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Cronenberg su "La Zona Morta"

Ultimo Aggiornamento: 29/02/2012 16:08
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Post: 529
Sesso: Maschile
16/10/2007 17:09


CRONENBERG SU LA ZONA MORTA

Cronenberg: Se sei abituato a fare commedie, allora La Zona Morta è un film faticoso, ma se sei abituato a film come Videodrome, La Zona Morta in confronto è rilassante. In quel momento avevo bisogno di lavorare sulla sceneggiatura di un altro, sarebbe stato un sollievo. […] Avevo incontrato a Toronto John Landis ed eravamo diventati amici. Quando sono passato a trovarlo a Los Angeles, nel suo ufficio c’era Debra Hill. Non l‘avevo mai incontrata prima, ma la conoscevo di nome per il suo lavoro con John Carpenter. Mi ha detto: “Sto per fare un film con Dino De Laurentiis che ti dovrebbe interessare. Si tratta di La Zona Morta. Saresti interessato a dirigerlo?” Io ho risposto di getto: “Sì” sorprendendo persino me stesso. […]
Guardando indietro, potrei dire che La Zona Morta ha delle particolarità: i personaggi appartengono a una piccola cittadina rurale, invece di essere urbani; sono semplici e gentili per tradizione; si chiamano Johnny Smith; vivono nella campagna del New England; la politica è lontana mille miglia. Tutte cose che generalmente non mi interessano. La sessualità non viene a galla in La Zona Morta nello stesso modo in cui emerge negli altri miei film, anche se è sicuramente presente. È qualcosa di molto represso, frenato, frustrato. Sul piano personale il film è proprio come me, ma su quello cinematografico suppongo di no.
Dunque, c’è un uomo che pensa di sapere cosa sta accadendo e dove si trova e poi improvvisamente ha un incidente, qualcosa di fisico: una disgrazia. Improvvisamente capisce di non essere più quello che pensava di essere, la sua vita non potrà più essere come pensava che sarebbe stata. È un alieno, un estraneo. Ha dentro i sé i germi per diventare un visionario, proprio come uno dei personaggi telepatici di Scanners. […] È il volto di Chris Walken. Quello è il soggetto del film, l’argomento di cui tratta. Tutto ciò che è nel suo volto. È difficile scrivere su un tema del genere. I personaggi di La Zona Morta sono tendenzialmente timorati di Dio, mentre negli altri miei film non lo sono affatto. Dato che i molti scienziati dei miei primi film sono sempre assenti, anche se si sente la loro influenza, penso che ci sarebbero ragioni fondate per dire che, in La Zona Morta, Dio è lo scienziato i cui esperimenti non sempre funzionano e Johnny Smith è uno dei suoi esperimenti non riusciti.
[…] La sceneggiatura scritta da Stephen King era terribile. Non solo era brutta, era anche quel tipo di sceneggiatura per cui i suoi ammiratori mi avrebbero fatto a pezzi: mi avrebbero accusato di distruggere il suo lavoro. Era una sceneggiatura davvero sgradevole e fastidiosamente cruda. […] Ognuna delle cinque sceneggiature che mi avevano consegnato conteneva cose di questo tipo. Io ero sempre dell’idea di non scrivere la sceneggiatura, e quella di J. Boam, delle cinque che avevo letto, era quella che mi piaceva di più, per la sua vicinanza con il tono e l’approccio del romanzo. Quando non si tratta della tua sceneggiatura originale è tutto diverso, ma gradualmente diventa la tua e improvvisamente non riesci più a sentire la differenza. […]
Siccome le immagini sono piuttosto innocue, il film è più gradevole. […] Questo è probabilmente uno dei motivi per cui l’ho fatto. Per la catarsi emotiva; per trattare questo genere di cose. L’ingiustizia della vita in generale, resa particolare attraverso una storia d’amore. Capivo profondamente i miei personaggi e ciò che accadeva, senza sentirmi superiore; sarebbe orribile realizzare un film a cui ti senti superiore. […]
Stephen King si è definito il Big Mac della letteratura, io penso che abbia ragione. […] Prende le persone per mano e le accompagna lungo un sentiero che non percorrerebbero normalmente. […] Sta facendo esattamente ciò che desidera, inoltre è un artista assolutamente puro e integrato. Penso che per lui, come per chiunque altro, sia una sorpresa il fatto che il suo lavoro possa funzionare per un enorme numero di persone. […]
Guardo ancora i disegni di Normal Rockwell; li abbiamo presi come modello per i manifesti di Stillson. L’intero film aveva quel tipo di luce. Ero davvero immerso nel puritanesimo del New England, quel particolare freddo, la neve, la solitudine. Mi ha fatto piacere che molti critici abbiano detto che era il primo film tratto da un romanzo di Stephen King che lo traducesse fedelmente. È buffo, perché abbiamo eliminato parecchie cose del romanzo, non avevamo nessuna intenzione di riprodurlo fedelmente. Ma in qualche modo, il tono… C’era un particolare tono nel romanzo che mi ha veramente colpito, e credo di essere riuscito a renderlo.
[…] Ho girato delle scene dove lasciavo intendere che Brooke Adams aveva avuto un figlio da Johnny Smith, concepito nell’unica notte che avevano passato insieme. Il fatto è che nessuno voleva saperlo. Johnny Smith salva il mondo, ma a livello personale finisce tragicamente. […]
La Zona Morta ha avuto una accoglienza migliore di Videodrome, sia da parte del pubblico sia da parte della critica. È anche servito molto a mostrare alla gente la mia capacità di lavorare con gli attori. In questo film non c’erano solo due attori stranieri in un gruppo di sconosciuti canadesi, ma Chris Walken, Martin Sheen e Brooke Adams. Inoltre, per alcuni, il fatto che io stessi lavorando a una storia di King era considerato in qualche modo un passo avanti. Sicuramente significava l’ingresso nel grande cinema.

da Il cinema secondo Cronenberg, di Chris Rodley, edizione italiana Pratiche Editrice (attualmente fuori catalogo)



***

A proposito de La Zona Morta, hai realizzato questo film in un periodo in cui andava di moda attingere dai romanzi di Stephen King. Perché hai deciso di fare un film proprio da quel romanzo?

Cronenberg: Credo che sia stata Debra Hill a contattarmi un paio di anni prima, ma io le dissi di non essere interessato. Non avevo letto il libro e non riesco bene a ricordarmi cosa successe, ma era un periodo in cui non ero molto sicuro riguardo le mie scelte artistiche, così quando lei si rifece viva e mi mostrò ben cinque versioni dello stesso soggetto, tra cui una scritta dallo stesso Stephen King, presi più in considerazione l'idea. Dopo aver letto il romanzo ci ripensai definitivamente e decisi che forse avrei potuto farlo. In questo mondo non ci sono regole: quello che conta è l'intuito. Molti pensano che abbia una lista di cose da fare, ma non è affatto così. È l'intuito che mi fa scegliere o rifiutare i progetti. Così non ti so dire esattamente cosa mi abbia fatto cambiare idea. Ricordo che dei cinque soggetti che avevamo non ce n'era uno che andasse bene, incluso quello di King, che forse era il peggiore di tutti. Ho lavorato insieme allo sceneggiatore che aveva scritto quello che secondo me era il miglior soggetto, finché non arrivammo ad una versione che sicuramente non era fedele al romanzo, ma di cui conservava le atmosfere. Il cinema e la letteratura sono così distanti l'uno dall'altro e se si vuole adattare un romanzo per il cinema bisogna saperlo reinventare, proprio per questa loro intrinseca diversità. Mi sono appassionato durante quella fase, anche perchè era la prima volta che mi trovavo a fare i conti con un adattamento. In precedenza, a parte Fast Company, che era stato co-scritto, il resto erano tutti soggetti miei. È stata una grande esperienza e a film finito sono stato molto soddisfatto.
da un'intervista a David Cronenberg (2005) - A. Aiello, castlerock.it



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Come è nato The Dead Zone?

Cronenberg: Mi era stato inviato il copione che inizialmente rifiutai. Poi incontrai la produttrice Debra Hill a qualche festa a Los Angeles. Io non sono uno che va a molte feste. Lì lei mi propose nuovamente questo soggetto e riuscì a essere molto persuasiva, dicendomi che Dino De Laurentiis, il produttore del film, era molto interessato ad avermi nel progetto. Non ricordo perché ma, per qualche strana ragione, tutto quello che stavo facendo allora non riusciva mai a concretizzarsi, accettai così di incontrare Dino. Esistevano ben 5 stesure della sceneggiatura, una di loro addirittura curata da Stephen King, ed era sicuramente la peggiore di tutte, e lo dico sul serio. I suoi fan mi avrebbero ucciso se avessi usato quella sceneggiatura perché, per qualche motivo, aveva trasformato il suo racconto in un film su un serial killer. Comunque sia, scelsi l’autore della versione che ritenevo a me più vicina e lavorai con lui e quella fu la prima volta che giravo un film basato su un racconto e su una sceneggiatura di qualcun altro. Ci lavorammo su parecchio e fu un’esperienza davvero interessante; sino ad allora, infatti, rispettavo solo quei cineasti che realizzavano film scritti da loro ma in quell’occasione compresi che non tutti i bravi registi sanno scrivere. Puoi essere un bravo regista e non necessariamente un bravo scrittore e viceversa. Fu davvero una bella esperienza realizzare The Dead Zone, mi divertii molto e fui orgoglioso del film e pensai che era una cosa interessante, che si può lavorare su materiale di altri e quando lo si fa è come una fusione di vedute con un altro. È quasi come il sesso. Quasi, però. Vabbé, no, non è come il sesso ma è una combinazione dei rispettivi materiali genetici, senza implicazioni sessuali. Fu una cosa veramente buona per me perché dopo mi si aprirono le strade per fare qualcosa come Crash, la mia versione almeno, basata sul libro di James Graham Ballard, non quella di Paul Haggis, poi Naked Lunch basato sul lavoro di William Burroughs, e M. Butterfly, tratto dalla piéce di David Henry Hwang. È stato un bene per me perché mi ha tirato fuori da quella sorta di stato mentale estremamente rigoroso per cui si deve fare solo un certo tipo di cose e non altro; ho così compreso che ovviamente un film è sempre una collaborazione e una pellicola può trarre origine da qualsiasi cosa: un sogno, un articolo di giornale, un racconto, un testo teatrale o dallo spazio. Per questo non ha alcun senso limitarsi a un solo modo di fare cinema.
Estratto dall'intervista di Mario Sesti, temi.repubblica.it/micromega-online
[Modificato da |Painter| 29/02/2012 16:08]
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