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RECENSIONI - Rassegna Stampa / 2

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2010 20:56
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Sesso: Maschile
09/10/2007 18:18


RASSEGNA STAMPA PARTE 2


David Cronenberg, Gran Maestro del cinema nero e adoratore delle Ferrari, cinquantenne adolescente, canadese europeizzante, e il suo Spider il cui titolo allude alle tele di ragno simboliche e non che il protagonista tesse intorno a sé per intrappolarsi: si poteva chiedere di meglio, per concludere il ventesimo Torino Film Festival? Un uomo arriva a Londra alla stazione ferroviaria di St.Pancreas, grandioso tunnel ferrigno, monumento alla prima rivoluzione industriale, prigione colossale più che via di evasione. L'uomo non bada a nulla. Ha trascorso anni in un ospedale psichiatrico. Adesso va in una casa per ex malati, percorrendo strade irrealistiche deserte di passanti e di automobili. L'appartamento gestito da una donna di mezz'età autoritaria, brusca e beffarda, si trova nel quartiere dove l'uomo ha vissuto da ragazzino esperienze atroci che cerca adesso di ricostruire e investigare. L'uomo è asociale, timido, spaventato, parla appena (si esprime soltanto con mormorii e grugniti, oppure scrivendo fittamente su un libretto). Rivive la tragedia di un tempo restando sulla scena dei fatti d'allora. Vede il padre (Gabriel Byrne) uccidere la madre a colpi di pala e seppellirla in giardino, poi prendere con se in casa una bionda sfrontata. Si ascolta gridare ai due «assassini, assassini». Si osserva mentre uccide la bionda intrusa con il gas. Vede sua madre morta per il gas: forse è stato lui ad ammazzarla, e non il padre innocente. Scambia la padrona di casa per l'amante del padre, cerca di ucciderla e viene riportato all'ospedale. Ma forse tutto è accaduto esclusivamente nella sua mente offuscata dalla follia, nella sua personalità fatalmente perduta: a volte ritrovare la ragione è peggio che averla smarrita. Uno dei primi cortometraggi realizzati da Cronenberg alla fine degli Anni Sessanta era intitolato From the Brain*, e si capisce che Spider vuol essere, anche materialmente (proporzioni falsate, pareti e soffitti dislocati, strade dalle prospettive alterate), la descrizione del paesaggio di una mente malata. Caso assai raro per Cronenberg, si tratta di un film su commissione, nato dal desiderio dell'attore protagonista Ralph Fiennes, che aveva letto la sceneggiatura ricavata da Patrick McGrath dal proprio omonimo romanzo (anche i dialoghi sono dello scrittore), voleva interpretarla e pensava che nessuno avrebbe potuto dirigere il film meglio dell'autore di Crash e del Pasto Nudo. Aveva ragione: anche se Spider non è tra i film più arditi di Cronenberg, anche se vi circola un'aria Anni Trenta singolare, è impressionante. Ralph Fiennes rimane immobile come l'abbiamo visto sempre, sin dai tempi del Paziente inglese e di Schindler's List; nei personaggi femminili, Miranda Richardson è stupenda.
Lietta Tornabuoni, La Stampa


* errore del testo originale. Il titolo corretto è From the Drain (“Dal tubo di scolo”, e non “Dal cervello” come ha scritto lei); pertanto il paragone che fa non ha alcun senso, considerando anche il tema fantascientifico del cortometraggio.
Matt – davidcronenberg.tk


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Ultimo atto per il Torino Film Festival al Pathè Lingotto. Questa ventesima edizione, la quarta e ultima diretta da Stefano Della Casa, si conclude con la cerimonia di premiazione in programma la sera di venerdì 15 novembre. L'appuntamento nella sala 6 del multiplex dell'8 Gallery è fissato per le 20,30, presenta anche quest'anno Claudio G. Fava. Dopo i premi, l'ennesimo evento dell'ex Cinema Giovani: l'anteprima nazionale di Spider, ultimo atteso lavoro del maestro del cinema canadese David Cronenberg (La Zona Morta, La Mosca). Trasposizione per il grande schermo dell'omonimo best seller di Patrick McGrath, il film s'incentra sul personaggio di Spider, uomo malato di mente che dopo aver trascorso anni in un ospedale psichiatrico viene trasferito in un paesino nei dintorni di Londra per essere sottoposto a una cura riabilitativa. Egli comincia a ricordare il suo passato: il padre e la madre chje lo trascuravano, l'uomo che tradiva la moglie con la prostituta del paese, la consorte. Il protagonista è Ralph Fiennes, tuttora nelle sale in quanto convincente interprete del serial killer braccato dal detective Edward Norton in Red Dragon. Al suo fianco recitano Gabriel Byrne, John Neville, Lynn Redgrave e Miranda Richardson. Ha detto Cronenberg, assente a Torino, alla presentazione del film all'ultimo Festival di Cannes: «Spider è la storia di un uomo malato di schizofrenia. Tuttavia non abbiamo voluto farne un caso clinico, per questo non mi sono informato, presso equipe mediche, dei tratti caratteristici dello schizofrenico. Alla fine Spider è semplicemente la storia di uomo adulto che cerca la verità: dentro di se, dentro il proprio passato. Una donna, a Toronto, dopo aver visto il mio film, è rimasta impressionata del modo in cui Ralph Fiennes si è messo a fare il bagno: credeva ci fossimo informati dai medici, visto che corrisponde al modo reale in cui i malati di schizofrenia lo fanno effettivamente. Eppure Ralph si è messo tutto disteso, in posizione fetale, spontaneamente. La signora, invece, che assiste uno schizofrenico vero, questa cosa la sapeva per certa».
La Stampa



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Catatonico, afasico, con seri problemi di deambulazione e movimento, imprigionato in una ragnatela di allucinazioni schizofreniche senza via di uscita: Ralph Fiennes, il protagonista di Spider, il film di David Cronenberg oggi in concorso a Cannes, è l'opposto di Nash il matematico di A Beautiful Mind. Tra l'american dream di Nash e l'oscura esistenza di "Spider" (chiamato così da bambino per l'abilità a formare ragnatele di spaghi nella sua camera), c'è tutta la distanza che separa Hollywood dall'universo disturbante ed ambiguo del regista canadese di film come La Mosca, Inseparabili e Crash. "Più che uno schizofrenico - spiega Cronenberg - Spider è una personalità singolare, con una memoria inquinata e problemi di identità. Quante volte, tra persone cosiddette normali, non si è d'accordo nemmeno su ciò che si è visto? È difficile dare una definizione precisa della schizofrenia. 'A Beautiful Mind'è il tipico modo in cui Hollywood può vedere la cosa: la fisicità irruenta, la musica che sottolinea le scene, il finale consolatorio. Nel caso di Spider la follia è tutta interiore e dobbiamo percepirla dai suoi occhi".
Tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore Patrick McGrath, noto in Italia per Follia, Spider racconta la vicenda di un uomo traumatizzato da bambino da un padre (Gabriel Byrne) che ha ucciso la madre sostituendola con una prostituta (Miranda Richardson, che recita entrambi i ruoli più un terzo). Qualche sospetto nello spettatore si ingenera quando si scopre che le due donne hanno, appunto, lo stesso volto. Spider rievoca infinite volte la scena del trauma e del dramma di aver a sua volta, con un piano ingegnoso cui non è estranea la sua abilità, ucciso la donna che ha preso il posto della madre e che, al contrario di quella, dolce e benevola, è viziosa e insidiosa. Immerso in un'atmosfera soffocante, nel dopoguerra di una provincia inglese povera e frustrante, il film è più fedele allo stile di McGrath (autore anche della sceneggiatura) che inquietante.
"Quelle che vediamo - ha detto Cronenberg - sono le proiezioni di una memoria inquieta: ho ridotto molto le visioni rispetto al libro perché non volevo sconfinare nell'horror. Quello che mi interessava era il problema dell'identità perduta. Quando sentiamo che la nostra vita, il nostro percorso ci sfugge siamo in un territorio che riguarda tutti noi, non solo gli schizofrenici È lo stesso territorio di Kafka, Proust, Beckett".
Piacerà il suo film al presidente di giuria Lynch, il cui film Una storia vera fu ignorato da Cronenberg, presidente di giuria nel '99? "Non lo so, non si può prevedere. Si va in giuria senza avere criteri precostituiti di scelta e a volte, come è capitato a me con Rosetta, ti piacciono film molto diversi da quelli che faresti tu".
quotidianonet.ilsole24ore.com



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Leggendo Spider, il bel romanzo di Patrick McGrath da cui origina questo film, colpisce che il protagonista, quando parla del manicomio dove è stato a lungo rinchiuso, lo chiami “il Canada”: una curiosa combinazione, forse perfino un motivo di più perché la sceneggiatura di Spider finisse sul tavolo di un regista (canadese) come David Cronenberg. Comunque sia andata (in realtà è stato poi il nome di Ralph Fiennes, che voleva fortissimamente il ruolo del titolo, a convincere Cronenberg), il film pare avere meno forza del romanzo. A ben guardare, invece, ha soltanto una forza diversa.
Dennis Clegg, soprannominato Spider, viene dimesso da un manicomio criminale e inviato in una casa di recupero. Sono passati vent’anni dal suo ricovero, e lui sta cercando di ricostruire gli orribili segreti della sua infanzia, ma non riesce a distinguere fra allucinazioni e ricordi: chi ha ucciso sua madre? Davvero è stato il padre, che l’ha sostituita con una volgare prostituta?
Resteranno forse delusi i fan del Cronenberg degli orrori: qui non ci sono scene raccapriccianti, tutti gli spaventi sono interiori. Per tradurre in linguaggio cinematografico il mondo di Spider, il regista non ha fatto che sottrarre: gli ha svuotato Londra intorno, lasciando che si aggirasse confuso in una periferia desolata, dove non ci sono persone né automobili; ha sostituito la sua voce, che la prima sceneggiatura di McGrath aveva previsto narrante, con un borbottio agglutinato e inafferrabile; ha trasformato il suo diario in un ammasso di segni fitti e insensati.
Cronenberg ha filmato i vuoti e i fantasmi della memoria, ha messo Spider adulto in scena con Spider bambino, seduto a guardare la sua infanzia, oppure ad allucinarla. Ha voluto correre un rischio che sicuramente lo affascinava, quello della soggettiva mentale, e in qualche momento ha fatto vacillare anche la nostra percezione di spettatori. Certo, non ci ha raccontato una storia: ci ha lasciati immersi in un’atmosfera alterata e incerta.
Un film - almeno a una prima visione - forse troppo rarefatto e sospeso, perfino formale, ma che poi “cresce” nel ricordo come un’entità mutante, cronenberghiano ben oltre le apparenze. Il regista del resto ha dichiarato, provocatoriamente: “Spider sono io”, spiegando che non considera Spider un malato, ma “l’emblema di un artista, una persona che lavora sull’interiorità, che usa un proprio linguaggio, e si occupa di temi universali come quello dell’identità e della memoria”.
Ma anche – e soprattutto - un film di recitazione, una prova intensa d’attori: intrappolato nella sua tela di ragno, quello spago teso fra le pareti della sua stanza, Ralph Fiennes è più bravo che mai (probabilmente il miglior attore in circolazione: da non perdere nemmeno in Red Dragon, versione serial killer). Con lui sono strepitosi anche Miranda Richardson, che deve scomporsi in tre donne diverse, e Gabriel Byrne (alla miglior prova della carriera) cui tocca il compito, perfino più difficile, di rendere possibili o impossibili, senza sdoppiamenti, le colpe di un padre qualunque.
Susanna Pellis, frameonline.it



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David Cronenberg esordisce, durante la presentazione in conferenza stampa del suo ultimo film, salutando Spider come “l’anti-uomo ragno” e difendendo il Festival che, al di là del gossip, mette a disposizione anche del prodotto di qualità una cassa di risonanza magnifica capace di comunicare ed amplificare qualunque messaggio venga dalla stessa recepito. In effetti la pellicola in concorso del regista della trasgressione e dell’incubo, di colui che ha reso immagine l’esperimento puro, è certamente sui generis e di non facile approccio, uno scandagliare i moventi della follia che rinuncia all’analisi medica del fenomeno patologico per indagare i mostri che una mente compromessa riesce a creare in carne, sangue e magma ed ha bisogno, perciò, di essere affrontata da un pubblico consapevole che sia preparato ad assistere a qualcosa di completamente diverso non solo dalle pellicole che negli ultimi anni sono state dedicate all’argomento ma anche alla produzione precedente dello stesso Cronenberg che, stavolta, ha fatto affiorare dal suo inconscio prolifico e geniale ben altri incubi rispetto a quelli del suo passato. La storia di Spider, il povero schizofrenico che si ritrova invischiato nelle paludi mai bonificate di un passato di trauma e dolore proprio nel momento in cui il ricovero in una casa di cura dovrebbe avviare il percorso del recupero, non è mostrata o analizzata da Cronenberg, ma quasi sognata dallo spettatore che si ritrova ad assistere ad eventi della fanciullezza del protagonista così come allo svolgersi della tragedia senza sapere come gli sia dato di essere presente in quella data stanza, in quel dato momento, senza riuscire a poggiare a terra i piedi, perso dietro la sensazione del folle volo dietro l’allucinazione, barcollante nella certezza di non sapere attraverso quale punto di vista, personale, oggettivo o artefatto, stia filtrando la rappresentazione della realtà. L’East End londinese, gli odori forti di umidità e cucinato, il Gazometro imponente ed evocativo, pizzicano le corde fino ad allora immote della memoria sepolta di Spider aprendo ferite mai rimarginate e stirando allo spasmo i nervi sfilacciati di un uomo che non ha mai recuperato la sanità perché non ha mai riconosciuto la radice del proprio male. La durezza non è la miglior cura per Spider che, costretto all’isolamento dal rigore della Direttrice della casa di cura, comincia a tessere un mondo senza tempo, filato dei frammenti del passato e delle immagini del presente che, però, lo sprofonda in uno stato di disperazione tale da perdere qualsiasi controllo sulla realtà e le proprie azioni.
Su tutto incombe l’ombra del Gazometro che ingoia strade e palazzi oltre che la ragione di Spider che lo indaga ossessivamente, individuando nel reticolo d’acciaio che lo sostiene la medesima trama delle sbarre che lo ingabbiano, lasciandosi rapire dalla venefica essenza inodore del gas in esso contenuto senza comprendere il perché della fascinazione frammista di orrore che detta eterea sostanza ha su di lui. Il trauma da superare è scomposto ed aguzzo come un vetro rotto, gli impulsi che da questo scaturiscono sono dolorosi ed urticanti, la spossatezza che ne consegue insostenibile. Immagini sgranate conducono ad un’infanzia di sofferenza ed incomprensione in cui la vertigine dell’assenza ha assecondato la crescita forastica di un bambino troppo debole per leccarsi le ferite ma abbastanza rancoroso da alimentare, per autodifesa, la pericolosa soluzione dell’alienazione. La convinzione che il padre brutale (un Gabriel Byrne affaticato in un ruolo difficilissimo e lontano dalle sue corde) abbia ucciso volontariamente la moglie (un’eccellente Miranda Richardson capace di brillare di talento ed espressività con la sua rappresentazione di due personaggi tanto diversi quanto complementari) per legalizzare la sua relazione con la prostituta Yvonne, interpretata dalla stessa Richardson, nutre la sua rabbia furente. Nessuno assiste all’omicidio tranne lo spettatore e già questo potrebbe suggerire la cifra su cui viene calibrato il racconto che è la stessa per la quale i lineamenti di Yvonne si trasformano in quelli della madre di Spider. La verità, emarginata più dal caso che da un percorso catartico che lasci margini per un epilogo di speranza, è più incredibile della folle ricostruzione di Spider e sarà, forse, il primo passo per evadere quei degradanti complessi che hanno prodotto il degenerare della colpa in rifiuto ed arginare la galoppante progressione della malattia o, forse, solo un altro gradino, l’ennesimo, verso la discesa inesorabile nel baratro.
Il libro da cui è tratto il film, una novella di Patrick McGrath pubblicata nel 1990, difficilmente poteva essere resa sullo schermo per l’opprimente preponderanza dell’incubo sulla realtà e per la volontà di non indagare il fenomeno patologico dal punto di vista medico ma dall’ottica privilegiata di una mente disturbata che cerca di penetrare il velo che la separa dalla realtà. Le emozioni comunicate sono cupe ed assorbenti, fortissime e persistenti nell’immaginario dello spettatore che ritiene, oltre al senso di soffocamento e claustrofobia che ambienti e colori comunicano, il grande coinvolgimento emotivo dato dalla profondità della storia e dalla stupenda arte di tradurla in immagini ed evocazioni degne di essere ricordate a lungo nel cuore e nella memoria.
Elisa Schianchi, revisioncinema.com



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Torna David Cronenberg con il suo nuovo film. Basato su di un romanzo di Patrick McGrath, Spider è il racconto in prima persona da parte di un pazzo.
Fin dall'inizio è quindi subito chiaro che ciò che vediamo e sentiamo deve essere filtrato attraverso la logica, perché non tutto corrisponde alla verità.
Spider infatti si presenta come una creatura spaventata e confusa, lontanissimo dall'essere rinsavito.
Gli dà il volto e le movenze un grandissimo Ralph Fiennes, che riesce attraverso piccoli gesti e borbottii indecifrabili a rendere tutta la disperazione di quest'uomo alla disperata ricerca della verità, una verità che gli è nascosta non da un nemico tangibile, ma dalla stessa mente.
Allo spettatore spetta la scelta: credere a Spider, con i suoi tic, i suoi sentimenti compressi e la sua mania di annotare ogni cosa con la sua calligrafia da ragno, o ritenerlo un povero pazzo mitomane, che trova nella menzogna la sua unica ragione di vita.
Spider si dibatte nella palude della sua memoria, imprigionato nella sua stessa tela, sballottato continuamente fra un angosciante presente (che Cronenberg ha voluto fotografare attraverso un filtro, di modo che ci troviamo immersi in un ambiente perennemente grigio e deprimente, così come deve apparire al protagonista) e la memoria del suo passato, e dell'orrore che vi è nascosto.
E come in un giallo, gli indizi su questa verità si accumulano, e la soluzione finale non coglie impreparato lo spettatore.
Il film, molto buono e molto curato sia dal punto registico sia per la prova degli attori (bravissima anche Miranda Richardson, impegnata in ben tre ruoli diversi), delude forse per questa struttura da thriller, inusuale per Cronenberg.
Il regista abbandona infatti per una volta il suo cinema "venereo", per affrontare il tema a lui congeniale della pazzia, ma attraverso un percorso forse non molto originale. Da un regista come lui era lecito aspettarsi forse qualcosa di più estremo, viste le sue opere precedenti.
Rimane comunque un buon film, superiore a molte uscite attuali.
Elena Da Prato, castlerock.it



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Tratto dal romanzo dello "scrittore della follia" Patrick McGrath, Spider è un denso e tortuosissimo percorso nei tunnel della mente di Dennis Cleg, interpretato da un magistrale Ralph Fiennes. Cronenberg abbandona le sue abituali scene mozzafiato e le immagini di forte impatto emotivo (La Mosca, Crash, eXistenZ) per sposare una sceneggiatura (scritta dallo stesso McGrath), introspettiva, profonda, lenta, affogata negli sbalzi schizofrenici del protagonista che finirà intrappolato nella ragnatela dei ricordi ed affogato nella sua psiche così disordinata e contorta. Ragnatela dicevamo, il ragno ne costruisce per difesa ma anche per mangiare, il piccolo Dennis ne fa scudo della sua stanzetta e spada contro il genitore colpevole d'averne assassinato la madre. Ed il piccolo Dennis ormai trentenne ripeterà questo paziente rituale cercando rifugio e pace dai ricordi che lo sballottolano tra presente e passato, tra sogni ed allucinazioni tra felicità e strazio. David Cronenberg studia i colori della pazzia e dell'incoscienza, una periferica Londra con il suo cielo plumbeo e con i giardini opachi e pallidi sono la perfetta coreografia della memoria a corrente alternata di Dennis. La pellicola scorre lenta e silenziosa, la difficoltà di "Spider" Cleg nel parlare sprofonda le scene in mutismi introspettivi di piombo ed in echi umidi e grigi della stanza nel manicomio. È capolavoro di regia il pianoforte dondolante che ricama l'inquietudine livida della sala da pranzo mentre la famiglia Cleg mangia silenziosa e Dennis trentenne la spia da dietro una porta. Spider rappresenta l'ennesimo capitolo del manuale-Cronenberg, manuale che tratta dell'uomo e del suo rapporto con gli infiniti cunicoli ed anticamere oscure del cervello.
a cura di Riccardo Marra, ilcibicida.com



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Strani titoli di testa per il nuovo David Cronenberg. Il regista canadese inizia su una serie di macchie di Rorschac, quelle strane macchie di colore su fogli che vengono mostrate ai malati di mente per analizzarli, e lo stesso sembra fare il regista con lo spettatore. Infatti questi si domanda cosa possano essere, finché il tema del film non si concretizza. E’ infatti la follia, presenza costante in tutti i minuti della pellicola. Dennis “Spider” Clegg è il protagonista, un folle che uscito dal manicomio, viene indirizzato verso una casa di cura che si trova nel quartiere dove è cresciuto. E tutta la trama è sviluppata su due piani: quello del presente e quello del passato, un passato filtrato dalla mente distorta del protagonista, un passato che vede il padre uccidere la madre e andare a vivere con una donna di facili costumi, odiata dal piccolo e difficile Spider. Miranda Richardson è assolutamente perfetta nell’interpretare entrambe le donne, rendendo l’immagine della Sophia della cultura classica, la prostituta e la santa, l’eterno femminino che pervade l’intero film. E la scelta di Cronenberg di focalizzare il film su un Ralph Finnes che mai trova normalità, ma rimane costantemente sospeso nel dramma della follia, è una scelta coraggiosa, che non da mai allo spettatore una tregua e lo aiuta a scendere negli inferi della malattia mentale.
Nemmeno lo scioglimento finale, che per una volta, fatto strano per il cineasta canadese, arriva, rende a Finnes la guarigione, anzi. Ma è lo il pubblico che vede realizzate le proprie previsioni, e riesce a dissolvere una tensione narrativa che non dava punti di riferimento.
David Cronenberg è un regista liminale, sempre sul confine tra il cinema d’avanguardia e il mainstream, capace di non scivolare mai nell’uno o nell’altro estremo, e gli esempi sono molteplici: da Videodrome a eXistenZ, passando per La Mosca e Inseparabili, attraverso gli estremi de Il Pasto Nudo (vero e proprio capolavoro) e Crash. E’ inoltre un grande traduttore di libri in immagini in movimento, è riuscito a vincere la sfida di tradurre Il Pasto Nudo, capolavoro della letteratura beat in acido in un film difficile, complesso e assolutamente affascinante. Anche qui si cimenta con una traduzione di un racconto, ma il lavoro iniziale ha meno fascino e meno possibilità dell’opera massima di Burroughs.
E il canadese è anche uno scienziato, più precisamente un entomologo, studia gli insetti. E il suo modo di fare cinema è simile alla scienza, astrae massimamente le immagini rendendo impossibile l’immedesimazione dello spettatore nei suoi protagonisti, dandogli però una possibilità di analisi che una messa in scena tradizionale non consente. Inoltre Cronenberg trasporta la sua passione per gli insetti in tutta la sua filmografia, dal suo film più commerciale, La Mosca, agli scarafaggi de Il Pasto Nudo, per arrivare ai ragni di Spider. Ragni mai mostrati ma presenti, nei racconti della madre, racconti che trasformano il protagonista stesso in un ragno. Clegg tesse la sua tela allo stesso modo del regista, costruendo la propria prigione mentre crede di costruirla per altri, come Cronenberg imprigiona il suo pubblico in una litania folle, trasformando Finnes in un ragno esso stesso, che parla come un insetto e allo stesso modo scrive il proprio racconto, la propria vita.
Insomma il cinema del nostro è un cinema dialettico: tra la ragione e la follia, tra una razionalità quasi cartesiana della messa in scena, dando la sua immagine di scienziato, e la follia costante e pervasiva delle storie che racconta; ci rende così l’immagine compiuta dell’uomo: il conflitto tra razionalità e irrazionalità, l’immagine di un cinema filosofico se mai ve n’è stato uno.
Ma sia chiaro, Spider non è il miglior film di Cronenberg. Non è probabilmente ottimo il racconto da cui è tratto. Non è invaso da perversioni e passioni come altri, non è allucinato, ossessivo, straniante. Il suo cinema si nutre di suggestioni, come avrete potuto intuire, ma Spider non riesce mai ad essere suggestivo fino in fondo. Certo è ben più interessante della media, ci mancherebbe. Ma ha fatto ben altro in nostro amato irregolare del cinema. Irregolare per la sua capacità costante di resta nel grande mondo della settima arte, pur con un piglio decisamente autonomo e profondo.
In conclusione ve lo consigliamo se e solo se:
1. Siete dei grandi fan di Cronenberg
2. Avete voglia di pensare andando al cinema
3. Siete perfettamente riposati nel corpo e nella mente.
Evitatelo se andate solo per svagarvi, vi assicuro che arrivare impreparati ad un film di Cronenberg è una bruttissima esperienza.
Michele Travagli, occhiaperti.net



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Londra, ai nostri giorni. Davis appena dimesso dal manicomio, si reca in una squallida pensione. Comincia poi una peregrinazione per il quartiere dove lui aveva abitato che si trasforma in un viaggio nel ricordo. Soprannominato in quel modo dalla madre perché intrecciava con le corde figura che ricordavano le ragnatele, rimane traumatizzato da un avvenimento , il padre avrebbe ucciso la madre per sostituirla con una prostituta. Realtà, allucinazione? Il film non da risposte. Il suo viaggio finisce dove era cominciato.
Male accolto dalla critica italiana, adorato da quella francese, l’ultimo film di Cronenberg divide come sempre. Tratto da un racconto di McGrath apparentemente potrebbe sembrare lontano dalle sue tematiche, ma ad una riflessione più puntuale vi si può ritrovare il tema principe dell’universo cronenberghiano: il viaggio di un individuo all’interno della sua follia. L’ossessione principale dei film del regista quella per il sesso, appare nella sua evidenza. Sicuramente alla base della follia di Spider sta un complesso edipico mai risolto. Egli è molto attaccato alla madre e vederla che si bacia con il padre fa nascere in lui un forte senso di disgusto, che lo porta a fantasticare. Da quell’incubo non riuscirà più ad uscire.
Lo spider adulto è il risultato di questo avvenimento. Nella prima magnifica sequenza, lo vediamo scendere dal treno con una valigia che poi vedremo contenere i pezzi della sua storia, una sveglia, delle corde. Appare dunque come un personaggio beckettiano, che arriva e ritorna da un non luogo, e che cammina parlando tra se in una squallida periferia londinese, che appare nella sua indefinitezza, ne campagna ,ne città. Luoghi-non luoghi, ibridi che si confanno molto bene al mondo del regista. Come non luogo è lo squallido albergo dove va a vivere, fatto di squallide stanze vuote dove Spider prosegue il suo monologo. Queste location ricordano molto le stanze tortura dei precedenti film, dove i personaggi sembrano inghiottiti dagli oggetti. E’ qui dove si avverte maggiormente il senso di solitudine del protagonista quando in una magnifica scena ascolta da solo una straziante canzone di Natale.
Spider dunque si rivela più che un film sulla follia un film sulla solitudine e sul dolore. Dolore che esce a spazzi nelle confuse parole del protagonista, nelle pagine del suo diario scritto in una grafia incomprensibile, nello strazio dei ricordi di una infanzia amara rovinata dal troppo amore della madre. Madre che nella sua mente lo ha tradito e si è trasformata in una squallida puttana e che ora ricompare nella figura della padrona dell’albergo, sinistra parodia della sua famiglia. A lui non rimane che ricercare il contatto con la madre sotto un mucchio di terra dove pensa che il padre l’abbia sepolta. Ma la madre è altrove, uccisa dall’ossessione di Spider e non può tornare.
Spider si rivela un film magnifico, duro e freddo come una necroscopia, senza speranza ne soluzioni. La grandezza del film sta soprattutto nella recitazione di Fiennes, che scende magnificamente nei meandri della mente di Spider e in quella della Richardson che sa essere contemporaneamente madre amorosa, prostituta e severa padrona d’albergo.
Alla fine del film non rimane a Spider che scivolare nella propria follia, come capitava ai protagonisti di Crash, ad Irons di M. Butterfly e a tanti protagonisti dei film del regista.
Mauro Madini, centraldocinema.it



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Ci si sprofonda nella poltrona fissando lo schermo bianco, poi le luci si spengono, la realtà sfuma in un bagliore nero e prende il sopravvento una storia dai confini rettangolari. Gradualmente i colori, le voci, i suoni formano un tutt'uno che, pur nell'immobilità del viaggio, permette allo spettatore di camminare in un sottile e quanto mai precario limbo, dove emozioni e pulsioni hanno la possibilità di uscire allo scoperto. Il tragitto di Spider di David Cronenberg, però, non esce dal perimetro dello schermo. Si è testimoni di un delirio senza riuscire a penetrarlo. L'idea di una follia non giustificata in modo esplicito dal solito mattone in testa in età pre-puberale è molto interessante, perché siamo abituati ad un rapporto causa-effetto in grado di risolvere meccanicamente qualsiasi alienazione.
Ma un soggetto così complesso avrebbe avuto bisogno di un approccio molto più visionario, in grado di trasmettere quello che l'oggettività dei fatti nasconde. David Cronenberg sceglie invece una messa in scena essenziale e cupa ma tutto sommato piatta, conferendo al racconto una lentezza che non diventa mai comunicativa. Il vagare di un dolente Ralph Fiennes, tutto occhi sgranati e biascichii, aggiunge poco ai moti del suo inconscio e l'idea di rendere il protagonista testimone del suo delirio è, all'inizio accattivante, poi semplicemente ripetitiva. Come la tela di ragno entro cui Spider si rifugia coltivando la sua insana follia. Gli unici guizzi sono nei dettagli, molto cari al regista canadese e ammantati della consueta morbosità (una viscida anguilla per cena, i denti neri della "nuova" madre, lo sperma gettato in faccia allo spettatore), non sufficienti, però, ad approfondire un disagio e a renderlo toccante. Molto brava la camaleontica Miranda Richardson, meno convincente il volenteroso Ralph Fiennes: si ha costantemente la sensazione che l'attore prevalga sul personaggio.
Luca Baroncini, centraldocinema.it
[Modificato da |Painter| 10/06/2010 20:56]
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