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RECENSIONI - Rassegna Stampa / 5

Ultimo Aggiornamento: 11/06/2010 14:01
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Sesso: Maschile
09/10/2007 22:40


RASSEGNA STAMPA PARTE 5


Cronenberg parla della violenza e della sua presenza naturale e dolorosamente inevitabile nella vita dell’uomo (programmaticamente history, non story), ma anche nell’uomo stesso.
Per farlo ce la mostra senza sconti, il più delle volte repellente – da qui le scene esplicite ma non compiaciute, necessarie – sofferta, ambigua, latente, esplosiva, ammaliante.
Ogni scena del film serve a mostrare le tante facce della stessa medaglia.
Per raccontare il tema portante Cronenberg utilizza due storie distinte: quella della violenza “spicciola” e fine a se stessa con cui si trova a confrontarsi il figlio del protagonista e quella “grande” che appare e riappare nella vita del protagonista (e della sua famiglia). A svelare come ciascuno debba per forza di cose fare i conti con la violenza, quella altrui e quella dentro di sé, anche nella pacifica provincia americana, anche nello sbiadito sogno americano, anche quando si sceglie fortemente una strada alternativa. E di fronte al coinvolgimento in essa non si può che essere in buona parte impotenti, come dimostrano la ridicolizzazione degli slogan non violenti di padre e figlio e l’impossibilità di “delegare” alle forze dell’ordine la propria lotta. Ma non siamo dalle parti di Cape Fear o delle centinaia di pellicole risolte da una rassicurante e catartica legittima difesa, non siamo in uno scontro fra buoni e cattivi. Non solo il protagonista svela spudoratamente le sue due facce (sarà per questo che Cronenberg ha scelto un attore reduce da innumerevoli ruoli malvagi ma divenuto celebre per un ruolo da eroe senza macchia?), non solo ogni personaggio rimane coinvolto nella spirale (la complicità offerta dalla moglie ed ancor più la scena erotica che scopre tutta la fascinazione della violenza): il film chiama di peso dentro al gioco lo spettatore stesso, che si vede reagire con soddisfazione e sollievo quando il ragazzo scarica finalmente la sua rabbia contro il coetaneo provocatore, e che sente di “tifare” per la salvezza di un feroce assassino con un passato da criminale. E un uomo così non è un mostro, non è “estraneo”, non è il solito psicopatico che permette di lasciare la sala con l’animo in pace.
Esemplare in questo la scena finale, con l’assassino a testa bassa in attesa di essere riammesso alla vita normale ed agli affetti e la sua famiglia che lo invita a tornare, prima la bambina, poi il ragazzo, infine, sia pur passivamente, la moglie.
Un calcio a tante ipocrisie e quadretti edificanti, essenziale e diretto, reso più efficace da tutto il buon cast, ed in particolare da un inedito William Hurt e da un tagliente Ed Harris.
Raffaella Saso, spietati.it



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Cronenberg ha smesso di (e)rompere e finalmente si limita ad affiorare. Meglio così. Abile nel costruire atmosfere tese quanto gelide, si lynchia appena un po’ e si affida a una sceneggiatura non sua, che alterna ridondanti e fastidiosi didascalisimi a intuizioni profonde e barlumi di Verità. A mixed bag, direbbe a ragione qualche anglosassone. Fatto sta che preferiamo mille volte questo Cronenberg, nella sua “svolta pop” obliqua e contaminata, a quello sfrenato di eXistenZ o del programmaticamente maturo Spider, roba da liceali che masticano nuova carne senza scongelarla e passano i sabato sera a (ri)guardarsi Stereo e Crimes of the future. Bravissimi ragazzi coi quali non abbiamo più nulla da spartire.
Gianluca Pelleschi, spietati.it



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Il cinema sul doppio. Con Spider, anche A History of Violence (presentato in concorso all’ultimo festival di Cannes e clamorosamente ignorato dal Palmares) potrebbe apparire apparentemente come un’opera più periferica del cinema di Cronenberg, essenzialmente pensata dalla New Line Cinema e condizionata dalla scrittura dello sceneggiatore John Olson. In effetti, la vicenda, tratta dal romanzo a fumetti Una storia violenta di John Wagner con disegni di Vince Locke, potrebbe far cadere in questo equivoco. Tom Stall (Viggo Mortensen) vive un’esistenza felice assieme alla moglie Edie (Maria Bello) e i due figli nella cittadina di Millbrook, nell’Indiana. Una sera però la loro vita cambia per sempre; per evitare infatti un tentativo di furto nel suo locale, Tom uccide i suoi rapinatori. A quel punto, le televisioni e i giornali parlano di lui e il suo volto diventa noto anche al di fuori della cittadina. Qualche giorno dopo però giungono nella località tre misteriosi criminali da Philadelphia che devono regolare con lui alcuni conti del passato.
Forse A History of Violence sarà anche congegnato come il classico thriller statunitense, ma a livello di ritmo e di tensione funziona alla grande. L’opera di Cronenberg appare quasi una specie di Ore disperate di Wyler però dilatato verso l’esterno e attenuato dalle forti luci dei paesaggi del suo abituale direttore della fotografia Peter Suschitzky, che abbaglia, anche in maniera inconsueta, le forme oniriche proprio come nell’apertura del film, con l’incubo/presagio della figlia di Tom. Ma anche se in quest’opera non c’è chiaramente il Cronenberg più estremo – quello, per esempio, di Il Pasto Nudo e Crash per intendersi - sono però presenti quei residui del suo cinema che agiscono in maniera sotterranea ma sono pronti ad esplodere, dai volti dei criminali uccisi in cui c’è quella disgregazione epidermica e quella sporcizia splatter di Rabid – Sete di sangue, ai quei segni/cicatrici sul corpo sulla schiena di Eddie che sembrano poter prefigurare quelle metamorfosi di La Mosca. A History of Violence però colpisce soprattutto nel modo in cui prima nega e poi lascia emergere le forme di una memoria sempre rimossa. In questo caso, la grandezza del cineasta canadese consiste innanzitutto nel modo con cui la produzione dei processi mentali del protagonista tendano sempre a precedere la loro materializzazione visiva. La soggettiva di Tom coincide sempre con la soggettiva dello spettatore prima che il protagonista stesso riveli l’altra identità nel momento in cui si rivolge al sicario ferito in un occhio (grandiosamente interpretato da Ed Harris) e gli dice che non ha sbagliato ad ucciderlo allora. Da quel momento in poi, A History of Violence diventa un film sul doppio e sulla mutazione, dove i segni personalissimi del cinema di Cronenberg si rivelano pienamente in tutta la loro potenza. Basta guardare l’ambiguità dello sguardo di un sorprendente Viggo Mortensen dopo che il figlio ha sparato al sicario prima di abbracciarlo o alla violenza in cui trascina sulle scale la moglie prima di farci sesso lì sopra. Ancora volti sporchi di sangue su un corpo che si duplica, che vive su doppie realtà. Un corpo quindi che si raddoppia sensorialmente in due personaggi come John Lone in M. Butterfly interprete dell’Opera e spia dei servizi segreti cinesi, proprio al contrario dei ginecologi di Inseparabili, lì invece due corpi che si uniscono.
Simone Emiliani, sentieriselvaggi.it



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Ispirato all’omonimo romanzo grafico di John Wagner e Vince Locke, A History of Violence segna il ritorno alla regia di David Cronenberg a tre anni da Spider, fino allora unico film da lui diretto di cui non aveva scritto il soggetto. Ciò non significa che qui non si ritrovano temi tipici del regista di Toronto come il problema dell’identità.
Il protagonista Tom Stall (Viggo Mortensen) è un tranquillo padre di famiglia gestore di una tavola calda in un’anonima provincia americana. Una vita calma e serena che viene sconvolta quando nel suo locale fanno irruzione due rapinatori. Incurante del pericolo, e assolutamente padrone della situazione, Tom riesce a sorprenderli e ucciderli entrambi. Su di lui si accende così l’interesse dei 'media', e non solo. C’è chi infatti è venuto da Philadelphia per saldare vecchi conti con un tale Josh Cusack, che tanto assomiglia a Tom…
Con A History of Violence Cronenberg fa del fumetto omonimo una metafora per raccontare la violenza dell’uomo. Una violenza che è dentro ognuno di noi che tu sia uomo, donna o ragazzo. Nessuno ne è immune. Irripremibile, può esser soffocata ma mai abbandonata (Tom Stall suona molto vicino a “to stall”, nascondere nella stalla, imboscare) , e così quando non si ha il tempo di pensare ecco che risale alla ribalta.. Una storia molto lineare che mette in primo piano il malessere dell’uomo nei confronti della propria natura. Non è la sconfitta del nemico ad essere al centro del discorso di Cronenberg, ma le reazioni dell’uomo.
La regia, secca e pulita, costruisce la tensione per accumulo (grazie anche a lunghi piani sequenza), senza necessità di spettacolarizzare le scene di violenza.
Nel cast spicca senza dubbio Ed Harris, inquietante tanto basta per immaginarlo capace di qualsiasi tortura e un irriconoscibile William Hurt (è il fratello di Tom). Un po’ spaesato invece Viggo Mortensen la cui crisi d’identità sembra più quella di chi non ha capito come mai sia finito a fare l’attore (dicono che sia un ottimo fotografo)…
Andrea D'Addio, cinemaplus.it



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C’è del marcio in America. Si potrebbe sintetizzare così il cuore (di tenebra) del nuovo film di David Cronenberg. A History of Violence, tratto dalla graphic novel di John Wagner e Vince Locke racconta la storia dell’eroe per caso (o forse no?) Tom Stall, uomo di sani principi e famiglia perfetta, che sale agli onori della cronaca dopo aver eliminato con insolita freddezza due rapinatori che erano entrati nel suo diner. I media cominciano ad interessarsi a lui, e con loro alcune misteriose figure, che emergono dal suo passato.
A History of Violence potrebbe essere vista come la storia dell’America, una nazione che ha un passato di sangue e violenza (al momento della sua nascita vi si sono rifugiati molti delinquenti in fuga dall’Europa), come testimoniava anche il film di Scorsese Gangs of New York: una violenza che sistematicamente torna a ripresentarsi nella sua storia, nonostante i tentativi di esorcizzarla. “Hai voluto seguire il Sogno Americano…” rinfaccia a Tom Stall il fratello. Il film di Cronenberg è un attacco al Sogno Americano, quello che promette di offrire il riscatto a ognuno: un riscatto che però non è quasi mai effettivo. Ne aveva parlato, in maniera immaginifica e visionaria, anche David Lynch nei suoi Strade perdute e Mulholland Drive, il cui cambio di identità dei protagonisti stava a significare proprio l’impossibilità/incapacità di accettare un fallimento.
E anche nel nuovo film di Cronenberg, che in fondo è una storia di “mutazioni” come ogni altro suo film, la negazione del Sogno Americano è rappresentata da una doppia identità: ci sono due Tom Stall (l’altro Tom si chiama Joey Cusack). Ma se in Spider la doppia identità derivava dalla schizofrenia del personaggio, dalla rimozione inconsapevole di un fatto luttuoso, qui dipende da una scelta consapevole di rimuovere molti fatti luttuosi. Joey sceglie di diventare Tom: basta volerlo dentro di sé e si può essere un altro, senza bisogno dei gamepod di eXistenZ, delle droghe de Il Pasto Nudo, dei videotape di Videodrome.
A History of Violence parla della metà oscura che c’è in ognuno di noi: ed è azzeccata la scelta di utilizzare come protagonista Viggo Mortensen, cioè l’Aragorn de Il Signore degli Anelli, l’eroe senza macchia, il predestinato per eccellenza, per farne un uomo dalle molte sfaccettature. E attenzione al rapporto con la moglie (una Maria Bello molto sexy), che scopre la seduzione del lato cattivo dell’uomo che credeva di conoscere, quando fino a poco prima i loro amplessi erano dolci e giocosi.
Cronenberg si dimostra un grande cineasta, che riesce a colpire anche con una messinscena classica, priva di trucchi narrativi, effetti speciali, ma con una narrazione lineare e pulita, in quello che apparentemente è il suo film meno personale, quello che si dice un film su commissione. Il regista canadese riesce a creare un’atmosfera di tensione semplicemente grazie all’incedere del racconto, lento e sospeso, alla fotografia nitida e cupa sui toni del marrone. È un Cronenberg più sobrio di quello a cui siamo abituati, anche se non manca qualche sequenza forte, con i volti spappolati, e un villain con le ferite a volto scoperto. Le cicatrici sul volto del personaggio di Ed Harris sono il segno lasciato dalla violenza nell’uomo. Ferite, come quelle sulla schiena della moglie di Tom, che sono solo lo specchio di quelle che rimangono nell’anima.
Tobia Zerbato, cinemaplus.it



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Cineasta sincero, uomo “dotato” di un pessimismo cosmico, unico e vero artefice di pellicole che sviscerano l’uomo, analizzandolo e ricomponendolo… a volte il tutto si risolve con terrificanti risultati, aberrazioni della natura e mostri dal volto umano, questo e molto di più, è David Cronenberg e Cronenberg = Cinema.
Dopo aver continuamente creato e distrutto, con lo scopo di esaminare tutte le peggiori componenti umane, Cronenberg sembra quasi voler chiudere un ciclo, che dura ormai da una vita…..con il suo consolidato stile gira un film che non è un capolavoro, ma è l’ennesima conferma di quel talento che spesso abbiamo afferrato nelle sue creazioni, magari a volte preso per un centimetro… ma pur sempre presente. Anche questa volta non è il caso di sminuire il lavoro svolto, di indubbia qualità, per un regista maledetto ma amato, proprio per questo, da molti.
I lavori erano già iniziati, Cronenberg stesso afferma che questo progetto non è suo, però l’idea era buona e così ha accettato di mettere le mani su A History Of Violence il film che sta dividendo la critica, il film che Cronenberg ha fatto Suo, forse non completamente, ma anche in questo caso il regista riesce a mantenere la coerenza che lo ha distinto in tutti questi anni e non è cosa da poco, perché come molti affermano, in un film “su commissione” non è facile mantenere una propria linea d’azione. Diamo merito a Cronenberg allora, anche se il lato di questa medaglia è assai oscuro, sembra sia riuscito a non farsi condizionare.
Tom Stall è un tranquillo padre di famiglia, una famiglia normale, forse fin troppo, specchio di quella classica figura americana impregnata di un buonismo esagerato. Cronenberg descrive il nucleo famigliare in modo eccelso dove sembra che ogni cosa vada per il verso giusto fino a quando un elemento (estraneo) contaminerà la pace dei singoli. Cronenberg da il via all’infezione narrativa nel preciso istante in cui due criminali fanno ingresso al bar gestito da Tom, con intenti poco nobili; proprio Tom, con un gesto da eroe, eviterà il peggio della situazione. E’ appunto in questo momento che la storia comincia ad evolversi, in realtà questa contaminazione non parte in quel preciso istante ma era già operante dentro al nostro personaggio. E’ una sorta di “esplosione” del male, una specie di bestia che si risveglia dopo esser rimasta in un sonno che il protagonista credeva eterno, un cancro che dimora da chissà quanto tempo all’interno del corpo, pronto a ritornare in superficie per completare il suo ciclo di morte. E’ questo il passaggio chiave del film che identifica tutto quello che Cronenberg ci vuole suggerire, ovvero che la violenza è parte di ognuno di noi, è il male che s’identifica in noi pronto a manifestarsi. Tom è stato costretto, gli eventi lo hanno portato a comportarsi in quel modo, istinto di sopravvivenza? O solo voglia di fare semplicemente……del male? Cronenberg è il solito, fottuto maestro, capace di infondere il dubbio e l’angoscia ricreando situazioni pesanti per i protagonisti e lo spettatore. Un male ereditario che colpisce lentamente tutta la famiglia a partire dal figlio, calmo come non mai, che all’improvviso massacra di botte il bullo di turno a scuola; ed ancora, la moglie, la bella e gracile mogliettina che mente, schierandosi dalla parte del male, per salvare suo marito. Le argomentazioni sono varie: la famiglia, il sesso, il passato, l’essere umano… ma tutto poi si ricollega al male e alla violenza. Una violenza sia psicologica che fisica, studiata anche sessualmente ed è in questo frangente che il regista da vita ad una scena tra i due coniugi di rara potenza visiva, disturbante anche a livello intimo. Una violenza che va a toccare qualunque cosa riguardi la famiglia.
Le tematiche sono collaudate e chi conosce il cinema marchiato Cronenberg lo sa, poi ognuno può virare a suo piacimento nelle considerazioni, fino ad arrivare al bel sogno americano espresso con chiarezza all’inizio ma che si trasforma poi in incubo nel finale shock che molti riterranno incompleto ma non è così. Interessantissima, la connotazione famigliare dove Tom per primo è un personaggio interessantissimo e, complice l’ambientazione e un fucile, appare un po’ un eroe del vecchio western e questo farà felice John Carpenter.
Il montaggio del film è deciso in novanta minuti e la scelta non potrebbe essere migliore: il rischio di annoiare con un ulteriore allungamento era concreto ma fortunatamente evitato. La pellicola si presenta nella giusta durata, né più né meno del previsto, tutto a favore dello spettatore e della storia. La violenza esplode letteralmente quando Tom Uccide i due criminali quando fino ad un secondo prima tutto era così calmo e tranquillo; il film subisce così una brutale inversione dove il male scopre il suo volto, pronto a Ri-condurre Tom Stall Nell’abisso.
Cronenberg sceglie, sempre tornando alla coerenza che lo distingue, di avvalersi degli stessi collaboratori ormai fedeli compagni di lavoro da anni: Peter Suschitzky direttore della fotografia, Howard Shore alle musiche, Ronald Sanders al montaggio, Denise Cronenberg ai costumi. Una regia secca, decisa e pulita, che non risparmia nelle scene di violenza, con i corpi martoriati proprio al volto. Viggo Mortenesen su tutti, a discapito di quello che molti affermano, ha saputo dosare bene il suo personaggio e il suo volto spaesato è quanto di più appropriato ci sia per un film del genere.
Un continuo centro al bersaglio, così si può riassumere la carriera registica di Cronenberg e non importa se a volte il bersaglio è centrato di poco… nel suo continuo parlare di mutazioni, anche questa volta le mutazioni ci sono ma a livello psicologico e questa è una storia di violenza, un viaggio nel passato dove Cronenberg non ha bisogno di nessun flashback eppure riusciamo a scoprire lo stesso quello che basta. La conclusione del film è solo l’inizio, per questa famiglia profondamente “mutata” nel segno della violenza, finale angosciante al quale non puoi smettere di pensare.
Giuseppe Bucci, cinemaplus.it



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Sarà certo perché in America film che raccontano di profondi malesseri sono automaticamente esaltati sopra i loro meriti cinematografici soprattutto se in maniera, talvolta, ipocrita (come Traffic di Sodebergh e il recentissimo Crash maldestramente sopravvalutato). Sarà perché Cronenberg ha fatto, forse, uno dei suoi film, paradossalmente, più innocui, certo è difficile spiegarsi il successo di questo film.
Tanto da essere considerato tra i favoriti all’oscar ed aver vinto alcuni premi della critica americana (tra cui spicca il poco simpatico e troppo patriottistico palmares di Toronto)
Di certo A History of Violence è un film appena sufficiente. Salvato solo da un talento registico che, comunque, resta sotto gli standard dell’autore. E che non manca di cadute di stile e scelte maldestre.
La storia di un uomo qualunque che un giorno uccide un rapinatore per legittima difesa e diventa una specie di eroe nazionale precipitando in un passato pericoloso e oscuro dolorosamente cancellato era di per se molto intrigante ma la sceneggiatura è artificiosa, forzata, talvolta incongruente e insopportabilmente indecisa tra il film socio/familiare, il thriller (fallendo miseramente il felice mix tra i due generi) e sequenze da Mission impossibile.
Cronenberg è fin troppo pacato, di contro, e non riesce a sviscerare le dinamiche psicologiche e comportamentali dei suoi protagonisti. Di certo non aiutato da un Viggo Mortensen davvero davvero mediocre. Tanto inespressivio nel suo”lato” normale quanto ridicolo e stereotipato nel suo atteggiamento “luciferino”. Discreta la prova di Maia Bello ma, anche in questo caso, nulla di eccezionale e insopportabilmente macchiettistici i “cattivi” della situazione (da Ed Harris al giovane teppistello della scuola). Insomma un film piuttosto deludente che lascia perplessi e insoddisfatti.
Maurizio Ermisino, cinemaplus.it



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Il film di Cronenberg è la perfetta sintesi di un film sprecato: l'ambiguità attorno a cui dovrebbe giostrarsi la trama viene dissolta entro la fine del primo tempo; il grande compositore Howard Shore (lo stesso de Il Signore degli Anelli), evidentemente ancora troppo legato sentimentalmente alla Terra di Mezzo, ripropone motivetti fiabeschi come base ad una storia fin troppo reale (mi è pure sorto il dubbio che si trattasse degli avanzi musicali della trilogia); interminabili scene di sesso completamente fini a se stesse spezzano il corso della narrazione al punto da domandarti la loro ragion d'essere; il povero William Hurt si ritrova a pagliacciare il fratello cattivo & mafioso dell'ex Aragorn Viggo Mortensen, un personaggio stereotipato che fa da misero contorno a una portata decisamente insipida.
Probabilmente Cronenberg ha trovato Howard Shore e Viggo Mortensen alla stockhouse: Offerta sensazionale! 2 al prezzo di 1! Campionario da Il Signore degli Anelli!
Quando è stata la volta della scelta dell'attrice protagonista, poi, il prestigioso regista aveva evidentemente fatto ricadere la propria scelta su Naomi Watts, ma quando questa lo ha rifiutato per girare King Kong, si è preso la sosia di lei e si è accontentato.
Potrei dire molto altro riguardo al figlioletto maggiore che sembra uscito direttamente da una puntata di Dawson's Creek, su Ed Harris versione Man in Black e quant'altro, ma mi fermerò qui.
Insomma, non andate a vederlo: una puntata di Everwood vi arricchirà di più cinematograficamente e non vi costerà 7 euro e 50.
Preferisco ricordare Cronenberg per il grande maestro che era, autore del bellissimo Inseparabili, del mitico La Mosca e dei suggestivi Spider ed eXistenZ: torna al più presto fra noi, David!
Arianna Biagi, cinemovie.info



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Nella piccola città di Millbrook in Indiana vivono Tom Stall (Viggo Mortensen) e la sua famiglia composta dalla moglie Edie (Maria Bello) e i due figli Jack e Sarah. La loro é una vita tranquilla, la madre é avvocato e il padre gestisce una tavola calda in paese.
Una sera entrano nel locale due criminali con l'unico obiettivo di commettere una strage. Tom, preso da un istinto protettivo verso i suoi amici e clienti, reagisce sorprendentemente sventando il tentativo di rapina, ma soprattutto uccidendo senza pietà i due malviventi. La quieta esistenza della cittadina dove tutti si conoscono viene inevitabilmente scossa e Tom viene salutato come un eroe dalla comunità.
Qualcosa peró sembra non quadrare data la natura tranquilla di Tom fino a quel momento.
La notizia attira l'attenzione delle reti televisive nazionali che inviano reporters sul luogo, ma la sola cosa che Tom vuole é tornare alla normalità. A seguito dei servizi trasmessi in tv fanno capolino nel locale tre loschi individui, il leader dei quali Carl Fogarty (Ed Harris) sostiene che Tom non sia chi dice di essere, ma piuttosto uno spietato assassino di nome Joey responsabile della sua menomazione all'occhio sinistro.
Tom cerca in tutti i modi di spiegare che si tratta di un semplice scambio di persona, ma il dubbio comincia a serpeggiare nella sua famiglia e nelle persone che gli sono vicine.
David Cronenberg torna alla regia con questo film tratto dal romanzo a fumetti di John Wagner illustrato da Vince Locke e adattato per il cinema da Josh Olson.
Il nuovo lavoro risulta sin dal titolo una pellicola potente, dai toni e le immagini forti.
Una solida connotazione di violenza pervade l'intera vicenda e non vengono risparmiati primi piani su volti sfigurati e altre scene truculente. La violenza si mischia al sesso mostrato in due sequenze estremamente funzionali alla trama e diametralmente opposte che ben rappresentano il cammino emozionale dei personaggi di Tom e Edie all'interno della storia. Ma più di tutto emerge il tema caro al regista dell'identità, l'esplorazione profonda dell'animo delle persone tra luci e ombre e l'osservazione di cose che non sono mai quello che sembrano. Sebbene si possano trovare quindi punti di contatto con la filmografia del regista, ci si rende subito conto di un cambiamento di stile nella messa in scena. Questa é forse la pellicola piú lineare che il regista abbia realizzato fino ad oggi, servendosi di uno stile narrativo che trae spunto dal fumetto e che lascia meno libertà di interpretazione al pubblico rispetto ai lavori precedenti.
Altissima la tensione che riesce a creare, soprattutto nella prima parte pervasa dal dubbio e dal desiderio di scoprire la verità. La seconda difetta di una leggera caduta di tono, evidente soprattutto nella sequenza all'interno della proprietà del boss Richie, troppo sopra le righe e poco in linea con il tono drammatico del film, nonostante la superlativa prova del redivivo William Hurt nei panni del suddetto Richie.
Il cast annovera le intense interpretazioni di Mortensen e Bello, che non solo ritraggono il percorso personale dei propri personaggi, ma influenzano l'intero quadro familiare. Tom e Edie si trovano a fare i conti con le conseguenze delle proprie azioni destinate a rompere l'equilibrio della famiglia. Fin dall'inizio appare chiaro che sia Edie a portare i pantaloni in casa e Tom abbia un carattere molto pacato e tranquillo. La sua sorprendente reazione di legittima difesa di pari passo con la nuova sensazione di vulnerabilità di Edie ne inverte in qualche modo i ruoli.
Denso l'esordio del giovane Ashton Holmes nei panni del figlio Jack, anch'egli mite all'apparenza, ma che nasconde una rabbia repressa pronta ad esplodere da un momento all'altro. E non bisogna dimenticare un inquietante e allo stesso tempo ironico Ed Harris nel ruolo del "cattivo" Fogarty.
Elemento fondamentale alla buona riuscita del film il silenzio utilizzato da Cronenberg per sottolineare l'importanza della sequenza introduttiva che manca di colonna sonora e di quella conclusiva priva di dialoghi ma carica di significati, veri e propri esempi del grande talento dietro la macchina da presa.
Resta da chiedersi quale sia il nostro rapporto con la violenza che ci circonda e con la sete di vendetta che ogni tanto sentiamo crescere dentro e non possiamo negare di desiderare. Un piacere controverso che ci fa condannare la violenza in pubblico, ma da cui siamo fatalmente sedotti.
Michael Traversa, cineclick.it



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David Cronenberg appartiene di diritto a quella schiera di registi che nel passaggio dal vecchio al nuovo secolo e al capolinea di un sistema produttivo certamente più aperto ai “rischi d’autore”, si sono ritrovati a lottare, a correre contromano per imporre il proprio sistema estetico all’interno del business dell’intrattenimento. Nomi eccellenti: Michael Cimino, Abel Ferrara (che ha dichiarato di recente: “Se il film di Mel Gibson The Passion non avesse riscosso tanto successo, probabilmente non avrei trovato i soldi per realizzare Mary”), Paul Schrader (il suo prequel de L’Esorcista non è mai stato distribuito nei cinema), George Romero, David Lynch, John Carpenter. Cineasti con costanti problemi di fondi. Uomini di cinema in quanto uomini di idee (essere un Peter Jackson qualsiasi e uscirsene fuori con un remake del remake di King Kong non è un’idea).
Tre anni dopo l’immeritato flop al botteghino con il lancinante Spider, Cronenberg consegna al grande schermo la vicenda (tratta da un graphic novel di John Wagner e Vince Locke) di Tom Stall (Viggo Mortensen), padre di famiglia e onesto cittadino di un posto nel Midwest americano che dopo aver reagito a un tentativo di rapina uccidendo a colpi d’arma da fuoco due serial killers sputati dall’inferno (sembrano usciti da un romanzo di Barry Gifford), si ritrova a dover fronteggiare un passato ingombrante che credeva sepolto da tempo. Perché Tom Stall, come scoprirà sua moglie Edie (Maria Bello, vista nel serial televisivo E.R. e al cinema in Auto Focus) non è esattamente il tipo di persona che sostiene di essere. Perché rifarsi una vita, cambiare nome, rinnegare la violenza, è impresa sovrumana, praticamente irrealizzabile in un’epoca folle, in una società nella quale il termine “redenzione” suona vuoto (ci provava addirittura il Michael Corleone de Il Padrino III, senza approdare a risultati concreti; per non parlare del vecchio pistolero Clint Eastwood ne Gli Spietati o della macchina da guerra Jet Li nel recente Danny the dog).
Una storia violenta, dunque: è già tutto nel titolo. “Credo che la violenza venga fuori dall'impossibilità di vivere la realtà che vorremmo. Nonostante tutti i nostri tentativi di evolverci, anche attraverso la tecnologia, la violenza continua ad essere una malattia universale.” sostiene il regista. Se i dialoghi risultano a tratti stucchevoli, se il tema dell’uomo qualunque che diventa di colpo eroe americano da prima pagina o faccia da talk show televisivo avrebbe meritato uno spazio più ampio, Cronenberg è nei movimenti di macchina, nel gelo che anticipa o segue un gesto, uno sguardo dei personaggi (Jack, il figlio maggiore di Tom, adolescente tormentato dai compagni di scuola nell’attimo in cui smette di belare per farsi lupo; Ed Harris, boss orbo che si muove sulla scena come un inquietante Man in Black o un villain hitchcockiano), nella carne (le dita di Tom sul grilletto di una pistola) che aderisce al metallo e con esso pare fondersi, manifestare quella mutazione altrimenti tutta interiore: da Tom a Joey, dall’uomo mite, innamorato e premuroso, al freddo delinquente sulla lista nera della mafia di Philadelphia. Tom, doppio buono di Joey, rifagocitato dalla matrice originaria: dalla propria natura e da un sistema che accoglie e fa crescere individui abili con la pistola o con i pugni (suo fratello Richie, interpretato da un gigionesco William Hurt, stenta a credere che la vecchia testa calda sia riuscito a trasformarsi in un padre e un marito lontano dai guai).
C’è qualcosa del James Woods di Videodrome negli sguardi, nel portamento di Viggo Mortensen, e anche un po’ del tragico Ralph Fiennes protagonista di Spider. Frammenti di personaggi che riconducono all’unicità delle opere più radicali di Cronenberg, a temi che ricorrono pur nella diversità delle storie raccontate: il rapporto tra corpo e mente, tra esteriorità e interiorità degli individui, tra pulsione, smarrimento e ossessione (Jeremy Irons in Inseparabili e M. Butterfly).
Come il dittico formato nel periodo 1983-1986 da La Zona Morta (da una tra le migliori storie di Stephen King) e La Mosca, A History of Violence può essere considerato (tralasciando il finale poco o nulla consolatorio) un passo verso il grande pubblico, gli spettatori che vogliono action, pulp, un pizzico di sesso (non gli hanno fatto girare il seguito di Basic Instinct e il buon David si diverte piazzando una posizione 69 e un quasi stupro coniugale da antologia!) e indubbiamente – ma non per il motivo appena menzionato - un tassello minore nella filmografia del cineasta canadese. È accaduto al Lynch di Una Storia vera: viene meno il desiderio di rivedere un racconto ad effetto istantaneo, troppo lineare per produrre una fascinazione durevole nel tempo (la stessa, poniamo, insita in Crash, eXistenZ, Il Pasto Nudo o Spider). Chi ama le opere di Cronenberg troverà piatta la prima parte del film, storcerà il naso davanti a sequenze non sempre necessarie, specialmente quando risultano francamente didascaliche (l’arrivo in città dei due rapinatori a bordo di un furgone, con la coppia di bulletti spaventata al loro passaggio; gli incontri tra Tom e il classico sceriffo amico dei bravi lavoratori).
D’altra parte, non è neppure errato leggere A History of Violence sia come film-saggio sul thriller alla Don Siegel, regista immenso e poco conosciuto dalle generazioni più giovani che in veste di omaggio a Fritz Lang: Cronenberg, autore personalissimo occupato a dialogare con gli autori di cinema del passato e che sul passato del cinema pratica un lavoro di dissezione e acuta analisi. Il mezzo cinematografico sfruttato in tutto il suo spettro di particolari proprietà speculative: dalla realtà alla finzione, fino (a ritroso) ai modi di tessere la fiction.
Sotto questa luce, la pellicola suscita interesse, difende la reputazione di un autentico maestro del cinema contemporaneo ancora lontano (per sua e nostra fortuna) da una resa definitiva alle regole del mercato. La prossima volta, David… ”la prossima volta”, per citare una celebre battuta di Crash.
N.G.D’A., blackmailmag.com
[Modificato da |Painter| 11/06/2010 14:01]
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