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Cronenberg su "Videodrome"

Ultimo Aggiornamento: 29/02/2012 16:09
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Sesso: Maschile
16/10/2007 17:08


CRONENBERG SU VIDEODROME

Cronenberg: Pierre David mi ha detto: “Senti, i soldi del tax-shelter sono ovunque, ma non arriveranno prima di novembre, quando tutti avranno bisogno dell’esenzione fiscale. Noi vogliamo fare un altro film. Cos’hai per le mani?” […] Gli ho detto: “Ho queste due idee”. E lui ha scelto Videodrome. Era solo un’idea, ma gli piaceva. […] Ma quando ho iniziato a scrivere, e i particolari della storia hanno cominciato ad apparirmi chiari, ho pensato seriamente che la Filmplan avrebbe rifiutato il progetto. Tutto era molto più estremo delle mie premesse. Con mia grande meraviglia, il lavoro piaceva molto a tutti e tre, però Claude Héroux obiettò che se la storia fosse stata ripresa così come era scritta, il film sarebbe stato vietato sicuramente ai minori di 18 anni. Allora gli ho spiegato di aver scritto in modo più esagerato di come io stesso avrei voluto vederla sullo schermo.
La vicenda prende il via da qualcosa che avevo scritto tempo addietro, intitolato Network of Blood. […] L’idea nasceva dalle numerose ore notturne che avevo trascorso davanti alla televisione da bambino, quando mi capitava di vedere improvvisamente dei segnali causati da interferenze. […] Appena alcune grosse emittenti interrompevano i programmi, si riuscivano a intercettare delle emissioni più deboli, che fino a quel momento erano state mascherate e che erano spesso molto strane ed evocative. […] Era stata quella esperienza che mi aveva portato a immaginare un uomo che capta per caso un segnale bizzarro, estremo, violento e molto pericoloso. A causa del suo contenuto ne diventa ossessionato, cerca di rintracciarlo e si trova invischiato in un intricato mistero.
[…] Quando cominciai a scrivere, la storia prese improvvisamente ad alterarsi. Max aveva delle allucinazioni e gli succedevano delle cose fisiche impossibili, andavano anche oltre quelle contenute nel film. A un certo punto si rendeva conto che la sua vita non era come aveva pensato che fosse: lui stesso non era come aveva creduto di essere. Alla fine decisi di interrompere, perché la storia era così esagerata da essere troppo per un solo film. Ciò che avevo scritto mi aveva davvero sbalordito.
[…] Con Videodrome ho voluto suggerire la possibilità che un uomo sottoposto a immagini violente cominci ad avere della allucinazioni. […] In Videodrome però si suggerisce che anche la tecnologia in questione sia progettata appositamente per suscitare violenza in una persona; sappiamo già che, con l’applicazione di elettrodi a particolari aree del cervello, si riesce a provocare una risposta violenta senza utilizzare altri stimolanti.
La nostra percezione della realtà è l’unica che accettiamo. Anche se stai diventando pazzo, è sempre la tua realtà. Ma la stessa realtà, vista da una prospettiva esterna, è quella di una persona che agisce in modo distorto. Le due idee si compenetrano. In Videodrome ciò che rimane irrisolto è come Max percepisce la vita; io lo sento, ma non sono sicuro che arrivi a tutti. […] La sua caratteristica è di essere disinvolto; ma quando è costretto a confrontarsi con cose strane e difficili, non è preparato ad affrontarle in modo reale, in modo realmente emotivo. […] Allo stesso tempo, sento che Max, alla fine, riesce a manipolare questa nuova realtà in cui si trova per cercare ancora un suo equilibrio personale. […] C’è un bisogno innato di equilibrio che vuole essere espresso. Anche se non ci somigliamo, la figura di Jimmy Woods sullo schermo cominciava a essere una proiezione di me stesso. È stato emozionante trovare un attore che fosse il mio equivalente cinematografico. Prima non avevo mai considerato questa come una possibilità. […]
Videodrome era diverso da Scanners, perché era talmente strano… Scanners ha una trama tendenzialmente fantascientifica due gruppi rivali e cose del genere, ma con Videodrome stavo davvero esplorando nuovi territori; nemmeno io avevo mai visto qualcosa di simile. Non ricordo se c’era o meno lo stesso tipo di pressione che avevo subito in Scanners […]. Quando abbiamo iniziato a girare, però, le cose sono cambiate. Non sono riuscito ad ottenere esattamente il finale che volevo. Sono soddisfatto del finale esistente, ma c’erano altre possibilità. Videodrome non era il tipo di film che senti di avere in pungo. Era sfuggente. [… ]Alla fine mi piaceva così com’era; Max che si spara è il giusto finale del film. C’è un finale simile in Inseparabili, La Mosca e La Zona Morta. Per ciascuno di questi film esisteva sulla sceneggiatura una coda che non è mai finita sulla pellicola. […]
Era un film fuori dall’ordinario. […] C’erano delle donne che arrivavano sul set, si spogliavano, venivano incatenate al muro di Videodrome e picchiate, naturalmente nella finzione. A una o due di loro piaceva proprio. […] Una di loro ha continuato a comparire sul set, gironzolando qua e là, molto truccata e vestita accuratamente. […]
Avvicinandoci alla conclusione, in alcuni momenti ero incerto. Capitava che ogni cosa fosse pronta per le riprese e io bloccassi tutti quanti per andare a girare da un’altra parte. Stavo cercando la mia strada attraverso un film difficile. Anche se solitamente dico di preferire che la sceneggiatura sia definita, questo non significa che abbia già risolto tutti i problemi o che abbia il film in testa molto chiaro. […] I miei collaboratori si stavano domandando se stavo cadendo a pezzi o se ero sotto pressione a causa di qualcosa che loro ignoravano. […] Un film come Videodrome, che tratta specificatamente di sadomasochismo, violenza e tortura, può portare come naturale conseguenza molti sistemi nervosi sull’orlo della crisi. In Canada è accaduto che una donna impegnata politicamente organizzasse dei picchetti nelle strade di Ottawa per boicottare il film. Alla fine è riuscita a far togliere il film da un cinema, perché il proprietario non voleva guai. Va bene, è un suo diritto, ma questa donna era un personaggio politico, legato in Canada a un certo partito, e doveva tirar acqua al suo mulino.
[…] Ho detto di ammirare Il Pasto Nudo. Una delle barriere che mi impedisce di essere al cento per cento con William Burroughs è che la sua sessualità, in generale, è omosessuale. […] Io posso capirlo in parte, so cosa significa. Ma se dovessi avere delle fantasie di quel tipo, somiglierebbero di più al parassita che esce dal tubo di scarico della vasca da bagno; e per aggredire una donna, non un uomo. Dire che ciò è sessista, significa politicizzare qualcosa che non è politico. È sessuale, non sessista: è semplicemente il mio orientamento sessuale. Non ho ragione di pensare di dover dedicare lo stesso tempo a tutti i tipi di fantasie erotiche, che mi appartengano o meno. […] Come creatore di personaggi, credo di avere la libertà di creare un personaggio che non rappresenti tutte le tipologie. Posso scegliere un tipo di donna che non rappresenti tutte le donne. […] Se mostro Nicki Brand che si brucia il petto con la sigaretta, significa forse che per me tute le donne vogliono bruciarsi il petto con le sigarette? Questo è infantile. […] È molto difficile indovinare cosa sia inconscio e cosa non lo sia, ma se qualcuno, analizzando i miei film, dovesse scoprire per esempio che ho paura delle donne, gli direi: “Va bene, e allora? Cosa c’è di sbagliato?”. […] Non censurerei mai me stesso. Censurare me stesso, censurare le mie fantasie, censurare il mio inconscio mi svaluterebbe come regista. Sarebbe come chiedere a un surrealista di non sognare. […]
Pierre aveva cominciato a cercare contatti a Hollywood, e Videodrome fu il suo ingresso nel mondo degli Studios. […] A un certo punto, durante la lavorazione, Videodrome diventò un film Universal. […] Avevano approvato il progetto leggendo un soggetto di una pagina, diventando co-investitori […]. In secondo luogo, non si erano ritirati dal progetto dopo aver visto che tipo di film stesse diventando. Infine, avevano mantenuto la parola data, distribuendolo con una buona dose di entusiasmo. In genere, il sistema distrugge le pellicole come Videodrome prima che arrivino al pubblico. […] Abbiamo fatto una proiezione campione a Boston. È stato un disastro. […] Durante il montaggio sono senza pietà. […] Mi sembra di essere arrivato a quella proiezione con una versione di Videodrome di settantacinque minuti. Era totalmente incomprensibile, anche se qualcuno pensa che sia incomprensibile anche adesso. Io conoscevo la storia: mi ero dimenticato che il pubblico può conoscere solo quello che gli viene detto. Un errore classico. Quel giorno a Boston era in corso uno sciopero dei mezzi di trasporto, così abbiamo avuto metà del pubblico che ci apettavamo. Ricordo che fui scioccato dalla presenza in sala di donne con bambini di due anni, perché il film era gratuito e non avevano trovato una baby-sitter. Un bambino ha urlato durante la proiezione. […] Non so se ci fosse una scheda con scritto qualcosa di carino. La situazione fondamentalmente si poteva riassumere in due parole: “Sei fottuto”. […] Così sono tornato in sala di montaggio pieno di lividi e ho cominciato a rimontare il film. […] Alla fine sono uscite novecento copie, che non sono molte: mandarne in giro più di mille non sarebbe stata una novità in quel periodo. Ma per un film come questo novecento erano tante. È rimasto nelle sale una settimana, poi è sparito. Avevamo investito esattamente ciò che era stato deciso in precedenza, ma il film non ha raggiunto nessuno: non ha raggiunto gli appassionati di horror e non ha soddisfatto quelli tra loro che l’hanno visto. Non era stato come Scanners. Non è nemmeno riuscito a raggiungere un pubblico più sofisticato, che ne avrebbe sopportato la crudezza; e non è nemmeno rimasto fuori abbastanza a lungo da suscitare le reazioni della critica. […] Quando ho saputo che qualcuno aveva visto una cassetta pirata di Videodrome a Cuba, ho fatto un grande sorriso e ho detto: “Uno in più”. […] Potrei impazzire se penso: “Dov’è adesso il negativo di Videodrome?” Non lo so. […]
Qualsiasi persona maniaca del controllo deve certamente considerare il video come la peggiore minaccia tecnologica mai esistita. Nel video c’è la libertà di registrare, cambiare, montare, fermare l’immagine, rivedere e scambiare i nastri con quelli degli altri. La videocassetta è libertà di immagine. Non sono affatto sorpreso che i censori spostino la loro attenzione dal cinema a ciò che avviene nelle case, perché quello è il luogo dove non dovrebbe esistere censura di alcun tipo. […] Ma ho scoperto attraverso i miei figli che i bambini, quando decidono di non vedere qualcosa che non possono sopportare, si coprono letteralmente gli occhi con le mani. Nello stesso tempo hanno anche un preciso desiderio di mettersi alla prova, di spingersi al limite e verificare cosa sia pauroso o inquietate per loro. Penso che sia normale e naturale. […] Se tu credi che un individuo sia un essere umano responsabile, che ha il diritto di votare, arruolarsi nell’esercito e uccidere, allora devi anche accettare che quella stessa persona sia capace di allevare un figlio. Se invece assumi un atteggiamento paternalistico ed elitario, e credi che tutti siano degli idioti e dei teppisti pericolosi e che perciò debbano essere controllati, incanalati, strutturati e ingabbiati, allora è una questione completamente diversa. […] Poi cominci con le proibizioni, le censure e le restrizioni. […] Un’immagine di un uomo che frusta una donna, per esempio. Quell’immagine deve essere tolta dal film, anche se il pubblico capisce che si tratta, semplicemente, di un gioco tra due amanti insieme da quarant’anni e con venti bambini. […] Così i censori diventano la polizia dell’immagine: a loro non interessa il contesto in cui è inserita l’immagine, ma solo l’immagine in sé stessa. […] Ecco perché la classificazione dei film, al contrario della censura, è legittima: quando è un suggerimento piuttosto che una legge.

da Il cinema secondo Cronenberg, di Chris Rodley, edizione italiana Pratiche Editrice (attualmente fuori catalogo)



***

Una domanda sul suo Videodrome. Quando lo vidi rimasi sconvolto dal finale surreale e da allora mi sono chiesto se il protagonista del film divenisse suicida soltanto nei suoi incubi, considerando che le visioni all’inizio della pellicola sono proiettate singolarmente da lui, o meglio: Videodrome le proietta singolarmente nella sua mente. Guardando al programma di Videodrome ho pensato metaforicamente a questo programma violento un po’ come al precursore della violenza in tv, oggi ben più evidente. Vorrei quindi sapere se, quando ha pensato alla storia del film, nutriva qualche speranza per il protagonista di fronte alla smisurata tecnologia del film che provoca angoscia. Allo stesso modo vorrei sapere se vi è qualche speranza per noi, oggi, di fronte a tutta la violenza trasmessa dalla tv.

Cronenberg: Sono molte le cose che ho sperimentato in Videodrome. Sono in molti a ritenere che quel film fu profetico perché precorreva la tv interattiva, internet, tutto questo genere di cose. Quello che mettevo in discussione era il modo in cui costruiamo la realtà nella mente. Quello che intendo è che si può camminare in una strada calma e tranquilla mentre nella propria testa permangono immagini di violenza in altre città, in altri luoghi e si prova angoscia, paura. Tutto questo non ha niente a che vedere con la realtà fisica che si vive in quel preciso momento. Ci sono persone che sono particolarmente impressionate da quel che leggono o vedono, non soltanto in tv o in internet. Eppure, se si presta attenzione alla reale esperienza delle loro vite fisiche questa ci appare assolutamente pacifica, calma e priva di pericoli. Ho indagato fino a che punto l’influenza di un mezzo d’informazione come la televisione potesse spingersi fino a modificare la realtà perché, come dicevo prima, noi creiamo la nostra realtà. Se infatti si pensa a un’altra cultura in cui si parla un’altra lingua e si è fortemente religiosi e vi sono molti rituali particolari, quella realtà è ben diversa dalla mia e ne hai un’altra. È quindi molto difficile parlare di realtà oggettiva con gli esseri umani. Ci guardiamo attorno, ad esempio, e pensiamo: «Questa è la realtà», ma ovviamente, se io fossi un cane, mi guarderei attorno e vedrei cose completamente diverse, i colori, le forme, l’olfatto importerebbe ben più della vista, si tratterebbe di una percezione completamente diversa della stessa realtà fisica. Per cui, ogni animale risponderebbe diversamente a quel che vediamo in questa stanza. Allora tentai di comprendere tutto questo e trasmetterlo ai miei personaggi per affermare: ecco un ruolo che ha permesso ai media di assumere il controllo di ogni altro tipo di realtà e reagisce a tutto questo come fosse la sola realtà. I miei film non sono affatto contro la speranza perché se fossi disperato non farei cinema. Se sei disperato non puoi creare. Secondo me, fare un film è un atto di speranza.
Estratto dall'intervista di Mario Sesti, temi.repubblica.it/micromega-online
[Modificato da |Painter| 29/02/2012 16:09]
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