti autori ad accettare un ritorno al cinema di genere per poter contare su budget e star di primo piano, non impedisce a Cronenberg di lasciare ben evidente la sua firma. La più evidente è quella di «leggere» sul corpo delle persone i segni del dramma: ieri quelli di un orrore che deformava le persone (Rabid, Brood, Videodrome, La Mosca) oggi i tatuaggi che «raccontano» la vita dei membri della mafia Vory v zakone (letteralmente: ladri nella legge). Così, più che il sangue che sgorga copioso, è proprio questo «destino inciso nella pelle» a segnare il film, con il suo marchio di sopraffazione che solo la morte (o il tradimento) potranno forse modificare.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera



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Il vero maschio lotta senza vestiti addosso. Combatte nudo l'antico guerriero Beowulf, montagna di muscoli cesellati al computer. L'avversario è un mostro dalla carne fradicia ma sprovvisto di armi e calzoncini, il fair play tra il bello e il bestione esige parità. Per questo la scena del duello nei Predatori dell'arca perduta – rivale con turbante e scimitarra acrobaticamente manovrata, Indiana Jones che lo fredda con un colpo di pistola, fregandosene della correttezza guerriera – strappava l'applauso. Combatte nudo Viggo Mortensen in La Promessa dell’Assassino (all'origine, con più precisione e meno melodramma: Eastern Promises): due killer lo sorprendono in sauna avvolto solo in un asciugamano, che al primo cazzotto cade sulle piastrelle. Nella Leggenda di Beowulf, Robert Zemeckis frappone mille ostacoli tra noi e lui per evitare il gigantesco full frontal: strategia in stile camp intonata al film, dove la diabolica Angelina Jolie ha i tacchi dorati che le spuntano dai talloni. Qui David Cronenberg gioca d'astuzia, tra voyeurismo e raccapriccio: una coreografia ad altissimo tasso di violenza, difficile da guardare senza chiudere un po' gli occhi, protegge la nudità dell'attore, ornata da una collezione di tatuaggi che raccontano la sua carriera nella mafia russa. Ogni disegno ha il suo significato, e se un giovanotto intende davvero arrivare ai vertici deve lasciar spazio per la stella che certifica l'affiliazione. Il sangue scorre fin dalla prima scena, sulla poltrona del barbiere, in una Londra che non ha nulla di riconoscibile, bagnata da un Tamigi marroncino, buono per occultare cadaveri senza denti né polpastrelli. Dopo il primo choc, il regista cambia ritmo e si dedica agli interni familiari odoranti di borscht, mentre un diario passa di mano in mano, bisognoso di traduttore. Lo ha trovato l'ostetrica Naomi Watts, tra le povere cose di una ragazza morta di parto. Cercando i parenti della neonata, si imbatte nell'autista (con obbligo di becchino) che trascina da un night all'altro l'ereditiero – nel senso della famiglia mafiosa – Vincent Cassel, bravo e unto di brillantina come non lo avete mai visto. Armin Mueller Stahl organizza pranzi di nozze nel ristorante che fa da copertura. Il regista polacco Jerzy Skolimowski, nella parte dello zio che forse lavorò per il Kgb, completa lo splendido cast di uno splendido film.
Mariarosa Mancuso, Il Foglio
[Modificato da |Painter| 11/06/2010 14:13]
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