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RECENSIONI - Rassegna Stampa / 2

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2010 19:25
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Sesso: Maschile
07/10/2007 19:12


RASSEGNA STAMPA PARTE 2



Il Pasto Nudo film, Naked Lunch presentato al FilmFest, stupefacente percorso di David Cronenberg attraverso il corpo e la mente di William Burroughs, incontro nella logica del sogno e dell'incubo tra il regista della mostruosità e lo scrittore della droga, alleanza di due grandi e perversi talenti contemporanei, comincia a New York, nel 1953. Un uomo alto, magrissimo, elegante, dallo strano sguardo lugubre, penetrante e ansioso, vestito di marrone, con un cappello marrone, entra nella stanza marrone d'un appartamento marrone (è questo, marrone dorato o ruggine, un ersatz del bianco e nero, il colore di tutto il film, fotografato da Peter Suschitzky in una luce romantica da vecchio gangster movie). L'uomo somiglia a William Burroughs nelle vecchie fotografie di giovinezza: invece è Peter Weller, l'attore interprete della creatura bionica in Robocop. L'uomo fa di mestiere l'Exterminator (la parola è il titolo d'un libro di Burroughs del 1960), il disinfestatore, lo sterminatore di scarafaggi: e l'insetto, si sa, simboleggia l'inconscio. L'uomo entra in casa, e trova la bella moglie che sta facendosi un'iniezione di insetticida (l'insetticida, si capisce, sta per la droga) nella mammella destra. Il Pasto Nudo film finisce a Tangeri. In partenza, l'uomo marrone, che si chiama Bill Lee con il primo pseudonimo usato da Burroughs, dichiara d'essere uno scrittore. La polizia di frontiera non ci crede: lo dimostri, di essere uno scrittore. Lui tira fuori una stilografica. Non basta, per la polizia. Allora lui si rivolge alla donna vicina, che è identica a sua moglie essendo sempre Judy Davis, però non è sua moglie. Le chiede di mettersi un bicchiere sulla testa, spara al bicchiere come giocando a Guglielmo Tell, ammazza la donna: ripetendo l'atto con cui Burroughs ammazzò la propria moglie al Messico nel 1951, ripetendo l'atto con cui lui nel film ha ammazzato sua moglie, ripetendo un'uccisione che seguiterà a ripetere per sempre perché, dice il regista, “questo è il suo inferno, la sua condanna”. Tra l'inizio e la fine, simboli e oscenità, mistica e sesso, droga, ironia e mostri. Apparizioni straordinarie: un grosso insetto che parla da uno sfintere peloso dando ordini o suggerendo cosa scrivere al protagonista; iniezioni praticate da sudice dita febbrili nella gamba, nel piede, ovunque; i Mugwumps, mostri burroughsiani dalla testa costellata di tubi o capezzoli vaccini che secernono liquido stupefacente; macchine per scrivere mutate nel già noto insetto loquace e letterario; Julian Sands come ricco omosessuale elegante vestito di bianco che si muta in un enorme insetto predatore per possedere sadicamente un ragazzo dentro una gabbia; un animale coitale, dal corpo di scorpionide e dalle tonde natiche umane altalenanti; millepiedi dappertutto, vivi e morti, grandi e piccoli al naturale, seccati o trasformati in gioiello; l'edificio, vasto e perduto come una fumeria d'oppio o una Crack House, dove torpidi clienti succhiano droga dai capezzoli dei Mugwumps. Eppure, volendo ridurre in film (per annosa passione e amorosa vicinanza) Il Pasto Nudo, il libro più impraticabile dello scrittore più sovversivo dei Sessanta, l'amato e terribile canadese David Cronenberg ha scelto la via facile: ha lasciato quasi completamente da parte Il Pasto Nudo (rifacendosi magari a Junkie o ad altri testi) per raccontare invece una biografia fantasmatica di Burroughs, devastato dalle droghe e dall'uxoricidio, nel periodo in cui scriveva Il Pasto Nudo. Dall'opera, il regista s'è quindi spostato alla vita dello scrittore, eliminandone quasi del tutto l'essenziale componente omosessuale, conservandone le atmosfere, l'aura, le ossessioni, e scegliendone un motto: “Niente è vero, tutto è permesso”. Così la narrazione può diventare persino semplice. Bill Lee, newyorkese sterminatore di scarafaggi, e sua moglie, un'intellettuale declassata quanto lui, molto amici di Hank (che sarebbe Jack Kerouac) e di Martin (che sarebbe Allen Ginsberg), sono drogati sorvegliati dalla polizia. Per disintossicarsi, lui cade nelle mani del dottor Benway (Roy Scheider), ambiguo e diabolico ciarlatano. Bill Lee uccide la moglie e fugge nell'Interzona, la zona internazionale della Tangeri mitica e sparita del dopoguerra, rifugio di senzapatria, trafficanti, drogati, omosessuali ed eccentrici, dove tutti o quasi sono scrittori. A Tangeri incontra i Frost, una coppia di scrittori (Ian Holm e ancora Judy Davis, che sarebbero Paul Bowles e sua moglie Jane); incontra Kiki, ragazzo arabo bello e dolce di cui s'innamora. Attraverso successivi stati di allucinazione, con l'aiuto di Kerouac e Ginsberg che l'hanno raggiunto, diventa scrittore, autore de Il Pasto Nudo. Insomma, sintetizza ulteriormente Cronenberg: “Aver ucciso la moglie obbliga il personaggio ad esaminare la sua vita, a esiliarsi per capirla: e questo cambiamento lo forza a essere, suo malgrado, uno scrittore”. Facile, semplice, chiaro. Ma il film, tutto girato in studio come in un claustrofobico paesaggio mentale superartificiale, è assai meno schematico, molto riuscito, affascinante. A Berlino è stato accolto in silenzio alla prima proiezione, senza un applauso, con sconcerto, indecisione. Il regista ne è stato contento: “So che siete delusi: ma a me piace deludere le aspettative della gente”.
Lietta Tornabuoni, La Stampa



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[…] Adesso Peter Weller è a Taormina per promuovere l'uscita italiana, prevista per ottobre, di un film intelligente, forse troppo, che nonostante i milioni di dollari che è costato e i consensi degli studiosi anglo americani, non ha finora riportato a casa, attraverso il botteghino, l'investimento finanziario del produttore Jeremy Thomas, quello de L'ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci. Il film in questione è il Il Pasto Nudo (The Naked Lunch), una storia fantastica scritta e diretta da David Cronenberg e tratta dall'omonimo e autobiografico romanzo di William S. Burroughs che sullo schermo è appunto rappresentato da Peter Weller nella parte di William Lee. Un ruolo con molte sfaccettature: lo sterminatore di insetti, il drogato, la spia riluttante e lo scrittore che alla fine scopre “quell'attimo congelato, quando ognuno di noi vede che c'è sulla punta della forchetta”. Una metafora sintetizzata dal titolo del romanzo e del film: Il Pasto Nudo. Prima di David Cronenberg, altri otto registi avevano invano tentato di portare sul grande schermo Il Pasto Nudo, ma dovettero abbandonare per questione di costi. “Era inevitabile che non ci riuscissero sottolinea Peter Weller perchè David Cronenberg è il meglio del meglio. È un uomo di grande fantasia e di straordinaria creatività. L'ha dimostrato in quest'occasione rendendo umane, attraverso gli effetti speciali, persino macchine da scrivere che parlano col sedere o con le sembianze di E.T. E poi è soprattutto un grande scrittore cinematografico: il suo racconto in immagini non è fedele al libro ma nella riscrittura il regista canadese riesce a conservare sia lo spirito, sia le provocazioni dell'autore del romanzo ispiratore”. Com' è arrivato a interpretare il personaggio di William Lee? “Avevo letto il romanzo nel 1968, quando frequentavo ancora l'università e lo trovai divertente, irriverente, satirico e pieno d ' ipocrisia politica. Ma non immaginavo che si potesse trasformare in un film. Qualche anno fa, quando già facevo l'attore, appresi che David Cronenberg stava lavorando alla sceneggiatura e gli ho scritto candidandomi per la parte di William S. Burroughs e così si concretizzò il mio sogno. Ma prima d'iniziare le riprese, ho lavorato quattro mesi per mettere a punto il personaggio. Non volevo tradire certe suggestioni legate alla mia prima lettura del romanzo Con Burroughs c' è stato anche uno scambio di lettere. Lui, che ha oggi 78 anni e vive nel Kansas, è un uomo triste che non si dà pace per avere ucciso la moglie”. La bravura interpretativa di Peter Weller ha commosso a Taormina persino Fernanda Pivano: “In certi momenti Peter Weller assomiglia veramente a William S. Burroughs al quale sono legata da vecchia amicizia”. E in comune, i due hanno anche la passione per la musica. Peter Weller, oltre ad essere un ottimo attore, è anche un eccellente trombettista jazz.
Ernesto Baldo, La Stampa



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Da Brood – La covata malefica a La Mosca a Inseparabili, il cinema di David Cronenberg è iscritto intorno a tre parole chiave: mutazione, identità e corpo. C'è chi fruga nei recessi della psiche, lui è un esploratore del mondo segreto delle viscere, degli interiors in perpetua trasformazione dell'organismo umano. Può non piacere o suscitare ripugnanza questa sua poetica soprattutto quando produce visioni di mostri e scarafaggi, ma bisogna riconoscervi il segno di una personalità importante. In questo senso era fatale l'incontro tra il regista canadese e l'eversivo scrittore americano William Burroughs, autore del libro di culto della beat generation Il Pasto Nudo (Sugarco), pubblicato nel '59 e più volte perseguito per oscenità. Il film di Cronenberg non è l'adattamento dell'infilmabile testo, bensì una fantasticheria allucinata sul processo creativo della sua scrittura. Apparentemente ambientata nella New York degli Anni 50, la vicenda si svolge nella mente del protagonista Wiliam Lee (era lo pseudonimo di Burroughs ai tempi di La scimmia sulla schiena) e prende la forma degli incubi da droga che la popolano. Scrittore in crisi che esercita il mestiere di disinfestatore (come capitò per un breve periodo all'autore), Bill anzichè eliminare gli insetti si trova a dialogare con loro e finisce con l'obbedire agli ordini di uno scarafaggio gigante che lo invita a liberarsi della moglie Joan. Ed è così che giocando a Guglielmo Tell, Lee ferisce a morte la consorte (proprio come successe a Burroughs) e fugge a Interzone, un luogo immaginario simile a Tangeri (dove lo scrittore portò a termine Il Pasto Nudo). Qui incontra un'altra Joan, in tutto identica alla prima, sposata allo scrittore americano Tom (è un'allusione alla coppia Paul e Jane Bowles di Il tè nel deserto), agenti segreti che gli scatenano un'ossessiva paranoia, oltre a un giovanotto che smaschera la sua latente omosessualità. Nel tentativo di rimettersi al lavoro, il protagonista è costretto a confrontarsi con le orripilanti metamorfosi della sua macchina per scrivere, che tramutata in insetto parla dall'orifizio anale, secerne strani liquidi e batte da sola i tasti, metaforicamente rappresentando le difficoltà e i tormenti dell'atto creativo. Nella cornice di una scenografia onirica inquietante esaltata dalla claustrofobica fotografia di Peter Suschitzky, Peter Weller è un antieroe perfettamente ritagliato sulla figura di Burroughs; e Judy Davis nella doppia parte di Joan una e due conferma il suo talento di attrice ultrasofisticata. In loro compagnia, sul filo di un'ironia nerissima, Cronenberg ci conduce in un altro dei suoi viaggi fantasmatici ai confini dell'indicibile.
Alessandra Levantesi, La Stampa



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E’ la violenza dell'immagine, ma anche una qualche inquietudine metafisica ad aver segnato lo stile di David Cronenberg, specie ne La Mosca e ne Inseparabili.
Cronenberg è un regista che ha usato la fantascienza come strumento per indagare inconsci percorsi, traumi non banalmente sottocutanei. Il suo film si ispira a un classico della narrativa statunitense, Il Pasto Nudo di William Burroughs.
Stilista efferato, pontefice, con Kerouac e Ginsberg della Beat Generation, Burroughs pubblicò Il Pasto Nudo nel 1959. I fili che s'intrecciano nel libro sono diversi. L'iniziazione alla letteratura si specchia in quella all'omosessualità e alla droga. La droga, la mistica degli allucinogeni, fa da solvente a una vicenda che elabora materiale autobiografico (la fuga da New York a Tangeri, l'incontro a Tangeri con un mondo di libertinaggio intellettuale dove Paul e Jane Bowles erano al centro). Ma il libro accoglie anche fantasie, come chiamarle?, lisergiche che investono il reale e lo divorano con sofisticata brutalità.
Burroughs scrive benissimo. Le traduzioni italiane non danno ragione della finezza spasmodica, squisita fino al paradosso, dello stile di Burroughs, che è quello di un letteratissimo scrittore parodistico. Il Pasto Nudo emulsiona tutti i materiali che ho detto in un frutto dal connotato fortemente fantascientifico, ma ironico e giocoso. E tema dello scrittore che si trova a tu per tu con una macchina per scrivere simile a un mostro parlante di cui è schiavo e padrone, nel romanzo acquista leggerezza fiabesca, sigla una significativa commedia letteraria.
Il film, che parentela ha con tutto questo? Oddio, non si può dire non ne abbia, ma non quanta conviene. Cronenberg allude come meglio non si potrebbe, con una fotografia di ottima fattura e con trapassi di montaggio ovviamente eleganti, a quel tanto di lisergico di cui parlavo. Poi, la Tangeri che ci mostra di sbieco, con le sue seduzioni omoerotiche, le follie dei due Bowles, ha il sapore languido e forte che ci vuole. Ma per quanti sforzi faccia, una materia irriducibilmente mentale e letteraria, Cronenberg pare non riesca a renderla credibile se non con il ricorso a banali mostri in plastica e gommapiuma, a una ben nota voluttà del fetido che respinge lo stile del film verso l'illustrativo e il televisivo. Così ci si annoia, e il reticolo di allusioni, di cui il regista fa uso ingordo, resta nel limbo della mezzacultura.
Quei pupazzi fallici che stillano liquidi con sofferenza, quelle blatte giganti che dilatano sulla schiena l'ano palpitante e parlante, non sono ironici, sono risibili, paiono tirati su dai resti riutilizzati di un qualche Star Wars di serie.
Protagonista, Peter Weller è assai ben truccato nei panni di Burroughs; altrettanto Judy Davis lo è in quelli di Jane Bowles.
Enzo Siciliano, L’Espresso



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I. Non potrà essere girato un altro Pasto Nudo. Unica possibilità: il remake di un film di Cronenberg chiamato I1 Pasto Nudo. Forse è sempre così, ma questa volta il "beat" trovato (cercato?) da Cronenberg è veramente imprescindibile.
II. Weller/Lee/Burroughs (bellissimo) rimane costantemente in una zona d'ombra "artificiale", in cui fanno breccia talvolta visioni di luce incorniciate. La luminosità non riesce, però, a scalfire l'oscurità in cui tutti i personaggi sono calati.
III. Sul tappeto volante creato da Ornette Coleman, l'inconscio di Lee si libra, esplodendo ed implodendo, come in una copula di estremi bunueliani.
IV. L'estetica del junkie è abilmente evitata, appena sfiorata, grazie a immagini molto "sexy" (vd. le sequenze in cui un insetto e Joan si fanno spalmare insetticida sulle labbra).
V. Tutto il potere alla parola. Le (morbide) macchine per scrivere, tanto importanti per Lee e Tom Frost/Paul Bowles, non sono che agenti, mero strumento: malgrado le loro ansie comunicative e di controllo, non possono che godere ed eiaculare su "parole per cui vale la pena di vivere"; oppure sbranarsi vicendevolmente, essere torturate, il tutto molto "normalmente", con disciplina da "petit soldat", senza emozioni e con sangue che non sporca le mani, ma solo la carta. E a cosa servono le macchine, se non ad imbrattare fogli? Il potere alla parola significa anche mistificazione, tradimento, ambiguità e (parola chiave) ambivalenza. "Nulla è vero. Tutto è permesso." La parola è anche linea di confine tra realtà (?) e allucinazione, un filo sottile, quasi invisibile vella zona d'ombra (vd. II), su cui si muovono, in precario equilibrio, la narrazione, la vita di Lee, i suoi aneddoti "impossibili", impregnati di realismo carnale, molto vicini, evidentemente, alle idee e ai gusti di Cronenberg. Battuta di Lee quando gli si presenta l'opportunità di lavorare per la CIA: "Sì, potrebbe essere interessante lavorare nella risonanza."
VI. Dopo la "pioggia di sangue" di Inseparabili (dai camici dei gemelli alla chimera della fertilità), proprio il sangue è quasi assente in Naked Lunch (vd. V). Le ferite nella frronte di Joan Lee/Frost sono già cicatrici, prima che Lee si accorga di ciò che ha fatto. Gli insetti/macchina e i mugwump, più che sangue, producono umori.
VII. Le donne non sono umane, sono aliene. (vd. articolo di Rossana Rossanda su "Il Manifesto" del 20/1/93, pag 11 - fearful simmetry! -). Sono agenti e, come le macchine, sono strumento (o modello, o materiale) per scrivere "rapporti". Ciò non si esaurisce nell'apparente misoginia. La figura femminile è in realtà ambivalente (vd. V): di fronte al suo essere oggetto sta una soggettività forte, attiva, gravida (non solo come ricettacolo) di "cose sporche", eccitanti. Solo la donna può affondare le mani nella morbida macchina e darle
VIII. vita. E per fermare la donna non basta, lo sappiamo, un colpo di pistola: visse due volte, e chi può dire quante ancora vivrà, anche nonostante l'ipocrita repressione di una religione pseudo-cristiana al soldo dell"'Interzone inc."!
IX. Il finale non introduce solo prevedibili elementi di simmetria (indispensabili in un film costellato di insetti), ma lascia che il discorso di Burroughs collassi, de-componendosi, sovrapponendo, combinandoli, diversi piani di riflessione sullo scrivere e sull'arte. L'ultima (e prima) lacrima di Lee è forse la vera epifania di Burroughs, che per la prima (e ultima) volta "esce" dal personaggio e interpreta se stesso. Non piange la morte, piange di fronte alla sua opera, di fronte al Naked Lunch di Cronenberg, di fronte a Joan Lee, a Joan Frost, a Judy Davis. Piange, insomma, davanti a lucidi corpi, oggetti di un opaco, inestinguibile desiderio.
Marcello Testi, cinemah.com



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The Naked Lunch è uno dei testi più controversi e rivoluzionari della letteratura americana della seconda metà del novecento, opera che nella sua frammentata e schizofrenica follia rappresenta lo specchio ideale della personalità eccessiva del suo autore, quel William Burroughs considerato uno dei padri della "Beat Generation". Il sottotitolo ideale del libro potrebbe essere "flusso d'incoscienza di uno scrittore giostrato dagli stupefacenti" (Joyce docet), ed il narrare di Burroughs, infatti, è costruito (in)volontariamente con il cosiddetto e famoso "cut up", tecnica (mica troppo) dell'appiccicare brandelli di romanzo tra un flashback ed un altro, tra una digressione ed un'allucinazione, tra momenti di lucidità ed altri di totale assenza. Cosa, quindi, David Cronenberg ha voluto fare nel 1991 con l'uscita del "suo" Il Pasto Nudo? Probabilmente cercare di ricreare in celluloide gli stati d'allucinazione cronica di Burroughs, interpretato da Peter Weller, ricalcandoli direttamente dal suo testo del '58. Ed in effetti c'è proprio tutto nel suo film della storia di William e del Pasto Nudo: c'è la morte della moglie Joan, fatto di cronaca reale, rimasta con una pallottola in piena fronte durante la simulazione dell'impresa di Guglielmo Tell; c'è il rapporto stretto con i colleghi di scrittura Allan Ginsberg e Jack Kerouac, c'è la sua omosessualità problematica e complessa, c'è il suo viaggio per mesi a Tangeri (nord Africa), e c'è il suo difficile rapporto con la scrittura: un grande amore doloroso. Ad essere onesti Cronenberg non lascia al cinema un capolavoro, e forse esagera con effetti speciali un po’ rustici e ridicoli, nonostante vadano ad interpretare il mondo tossico e parallelo di Lee (pseudonimo di Burroughs). La storia si trascina un po’, sembra trovare a fatica uno sviluppo, e appare proibitiva la trasposizione in immagini dei diffusi attimi di febbre irrazionale del protagonista. Forse però uno dei meriti del regista è quello di riuscire almeno a garantire allo spettatore quella sensazione di sessualità sofferta che aveva in vita lo scrittore. Il sesso è un tabù, non è mai esplicito, e l'alone di omosessualità taglia trasversalmente il film con efficacia. Lo si vede nella storia d'amore appena accennata con Ginsberg, con quella concreta con il giovane Kiki, con le forme falliche spesso in primo piano, o ancora con quella sorta di masturbazioni alle cavità umide delle macchine da scrivere-ragni. Già, quest'ultime sono l'oggetto dell'accusa a Cronenberg di inutile esagerazione d'effetti speciali. Nel film le macchine da scrivere sono dei ragni (o giù di lì) che parlano e che rappresentano per Lee una sorta di informatori per la sua non proprio precisata missione. La forma mostruosa delle "tastiere" va a ricreare la relazione tra Burroughs ed il suo mestiere, mestiere che vede arrivare inevitabilmente ed in maniera più o meno frequente quei "blocchi", vero e proprio incubo (mostruoso) per gli autori. Il resto è un grande Boh, come quell'interzone che potrebbe essere vista come il mondo allucinato e drogato secondo Lee-Burroughs o come, secondo alcuni, il vero messaggio di Cronenberg, che ha voluto riproporre il "Pasto Nudo" ed il suo scenario, concependolo come un mondo lasciato a se stesso in cui regna la schizofrenia, la sessualità controversa e le psicosi. Insomma, roba da Cronenberg.
a cura di Riccardo Marra, ilcibicida.com



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Sicuramente uno dei film più affascinanti di David Cronenberg, […] Il Pasto Nudo è il personale adattamento che il regista girò nel 1991 basandosi sul “romanzo” di William Burroughs, scritto letteralmente sotto l’effetto di droghe varie fra Tangeri e New York. Ma mentre il libro è costituito da una serie di frammenti, spesso incoerenti, legati fra loro dalla famigerata tecnica stilistica del cut–up (di cui Burroughs fu l’indiscusso maestro nonché iniziatore), Cronenberg trasforma la materia affascinante, ma pur sempre caotica, della creatura di Burroughs in un universo compatto sia dal punto di vista narrativo che da quello cinematografico, innestandovi naturalmente alcune delle consuete tematiche tipiche del mondo Croneberg, da sempre dedito a riflessioni personalissime e acute sul corpo e sull’identità come involucri in continua mutazione.
La storia di per sé non sembra poi così difficile da riassumere: lo scrittore–sterminatore di scarafaggi William Lee (Peter Weller), dedito a uso di varie sostanze tossiche, fra cui la stessa polvere con cui dovrebbe uccidere gli insetti, divide la sua esistenza con la moglie Joan (Judy Davis), anche lei tossicomane. Fra momenti di allucinazione creativa passati davanti alla macchina da scrivere – un’eloquente vagina gigante nonché agente segreto di una società chiamata Interzona Incorporati – e visite di altri improbabili agenti della suddetta società, Lee uccide per sbaglio la moglie mentre giocano al Guglielmo Tell. Sconvolto, l’uomo decide di partire per Interzona, terra di piaceri leciti e illeciti dove, fra inquietanti scrittori di mezza età (Ian Holmes), omosessuali apparentemente repressi (Julian Sands) e una sosia della moglie, Lee arriverà ad incontrare il famigerato e temibile Dottor Benway (Roy Schneider), capo dell’organizzazione che dà il nome a Interzona e guru supremo della Carne Nera, la droga più potente mai esistita al mondo. Salvo poi fuggire da tutto ad Annexia per ricominciare una nuova vita con la moglie. O forse no.
Come il rumore di sottofondo della vicenda può far intuire – la droga – la mutazione è uno dei temi portanti del film, teso a rendere visivamente l’idea della scrittura come allucinazione e/o viceversa: non solo la macchina da scrivere parla, materializzando la parola stampata in una voragine di carne, ma le visioni alterate dall’uso della droga tramutano la realtà in pagina scritta e tasti che sprigionano il nettare della creatività, la mucosa che avviluppa i sensi in un liquido amniotico di oblio, un seme stantio che riduce la mente allo stadio larvale, cancellando le parole nell’atto stesso di scriverle, perdendole nella polvere che scorre nel corpo e riparte in circolo, formando nuove parole.
Seme, liquido, mucosa: nessuna mutazione può essere negoziata se non attraverso il corpo e nell’attraversamento fra corpi, in un crocevia di prossimità virale e viscerale di deleuziana memoria. Qui più che altrove, Cronenberg mette in scena una sessualità conflittuale e irrisolta, che non conduce a nessuna libertà ma anzi riporta alla maschera paurosa del sé e del (nel) altro. Da un lato, i coiti eterosessuali vengono continuamente interrotti da forze o interventi esterni, o più semplicemente dal flusso della droga (“Mi faccio di pesticida, non ho bisogno di orgasmi”, dice Joan ad un certo punto), mentre dall’altro gli accoppiamenti omosessuali sono ritratti come immenso abominio simile all’omicidio o al cannibalismo (come la ferocissima scena fra Cloquet e il timido prostituto Kiki). In più, per dirla con le parole di Clark Nova, la macchina da scrivere di Lee, “Le donne non sono umane”: ma chi lo è veramente nell’universo senza confini di Cronenberg? Nessuno si salva, e lo sparo finale – ripetizione del senso di colpa e coazione a ripetere il rimorso provato nella realtà sul piano falsato della percezione onirico narcotizzante – è in realtà un punto di partenza, un buco senza ritorno e senza fondo nei meandri del parto creativo e della scrittura, vera e propria Carne Nera che avvolge e strangola il protagonista trasportandolo in un territorio apparentemente altro, quell’Interzona che è alterazione della coscienza e mutazione genetica fra organico e inorganico, esplosi e fusi insieme nell’intelaiatura di una macchina da scrivere parlante che secerne sperma e sangue, per poi annettere lo scrittore completamente a sé nel territorio limbale ed eterno di Annexia, di nuovo attraverso il virus della scrittura, unica droga in grado di fagocitare se stessa invadendo gli umani (altri) con la propria tirannica volontà di esserci e farsi “carne”. “Language is a virus”, scriveva Burroughs nel romanzo Sterminatore!, e Cronenberg certamente non deve essersene dimenticato mentre ideava e girava questo film. Per molti Peter Weller resterà sempre Robocop, ma basterà dare un’occhiata al Pasto Nudo per ridimensionare la sua statura di attore e associare per sempre il suo volto smunto e allucinato alle divagazioni mutanti di William Burroughs riletto da Cronenberg.
Sacha Rosel, thrillermagazine.it



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David Cronenberg trasforma in immagini e da corpo e voce ai personaggi del teatro mentale (alterato) di William Burroughs. Il Pasto Nudo è uno dei romanzi più assurdi e allucinati che abbia mai letto. Si dice addirittura che lo stesso Burroughs non si ricordi di averlo scritto. E invece lo ha scritto eccome. Durante i suoi tentativi di disintossicazione (dall'oppio e i suoi derivati: leggi eroina) a Tangeri. Il romanzo è un insieme di ricordi, allucinazioni, storie, paranoie e personaggi che si muovono in (inter)zone non ancora bene esplorate. Il romanzo è anche un saggio sulle droghe. Sulla loro assunzione e sui loro effetti. Il libro è il diario di un tossico che tenta di liberarsi dalla sua schiavitù. Il compito che si prefigge Cronenberg è molto difficile. Ma le immagini del suo film catturano appieno lo sconforto mentale nel quale Burroughs doveva essere caduto. Il Pasto Nudo di Cronenberg è un insieme di elementi propri del libro e di elementi reali della vita di Burroughs. È reale il fatto che lui abbia ucciso la propria moglie giocando al Guglielmo Tell. È reale il fatto che Kerouac e Ginsberg lo abbiano raggiunto a Tangeri e abbiano trovato nel suo appartamento fogli e fogli pieni di parole deliranti. È vero che Kerouac abbia preso questi fogli e li abbia uniti tra di loro. E abbia chiamato questa unione il Pasto Nudo.
Il resto del film, come ho già detto, è la trasposizione in immagini dei tanti personaggi che affollano le pagine del libro. Lo stesso William Lee, Lo Sterminatore, il Dottor Benway e altri. Nel libro, a dire il vero, le situazioni in cui i personaggi si trovano sono tutte legate al mondo della droga, dell'omosessualità e del sadismo. Nel film Cronenberg cerca più di raccontare una storia, per quanto possa essere allucinata. I rimandi alla droga e all'omosessualità sono molto più pacati. Il sadismo è stato del tutto eliminato. Sembra che a Cronenberg interessi di più il rapporto tra lo scrittore e la macchina da scrivere. Che diventa carne e deformità, insetto e piacere sessuale. Abbiamo macchine da scrivere che parlano, con corpi mutanti, che cercano il piacere nel contatto delle dita dello scrittore con i loro corpi. Questi strumenti diventano degli Ibridi. Qualcosa di nuovo. E di molto inquietante.
Devo dire che il libro è molto più interessante del film. Dovreste provare a leggerlo. Nei momenti in cui Burroughs descrive le sue pere sentivo le vene che mi facevano male. È stata una sensazione incredibile. Sentivo che le parole mi entravano nelle vene e mi facevano male. Le parole sono diventate parte del mio corpo, mi sono entrate in circolo. Forse è questo che Cronenberg voleva mostrare dando un corpo alla macchina da scrivere. Voleva mostrare l'efficacia fisica delle parole. Il loro corpo. E perché se le parole hanno un corpo non può averlo lo strumento che le genera? È come un atto sessuale tra chi scrive e la cosa che trasforma lo scrivere in parole. È pazzesco lo so. Ma proprio per questo estremamente affascinante.
Il Pasto Nudo è la confessione di una mente alterata.
Di un corpo che nell'eroina trovava il suo nutrimento.
Di un uomo che ha vagato tra insetti e froci, tra sadici e allucinazioni nella ricerca di un qualcosa.
Forse di nulla.
Emiliano Bertocchi, kultunderground.org



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Liberamente ispirato dal omonimo romanzo di William Burroughs Il Pasto Nudo filtra attraverso l'occhio di Cronenberg la sensibilità artistica di un autore incompreso e spesso incomprensibile. Il libro del 1959, sperimentale, bandito, pornografico e "gay themed", viene arricchito dal regista canadese da elementi biografici riguardanti Burroughs e attingendo da altre opere dello stesso scrittore (Exterminator!, Queer, Junkie) e pare proprio che nessun altro regista avrebbe potuto portare sul grande schermo le opere di Burroughs se non Cronenberg, che con quello condivide l'idea della creazione come inevitabilmente legata alla distruzione, nonché le conseguenze di tale dinamica. Naked Lunch è un film sul creare e la sua difficoltà, sullo scrivere, sulla confusione fra arte e realtà, sulla scoperta di sessualità alternative, sulla droga e sulla paura dell'elemento femminile. Non è un film facile e, d'altra parte, il film stesso non pone come proprio fine quello di farsi comprendere: Cronenberg mette su celluloide lo stile di Burroughs mixandolo con il suo sentire già di per sé weird. Il risultato sono insetti con bocche che paiono sfinteri anali, macchine da scrivere simili a scarafaggi, alieni che secernono dalle antenne un liquido che crea dipendenza e molte molte altre cose strane. Nel film ritorna tutta la simbologia del regista canadese (simboli sessuali, carne, metallo) perciò lo spettatore che lo conosce saprà raccapezzarsi, ma questo avviene solo in parte in quanto il discorso narrativo è parecchio destrutturato e altri simboli ancora sono di difficile interpretazione. Cronenberg ondeggia fra tematiche romantiche, horror, noir, erotismo e dramma senza mai dare una piega definitiva al tutto, sicché lo spettatore si "aggira" per i luoghi fra sgomento e curiosità. Bill, il protagonista, ricalcato su Burroughs è un proto Spider (Spider, 2002) ma più cupo, disilluso, quasi non prova sconcerta di fronte alle assurde visioni che lo dominano; è un uomo che sembra trasportare in sé un fardello tanto pesante da rendere lento il passo. Un plauso a Weller che ha studiato un'interpretazione misurata ed eccellente di un Bill Lee con la morte negli occhi, un personaggio cinematografico con il quale difficilmente si può entrare in contatto empatico tale è la sua dimensione alienata (fenomenale quando racconta de "Il culo parlante"). Da segnalare la fotografia alcune volte calda altre desaturata di Suschitzky e lo score musicale di Howard Shore con brani del saxofonista Ornette Coleman. Il Pasto Nudo non è il film giusto per coloro che volessero iniziare a conoscere Cronenberg, o meglio sarebbe ideale in quanto è proprio in questo film che avviene una "perfetta" fusione fra gli elementi tematici del regista, ma d'altra parte il livello weird e i livelli interpretativi sono tali e complessi che lo spettatore "non scafato" si troverebbe o perso in una dimensione cinematografica allucinante o, peggio, si annoierebbe a morte. Chi ama Cronenberg ci troverà tutto ciò che lo ha affascinato di questo grande regista anche se probabilmente il livello weird potrebbe innescare comunque un senso di estraniamento. Se per voi il non plus ultra è Eraserhead (1977), allora con questo film asciutto e disperato siete a casa vostra. È comunque una bella esperienza.
FORSE NON TUTTI SANNO CHE...
-La definizione di Naked Lunch è stata data dallo stesso Burroughs nell'introduzione del libro: "È l'istante in cui ognuno vede ciò che c'è al termine di ogni forchetta".
-Il trailer del film mostrava un William S. Burroughs filmato negli anni '60, con una voce narrante che diceva quanto fosse ironico che un di libro bandito e censurato ora si facesse un film.
-L'attore Joseph Scoren (Kiki) è morto il 9 agosto 2005 per un arresto cardiaco dovuto alla sarcoidosi.
-Il film è pieno di riferimenti a persone vere e alla vita di Burroughs. Come Bill Lee, Burroughs era un disinfestatore e un tossicodipendente che accidentalmente sparò alla moglie mentre, ubriachi, stavano giocando a "Guglielmo Tell". Joan Lee è basata su Joan Vollmer, la moglie di Borroughs. Hank e Martin, scrittori amici di Bill, sarebbero Jack Kerouac e Allen Ginsberg. Burroughs andò ad abitare in una zona di Tangeri chiamata "International Zone", nel film "Interzona". Tom Frost è chiaramente basato su Paul Bowles (1910-1999, scrittore dal cui libro "Il te nel deserto" fu tratto il film del 1990). Kiki era il nome di un giovane uomo con cui Burroughs ebbe una relazione a Tangeri mentre scriveva Naked Lunch.
-Come detto prima, Burroughs uccise accidentalmente la moglie. Questo accadde nel 1951 in Messico. Per le leggi messicane del tempo, l'omicidio comportò per lo scrittore solo 13 giorni di carcere...insomma...come in Italia attualmente :-)
-Il nome del personaggio William Lee è lo pseudonimo che Burroughs usava quando scrisse il suo primo racconto, "Junky". Un memorabile segmento dal racconto originale, "The Talking Asshole", è recitato quasi parola per parola nel film. Nella parte iniziale della pellicola, un personaggio pronuncia la frase destrutturata "No glot, C'lom Fliday" che è l'ultima cosa scritta in quella novella.
-Cronenberg incontrò la prima volta il produttore Jeremy Thomas per discutere questo film nel 1981.
-Sarebbe dovuto essere il primo film di Cronenberg a essere girato fuori da Toronto, la qual cosa portò lo stato dell'Ontario ad offrire di tutto di più per farlo rimanere in patria. Tuttavia, l'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq, mandò all'aria i piani per i quali il film si sarebbe girato a Tangeri; il risultato è che tutto il film fu girato a Toronto.
-A Toronto fu ricreato il deserto mettendo nel capannone di una fabbrica di munizioni 700 tonnellate di sabbia.
exxagon.it



***

William Lee (Peter Weller) è uno sterminatore. La ditta di disinfestazione per la quale lavora gli fornisce la Polvere Gialla con cui uccidere gli insetti ma lui, ex tossico, che ha provato ogni sorta di droga, ne diventa completamente dipendente assieme alla moglie Joan (Judy Davis).
Non riuscendo ormai più a distinguere la sua fantasia dalla realtà, immerso com’è nelle proprie allucinazioni, Billie uccide la moglie con un colpo alla testa, giocando con lei a Guglielmo Tell.
Convinto di essere un’agente agli ordini degli insetti che ormai vede ovunque, scappa nell’Interzona
dove comincia svogliatamente a svolgere i suoi incarichi, restando in realtà maggiormente interessato a capire chi siano i misteriosi coniugi Frost (Ian Holm e di nuovo la Davis) e l’origine dalle sua attrazione per la donna, Joan Forst che presenta le medesime fattezze della sua defunta consorte.
Assolutamente inclassificabile come genere (se non sotto la generica e fuorviante definizione di horror), Naked Lunch, dopo un'intro dalle atmosfere prettamente noir, presenta la struttura dello spy-movie, dove i fatti vengo svelati gradualmente allo spettatore e al protagonista, conservando un’irresistibile venatura in bilico tra il non-sense e il surrealismo.
Perfettamente cosciente di gettare nel panico lo spettatore, Cronenberg, tiene fissa la telecamera sul suo protagonista (ottimo Weller catatonico e distaccato come al suo meglio) spostandola, ma solo a volte, sulla cornice per lasciar intuire allo spettatore dove stia quel limite, tra sogno e realtà, che William con disimpegno cerca.
Alcune scene, tagliate senza troppi scompensi per la trama (che comunque resta praticamente incomprensibile) nelle versioni televisive, come i rapporti omosessuali tra viscidi e mostruosi esseri metamorfici o la sola presenza di alcuni assurdi personaggi, sono ancora legati alla messa scena horror dalla quale Cronenberg ancora non riesce a staccarsi.
Ma quello che davvero lo interessa è il rapporto tra percezione del reale e fantasia, questa volta legato al tema della dipendenza.
A questo tema topico che ritroviamo in quasi tutto il suo cinema (Brood, 1979; Videodrome, 1983… eXistenZ, 1999; Spider 2002) se ne uniscono altri più prettamente letterari e legati ai personaggi (Billie vive con degli scrittori beat), presi in prestito da William S. Burroughs, autore del testo di partenza al quale il regista canadese mescola appunti biografici dello scrittore americano.
L’ambientazione marocchina dell’Interzona, la doppia essenza degli agenti-insetti, e delle macchine da scrivere-scarafaggi (i protagonisti di questa avventura sono tutti scrittori, muniti di macchine da scrivere che agli occhi di William si trasformano in insetti mostruosi) contribuiscono a confondere per l’effetto straniante e il finale surreale e quasi grottesco è emblematico per la lettura dell’intero film: Cronenberg ci dimostra (non per primo, a dire il vero) che la conseguenza logica in un film non è affatto necessaria.
Fantastiche e ottimamente impiegate le musiche di Howars Shore: sassofoni pazzi su scene di dialoghi, evitando così effettacci fotografici per simboleggiare la follia dei personaggi.
Peccato per la perdita, nella versione in italiano, dei giochi che la lettura del labiale permette agli attori al momento del doppiaggio nella versione originale: alcuni personaggi comunicano tra loro mediante il subconscio, e le loro spesso parole non coincidono con i movimenti delle loro labbra.
Frederich Morton, cinemaplus.it
[Modificato da |Painter| 10/06/2010 19:25]
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