Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Stampa | Notifica email    
Autore

Le interviste a Cronenberg (pt.1)

Ultimo Aggiornamento: 22/10/2012 11:23
OFFLINE
Post: 529
Sesso: Maschile
06/10/2007 11:54


CRONENBERG: LE INTERVISTE SU CRASH
Parte 1



Serge Grünberg intervista David Cronenberg


Ho detto a James Graham Ballard che nel suo romanzo sembra esserci un mistero che aleggia, qualcosa come un segreto fra lui e sua moglie (già morta all’epoca); nel tuo film c’è ugualmente qualcosa di molto misterioso...

Cronenberg:
Ieri sera ho parlato con Bertolucci (che ha molto amato Crash) e ci siamo dichiarati d’accordo su un punto: noi siamo gli ultimi a sapere di cosa parlino i nostri film (risate)... Hai certamente ragione — quando parlo ai giornalisti sono costretto a diventare il critico di me stesso — ma il film evidentemente non scorre a ritmo analitico e non vorrei perciò rispondere in linguaggio giornalistico, ma so esattamente a cosa alludi per ciò che riguarda il libro; Ballard per esempio ama dire che il personaggio di Catherine (Deborah Unger, la moglie dell’eroe) era ispirato alla donna con cui viveva da venticinque anni... ma non so. Di sicuro nel film c’è qualcosa di molto forte sull’amore e la morte, nel romanzo è ancora più oscuro. Prendiamo per esempio l’ultima scena del film, che non appare nel romanzo: credo che costituisca la miglior rappresentazione di ciò di cui parli. Ma sono io adesso che voglio assolutamente sapere cosa ne pensi.

Nel corso della mia discussione con J.G.Ballard gli ho sottoposto una citazione sulla quale si è innestato immediatamente — è ancora più evidente nel tuo film che nel libro — ci sono delle sequenze magnifiche in cui si vedono le autostrade piene di macchine e in cui James (Spader) dice frasi come: “La circolazione sembra tre volte più densa che prima del mio incidente” o “La circolazione è dieci volte più rilevante di prima”. Queste frasi associate alle immagini delle automobili che scorrono come insetti nelle gallerie mi hanno fatto pensare all’ultima frase de “La condanna” di Kafka (nel momento in cui l’eroe si suicida): “In quel momento sul ponte c’era un interminabile andirivieni di persone e di veicoli”. Ecco, Georges Bataille scrive in un celebre brano, che Kafka stesso aveva confidato a Max Brod: “Nello scriverlo ho pensato a una forte eiaculazione”.

E’ magnifico, veramente magnifico, e adesso che lo dici, beninteso, mi ricordo di questa frase, è senza dubbio una delle più terrificanti possibili perché sembra così fuori luogo nella situazione, più che crudele nel contesto...

Il tuo film è imbottito non di citazioni, ma di souvenir letterari o artistici... In un certo senso, Crash è un film d’avanguardia con una qualità “hollywoodiana”. Anche se so che la tua intenzione non era di fare un film d’avanguardia...

Jeremy Thomas mi ha detto di aver pensato a Buñuel... Ma anche se non sono cosciente di ciò, se dici che non era mia intenzione ti risponderò che al contrario era forse la mia vera intenzione. Quando giro non penso che a fare il mio film, non sono cosciente di tutto questo, ma quando si mette tutto se stesso in un film, e tutto ciò che ti ha segnato, compresa l’opera di Kafka, finisce tutto per filtrare in modo non cosciente. A dire il vero, non penso che vi sia un solo riferimento letterario cosciente nel film, ma si vede che finisce tutto per saltare fuori.

Sovente si dice di te — e l’ho udito spesso a Cannes — che sei un maniaco del “controllo”, dell’autorità, che tutto, nel tuo film, è controllato alla perfezione, “troppo” controllato beninteso...

Non è che un’illusione di sicuro, ma non è fondamentalmente questo l’illusione della padronanza del mezzo? In verità è uno dei film più improvvisati che abbia mai fatto. Tutti i miei ultimi film sono stati girati principalmente in studio, mentre qui ho girato soprattutto in esterno con un tempo detestabile, sovente di notte, giustamente con problemi di circolazione stradale; in questo senso, Crash è più un “documentario” (non in senso letterale, sicuro): dovevamo accettare la pioggia o la siccità, ma l’illusione del controllo, dell’onnipotenza di chi mette in scena, è così forte da trascendere tutte le peripezie. Ma sono questi legami tra la padronanza totale e il caos a fornire una definizione dell’arte, non è vero? Puoi constatare che sorrido per questo trionfo dell’illusione. D’altronde il mio film descrive personaggi che non hanno il controllo di nulla!

Tutti dicono che non si erano mai viste delle automobili in movimento filmate in questo modo...

Ritorniamo alla padronanza del mezzo: le luci per esempio. In tutte le scene su strada c’è una miscela di tanti fattori, la luce e tutto il resto... D’altronde, a proposito della mia pretesa padronanza, tengo a precisare che per queste scene non possiamo illuminare cinque chilometri di autostrada come in Speed; abbiamo girato con illuminazione ambientale, di giorno come di notte, e ci siamo serviti di ciò che abbiamo trovato. Ma ho serbato nell’intimo la convinzione che le due cose più filmate nella storia del cinema sono il sesso e le automobili; non volevo dunque che il film apparisse duro o delicato, volevo che fosse differente: non volevo più andare agli estremi, perciò ho accumulato numerosi ingredienti molto sottili: come queste riprese con la camera fissata al parabrezza: quante volte ne abbiamo viste? Milioni! Allora ho scentrato leggermente le inquadrature... ma evidentemente è soprattutto ciò che accade dentro le automobili a decidere il tenore del film. Ho deciso di non girare mai gli scontri al rallentatore: ironicamente, crea un effetto strano perché per lo spettatore è l’incidente al rallentatore a essere diventato la realtà. Volevo filmare gli incidenti in modo naturalista: sono rapidi, brutali, già terminati prima che uno se ne accorga. Ho desiderato tutto questo per dare una prospettiva nuova a cose che ci sono divenute molto familiari. Ho rifiutato il computer e l’hi-tech, perché tutta la vecchia tecnologia fa già talmente parte del nostro sistema nervoso da divenire pressoché invisibile; per renderle la sua novità, la sua originalità, occorre stabilire un equilibrio fra controllo e caos per mezzo di una sottile dislocazione degli angoli di ripresa, per mezzo della fluidità del movimento, ecc.

Crash porta comunque a quella che si potrebbe chiamare la strategia del desiderio. Al cinema il desiderio la maggior parte delle volte viene immediatamente soddisfatto, mentre qui segue una strada lunghissima e tortuosa. E’ forse questo che spiega la reazione di certuni: “E’ freddo!” Come se fosse necessario a ogni costo che il sesso al cinema sia... caldo!

Lo so. Secondo me è il problema fondamentale dell’arte! Come giocare con le speranze della gente, tenendo conto di ciò che hanno già conosciuto? Se tutti i quadri che hanno preceduto Le fanciulle di Avignone gli fossero assomigliati, non avrebbe mai fatto scandalo! I critici italiani che ho incontrato a Cannes mi hanno dichiarato che era un film porno. Io mi sono detto che era senza dubbio perché la sola volta in cui avevano visto tre scene di sesso una di seguito all’altra doveva essere stato in un film porno! Così, perché ai loro occhi una tale struttura formale non può essere che pornografica, ne concludono pressoché inconsciamente che Crash è un film porno. E’ una questione di forma. Sono stato obbligato a spiegare queste scene a molti giornalisti, italiani o americani, a dire loro che non erano ripetitive, che significavano molte cose, che non era necessario distogliere lo sguardo e attendere che chissà quale “azione” riprendesse... Se la gente prova a imporre al film i propri ricordi cinematografici non arriverà mai a entrare nel film. Uno spettatore mi ha detto: “Una serie di scene di sesso non costituisce un intrigo!” Gli ho risposto: “Ma perché no? Chi l’ha detto? Da dove viene questa regola?”

Una giornalista mi ha detto: “Non succede così nella vita!” Le ho risposto che quello che mi descriveva (la maggior parte delle scene di sesso al cinema) era nei fatti una violenza.

Hollywood ha conosciuto un successo eccezionale scoprendo la formula della “gratificazione istantanea”. In una certa maniera è la stessa cosa con le automobili: in Europa c’è la 24 ore di Le Mans, e negli Stati Uniti si apprende il vincitore di una gara di dragster entro sei secondi... E perciò quando si guardano commedie americane come French Kiss è sottinteso che è delizioso che i due eroi si incontrino, si detestino immediatamente e che non cadano una nelle braccia dell’altro che all’ultimissimo momento. E dunque ciò che è accettabile nel genere commedia leggera non lo sarebbe nel dramma...

John Carpenter diceva in una recente conversazione che il movimento che si ottiene con la successione delle immagini non è che un bluff, ma che il pubblico faceva finta di credere che fosse il “vero” movimento.

E’ ciò che si considera come “reale”, è vero. E’ quello che dicevo a proposito del rallentatore per gli incidenti di automobile. Il rallentatore è divenuto il reale. E la gente vede gli incidenti in Crash e dice a se stessa: “ma non è realistico”! Per loro ciò che è realistico è un incidente al rallentatore, filmato almeno da cinque angolazioni diverse. E’ per questo che in una scena mostro i miei personaggi nell’atto di guardare degli incidenti al rallentatore in tv.

In questa strana strategia del desiderio che permette alla coppia Ballard di ritrovare se stessa c’è qualcosa di nuovo per il cinema, che definirei con i termine burroughsiano di “parola”. Le frasi che scambiano Ballard (James Spader) e sua moglie Catherine (Deborah Unger) nel contesto del romanzo sono osé, ma niente più, mentre nel film è come se le parole si imprimessero letteralmente sullo schermo, con tutto il loro carico erotico.

E’ vero che utilizzano il linguaggio per dare alla luce la figura di Vaughan, che attireranno nel loro letto e che servirà loro da intermediario. Qualcuno mi ha confessato di avere l’impressione che Vaughan non esistesse per davvero nel film, che non fosse che un fantasma inventato a loro piacere. Ho risposto che da un punto di vista drammatico non ero affatto d’accordo, ma che da un punto di vista tematico era assolutamente vero: Vaughan è evocato, è un po’ la parola che si fa carne.

Ho avuto l’impressione che Vaughan fosse piuttosto una vittima...

Sì, ma è una vittima sacrificale? In questo caso torneremmo allo stesso punto: è sotto il loro controllo, è il corpo che riunisce marito e moglie. Non è affatto il leader di una setta: piuttosto un masochista che si infligge innumerevoli tormenti, una creatura complessa e composita.

A proposito di Sade e le sue 120 giornate, ho riletto di recente l’edizione della Pléiade, ho trovato dei capitoli incompleti in cui Sade non cessa di allineare cifre: numero di vittime, date esatte, nome delle parti del castello, etc... tutto si riassume in una strana algebra, la sua algebra...

L’algebra del desiderio. [risate]

Ma ciò non toglie nulla al lato osceno di Sade, al contrario! Allo stesso modo in Crash, la coppia si associa a altre persone secondo regole combinatorie segrete. E’ l’aspetto più “realista” del film...

Ma la gente non l’accetterà mai, perché reprime e nega ciò che i protagonisti fanno. Da un punto di vista razionale trovano tutto ciò inaccettabile.

Ballard mi ha detto che ciò che preferiva nel tuo film era che l’avevi spurgato dalle ultime reliquie di ciò che egli chiama “la tradizione narrativa del XIX secolo”: è un’opera filmata dall’interno. Per esempio la scena dell’autolavaggio.

Credo che si tratti di un fortunato incontro tra il romanzo e la mia attuale pratica di cinema. E’ vero a partire da La Mosca dove non ci sono che tre personaggi in una commedia, di questo nessuno si è reso conto. All’epoca, questo mi aveva fatto molta paura. Ma allo stesso tempo mi sono detto che era formidabile, che avrebbe finito per darmi molta forza perché ero obbligato a distillare e a distillare ancora di più fino a ottenere qualcosa di essenziale. E’ stata la stesa cosa con Inseparabili e Il Pasto Nudo, questa distillazione mi ha portato a scoprire la purezza essenziale di qualsiasi cosa; è un progetto impossibile ma che deve continuare. J.G. Ballard ha ragione: ho provato una grande eccitazione a distillare il suo romanzo. E quando la gente parla di “padronanza del mezzo” a proposito di Crash pensa naturalmente alla fotografia e al suono, mentre nei fatti io credo che si tratti di questo processo di distillazione lenta. Ma è un’arma a doppio taglio: da una parte può darti una forza incredibile, ma dall’altra se si filtra troppo si può arrivare a ucciderne tutta la vitalità. E’ il rischio che devo accettare, ma che il pubblico deve ugualmente accettare. Detesto trovarmi nella posizione in cui il regista tenta di convincere un giornalista ad amare il suo film, eppure mi accade spesso. So che il sottile equilibrio di Crash è tale, a causa di quest’incredibile distillazione, che alcuni non si sentono a loro agio non sapendo come reagire. Ma per me è positivo.

I toni dominanti sono freddi (il blu, il grigio), alcuni dunque ne hanno concluso che il film era freddo.

La tecnica attuale mi avrebbe permesso di ritoccare tutte le dominanti e di ottenere colori dorati e caldi, ma non sarebbe stato molto fedele a quanto accade sulle autostrade. Hai ragione, alcuni traducono impressioni visive in emozioni. Vado una volta ancora contro corrente. Se avessi voluto trasmettere l’impressione di un film soleggiato e felice avrei filmato cieli blu e lo spettatore avrebbe associato le mie immagini con i ricordi felici dei giorni soleggiati della sua infanzia, quando tutto era così meraviglioso e soprattutto non si pensava ancora a cose disgustose come la morte e la separazione. Ma rifiuto di sottopormi a questo, perché se accettassi sarei obbligato a fare un altro genere di film, e in quel caso davvero non avrei più alcun controllo sul mio lavoro.

In televisione soprattutto la maggior parte dei film, quale che ne sia il soggetto, si svolgono sotto cieli blu, al sole.

E’ l’egemonia delle convenzioni hollywoodiane. Questo è fondamentalmente un film al giorno d’oggi: è come se fosse ambientato a Beverly Hills! In Sense and sensibility è ridicolo... tutto era verde e soleggiato! Hanno dovuto attendere mesi per avere dieci secondi di bel tempo! Anche ciò diventa poco a poco realtà per la gente: se si va al di là si è accusati di non realismo. In Wild palms di Bruce Wagner almeno il soggetto stesso lo giustificava (bisogna assolutamente leggere il romanzo di Bruce Wagner! Ha scritto Forza maggiore sui contratti hollywoodiani, e un altro ancora, I’m losing you. E’ nato a Hollywood, in mezzo al cinema; è un tipo davvero brillante, molto buffo, un ottimo scrittore. Il suo ultimo script è veramente senza compromessi.

Il microclima di Cannes, molto specifico, porta alla paranoia: si è molto detto che Crash era provocante, come se, essendo un autore, tu fossi obbligato a fare un certo tipo di film.

E’ un’altra versione del problema delle aspettative del pubblico e della critica: si tratta non solamente delle forme e delle strutture del cinema in generale, ma anche delle mie proprie convenzioni, di ciò che la gente si aspetta da me. Se fossi un attore si chiamerebbe “type casting”: non si accetta che Clint Eastwood giochi un ruolo simile, perché è obbligato a interpretare personaggi forti... ecco, è più sottile, ma torniamo allo stesso punto! Quando parli di provocazione mi diverti, perché mi è successo di sovente: la gente non mi crede. Utilizza la parola provocazione per evocare il modo in cui tratto certi soggetti sensibili, ma nei fatti è molto più sottile; per esempio sarei un provocatore perché le scene di sesso non sono abbastanza “calde”, per altri ancora perché lo sono troppo! Non si può vincere a questo gioco. Pensano davvero che io e i miei attori durante le riprese ci siamo detti: “Sì, questo è davvero provocante, facciamolo!” Non arrivano a credere che ci sono davvero altre cose da fare durante le riprese: i dialoghi, le luci, i gesti... non credono che si è quasi sorpresi quando infine la gente si sente provocata. Non sono abbastanza ingenuo da credere che adattando un libro come Crash non avrei provocato certe reazioni: ma una volta fatta la scelta si dimentica tutto, non fa più parte del processo... Se ci si preoccupasse delle reazioni del pubblico si sarebbe completamente paralizzati, perché si sa che qualunque sia la direzione presa si verrà criticati e che alcuni saranno delusi. Se si pensasse allo spettatore-tipo e alle sue attese sarebbe la morte di ogni creatività.

Un giovane mi ha detto che Crash era ancora più bello di Videodrome, nella misura in cui è il tuo film più radicale.

La parola “radicale” ha come tu sai un senso molto preciso: viene da “radice”, è ciò che è più radicato, il più “basico”, forse... d’altronde i miei attori, ai quali sono raramente stato così vicino, venivano sovente a dirmi che risentivano di una sorta di abbandono, al che io rispondevo che risentivo esattamente della stessa cosa, come se Crash fosse il mio ultimo film. Credo di avere spinto questo processo di distillazione talmente lontano, in maniera talmente radicale e completa... questo film possiede una sorta di purezza così estrema che non potrei mai andare oltre. Il mio prossimo film dovrà necessariamente andare in tutt’altra direzione. Crash segna forse la fine di un ciclo, un ciclo interiore, penso di avere raggiunto una zona inesplorata. Quando penso a Videodrome ho i brividi: per me è ancora un film amatoriale, in esso sono sempre alla ricerca della padronanza del mezzo; so che la gente che lo ama compensa nel guardarlo gli errori, perdona il mio andare a tentoni, ma non posso confrontare i due, Crash è di gran lunga superiore per me...

Qualche tempo fa ho rivisto Il Pasto Nudo e dimenticando praticamente Burroughs e Cronenberg l’ho riguardato come un qualsiasi film di genere, e ho scoperto un altro film.

E’ molto difficile per me fare questo tipo di esperienza, nella misura in cui ognuno dei miei film è ugualmente un “home movie” associato a un periodo della mia vita, in cui ogni piano cinematografico ha una sua storia, ogni espressione di ogni attore mi ricorda i problemi che ho sopportato durante le riprese... ma mi piacerebbe tanto poterlo fare, anche se forse mi spaventerebbe! Mi è successo di recente, facendo zapping alla tv, c’era una settimana Cronenberg su un network canadese appena prima della mia partenza da Toronto, di capitare per caso su uno dei miei film, e per un secondo forse ho provato ciò che dici...

E’ evidente che hai una relazione unica con i tuoi attori. Non smettono di parlare della fiducia che hanno in te. A cosa la attribuisci?

Per quanto riguarda Holly Hunter per esempio sapevo che voleva il ruolo di Genevieve Bujold in Inseparabili. Tutti i miei attori vivono nel sistema hollywoodiano ma hanno ugualmente desiderio di fare film in cui saranno compresi e dove potranno esprimersi in un contesto differente. Tutti conoscono il mio lavoro come Rosanna Arquette e Elias Koteas [che interpreta il personaggio di Vaughan] che aveva rifiutato di recitare ne Il Pasto Nudo e l’aveva molto rimpianto in seguito; se ne è scusato, è talmente adorabile! Credo che avrebbero tutti accettato di recitare in Crash senza conoscerne la sceneggiatura. Ci vuole molto tempo per arrivare a questo, occorre rifiutare molti compromessi.

Nella tua regia d’autore sembri condurli a “recitare al di sotto delle loro possibilità”, a evitare, come diciamo in francese, di “fare del cinema”.

E’ un’espressione che conosco, si dovrebbe allora dire piuttosto “fare del teatro”... è un po’ come regolare un carburatore, occorre molta delicatezza e pazienza. Ma effettivamente una delle parole che impiego più sovente è “meno, un po’ di meno”! Una volta stabilito il protocollo con la star, in questo caso James Spader, l’atmosfera è già creata. Gli altri lo sentono. Non occorre che un paio di giorni. Ma alcuni attori sono giunti quando le riprese erano iniziate da tre settimane e per nulla al mondo volevano essere quello o quella che aveva guastato l’atmosfera. I buoni attori hanno dei radar; se il tono generale è Joe Pesci, tutti faranno i Joe Pesci... [risate] Dopo qualche giorno di riprese non è più nemmeno necessario parlare, si è su un altro piano, si tratta di trovare delle minuscole sottigliezze. La sceneggiatura, occorre dirlo, era molto austera, 77 pagine con molti spazi bianchi; quanto al dialogo non è troppo fitto.

Puoi parlarmi della magnifica musica di Howard Shore?

Howard e io siamo uguali, in un certo modo: cerebrali e passionali al tempo stesso. La gente può anche dire che siamo “freddi” fino a che ci conosce meglio. Quando si lavora con gli attori tutto ha inizio con il budget e il piano delle riprese; sapere che io ho il final cut è importante per gli attori, si sentono meglio protetti, fa parte della fiducia reciproca. E’ la stessa cosa con Howard. Gli ho detto: “Non abbiamo un grosso budget, non possiamo permetterci di andare a Londra a registrare con la London Philarmonic”. Per Videodrome abbiamo registrato a Toronto con pochissimi strumenti e poi mixato le differenti tracce sonore in studio. Gli ho fatto capire che le riprese avrebbero somigliato più a Scanners che a M. Butterfly o a Il Pasto Nudo — niente studio bensì esterni, farà freddo, si girerà in luce ambiente, etc., occorreva che anche la musica seguisse questa inclinazione. Siamo andati nello studio dove avevamo registrato Brood nel 1979, senza orchestra. Il primo giorno ha registrato tre arpe, l’indomani sei chitarre elettriche (molto strano!), il terzo giorno unicamente le percussioni più qualche partitura per orchestra... poi ci siamo messi a montare questi suoni. In origine la musica della pre-produzione era un po’ differente, non c’erano che le sei chitarre elettriche: ma in seguito Howard ha fatto venire Simon Franglin — che è molto celebre nel mestiere, ha lavorato con Madonna — con un Synclavier, uno strumento elettronico che non si fabbrica più e che è in grado di campionare suoni reali. E’ arrivato con quattrocento chili di materiale (poiché è un equipaggiamento obsoleto, con cavi dappertutto) per non registrare altro che suoni sottili. E abbiamo lavorato come in Scanners e Videodrome — con gli ingegneri del suono che si occupano dei rumori del motore, quelli che fanno gli speciali effetti sonori, i pneumatici che stridono, i freni che urlano, poi abbiamo integrato questi suoni nella partitura riprocessandola elettronicamente. Quando ho ascoltato questo frammento per la prima volta (Howard l’aveva destinato alla lunga sequenza della catastrofe sull’autostrada) senza il ritocco elettronico, mi sono detto che sarebbe stato perfetto per la colonna sonora (in origine aveva composto un piccolo brano sinfonico, ma in seguito non ha voluto nemmeno farmelo ascoltare), l’ho trovato fantastico, intenso, metallico come il film. Ma il problema della musica da film è sempre lo stesso: la musica esiste per dirci ciò che dobbiamo provare (come è sempre nei film hollywoodiani)? In Crash io non voglio dire allo spettatore ciò che deve sentire, occorre dunque una musica che generi qualcos’altro, che sia intonata con il film: neutra. In effetti Howard Shore non aveva mai scritto una partitura del genere. Siamo dunque ritornati all’epoca di Scanners e di Videodrome ma ancora una volta spero che siamo anche migliorati, maturati. Per la scena dell’autolavaggio automatico Howard aveva composto una musica magnifica, perfettamente integrata, ma abbiamo deciso di non mantenerla. Non resta che un’orchestrazione/modulazione di rumori meccanici, che è opera degli ingegneri del suono. Questa scena ha pertanto un’essenza musicale. Quando gli attori hanno visto per la prima volta a Cannes il film terminato, su quest’immenso schermo dell’auditorium Lumière, l’hanno in un certo modo scoperto: è per dire a quale punto gli elementi sonori sono essenziali.

Dopo Cannes dove il tuo film è stato di gran lunga quello di cui si è più parlato, che puoi dirmi della tua situazione nel cinema d’oggi?

Gli studios hollywoodiani hanno sempre una buona opinione di me soprattutto perché ho la fama di non sfondare il budget, l’immagine di “padronanza” di cui abbiamo parlato significa per la gente degli studios che non sono uno che se la mena; è una posizione strana; in un certo senso è un trionfo per me. Nei miei film riesco a frustrare la gente con ciò che potrebbero aspettarsi da me; nella mia carriera ho proceduto nello stesso modo: non mi si può incollare un’etichetta né limitarmi. Avevo un agente che non smetteva mai di dirmi: “Non fare Crash, ti rovinerà la carriera!” Era una frase che aveva letto in un libro su Hollywood (risate) Gli ho risposto: “Ma è questa la mia carriera! Quale altra carriera potrei avere? Tu pensi davvero che non mi proporranno Alien 4 perché ho fatto Crash” [In effetti mi hanno davvero proposto Alien 4]. Non penso che la gente di Hollywood mi rinfaccerà Crash... si diranno soltanto: “Ah, se solo si potesse fargli fare qualcosa di più commerciale!” (risate) E’ una posizione meravigliosa. Sarei d’altronde scontento se cessassero di propormi questo genere di film, perché anche se non accetto mai — e questo oltrepassa di molto i miei problemi di ego — è confortante dirsi che malgrado le differenze enormi tra il mio punto di vista e il loro restano capaci di ammettere il valore del mio lavoro.

Hai talvolta l’impressione di essere un musicista, diciamo (la tua modestia dovrebbe soffrirne) come Mozart, questo frammassone che non scriveva altro che messe e requiem al servizio di principi della chiesa?

Sono naturalmente onorato di essere paragonato a Mozart (risate)... ma è proprio così! Sono un ateo di Hollywood al quale si domanda di tanto in tanto di comporre una messa hollywoodiana. Può darsi che non la faccia mai, ma non sarei contento che l’arcivescovo-principe di Hollywood cessasse di domandarmelo. Non si sa mai cosa può capitare nella vita, un giorno forse realizzerò Alien 4...

Cannes, 20 maggio 1996
Entretien avec David Cronenberg, Cahiers du cinéma n. 504, 1996
traduzione dal francese di Franco Ricciardiello
intercom.publinet.it



***

Tempi Moderni intervista David Cronenberg


Come è nata l'idea di adattare Crash al grande schermo?

Cronenberg: È stata una giornalista (Toby Goldberg) che mi ha fatto leggere il libro. L'ho trovato così inquietante che non ho potuto finirlo se non dopo sei mesi, ma non vedevo proprio come avrei potuto farne un film. Dieci anni più tardi, parlando con Jeremy Thomas, per caso ho detto: dovremmo fare Crash!- ed ero quasi sorpreso di ciò che dicevo. Ma lui era ancora più sorpreso di me, perché aveva acquistato un'opzione sui diritti del romanzo già dal 1983.

È nato forse a causa della sua ossessione sul rapporto uomo/macchina?

Si! Non ho mai pensato che gli uomini siano creature naturali in un paesaggio naturale. Noi creiamo la nostra realtà, e non soltanto per quanto attiene al dominio della tecnologia. L'uomo non ha mai accettato il mondo così com'è, al contrario ha sempre cercato di cambiarlo. Questa idea era già presente in Inseparabili, La Mosca e anche in Scanners.

Il libro di J. G. Ballard ha una fosca reputazione di violenza e perversità.

Ho dedicato molta attenzione ad ogni particolare, la scenografia, gli attori, gli effetti, i dialoghi, inquadratura dopo inquadratura, dettaglio dopo dettaglio. Tutte le scene, anche le più erotiche, se le si osserva bene si noterà che sono consensuali. Perfino quando tutti e tre fanno l'amore ho evitato i tipici modi hollywodiani, cercando di suggerire una grande delicatezza nei rapporti tra i personaggi. Credo che sia proprio questo che salva il film dall'oscenità. C'è anche una scena di sodomia, ad esempio, ma è filmata in modo quasi teatrale e tutta la sua forza sta in ciò che i personaggi dicono. Proprio attraverso il linguaggio, cerco di fare in modo che in ogni momento del film il pubblico possa accedere contemporaneamente a molti livelli di percezione. Al giorno d'oggi siamo così ossessionati dal principio del "politically correct" che è diventato quasi impossibile avvicinare con intelligenza l'argomento della sessualità. La gente è spesso fuorviata dall'erotismo di un film, perché ritiene che l'erotismo sia qualcosa di malsano. Ma Crash non ha nulla di pornografico, dal momento che la pornografia per definizione è destinata ad eccitare il pubblico. Ciò che io mostro sullo schermo è la partecipazione dei personaggi ad un fantasma sessuale e non la registrazione quasi documentaria di rapporti sessuali tra mammiferi.

CRASH non descrive forse una specie di setta?

Non userei la parola "setta". Vaughan non è organizzato come un vero guru... è più simile ad un musicista jazz che improvvisa intorno a un tema, direi che è impulsivo allo stesso modo. E inoltre una setta ha bisogno di un capo carismatico, mentre la filosofia di Vaughan consiste piuttosto nel rifiuto di ogni leader.

Lei ha sempre amato le automobili, non è vero?

Nessuna macchina è unicamente un'automobile. Avrei voluto che le auto fossero solo oggetti di uso comune, utilitarie. Invece ognuna di esse esprime l'impulso dell'uomo a modificare il reale, a comprimere e controllare lo spazio e il tempo. Sono macchine per esplorare il tempo, per proiettarsi nello spazio, tentativi di controllo della realtà. In Crash ci spingiamo ancora più oltre: la macchina scatena nuovi stimoli erotici. In America, per un adolescente possedere una macchina equivale ad avere il potere, anche quello di fare l'amore. Quando io ero ragazzo il primo tra noi che girava in decappottabile diventava il maschio dominante ed era investito di un potere sessuale enorme. C'è proprio tutto questo in Crash. Ma io vado oltre: automobili che si scontrano con altre automobili, macchine che si utilizzano in modo molto fisico, molto sessuale, non solamente per andare a prendere la ragazza e andare a fare l'amore nei boschi, ma per fare l'amore con lei quando si trova in un altro veicolo e per avere un orgasmo nello scontro con l'auto dove sta lei... questa è l'essenza del film.

Quando si uccide qualcuno in un incidente d'auto ci si sente meno colpevoli che se si trattasse di un vero e proprio omicidio. L'incidente di macchina fa parte delle statistiche, del destino...

Questo fa parte dell'effetto di isolamento provocato dallo sviluppo tecnologico. L'idea che noi non siamo responsabili, che il telefono, la televisione, la macchina ci isolano, ci distanziano dalle cose, finisce per creare un'altra realtà. È una senzazione che noi tutti accettiamo, ciò che Ballard chama "l'effetto di scollamento" dovuto alla tecnologia. La banda di fanatici degli incidenti di Crash tenta di fuggire a questo straniamento dicendo: "Quando si ha un incidente di macchina con qualcuno, le nostre vite si legano, sessualmente e a tutti i livelli, per sempre". Spader uccide il marito di Holly Hunter, che noi vediamo solo per un secondo, ma quest'uomo resterà per sempre tra loro e James sposerà la dottoressa Remington proprio perché lo ha ucciso. È un comportamento primitivo, tribale.

È rimasto molto fedele al libro, pur realizzando qualcosa di diverso.
Non seguo regole particolari. Ho realizzato La Zona Morta, Il Pasto Nudo e Crash, e per ogni libro la situazione era differente. Questo romanzo era davvero molto cinematografico... ho potuto distillare Crash nella mia sceneggiatura senza grandi problemi. Certo ho cambiato qualcosa... Elisabeth Taylor non c'è più ad esempio. Ma bisogna anche dire che 25 anni dopo l'uscita del libro Elisabeth Taylor non è più una star, un simbolo, mentre James Dean lo è ancora perché è morto giovane. Ecco perché ho inventato la ricostruzione della morte di quest'ultimo.

Come ha scelto gli attori?

Il soggetto steso mi ha imposto di scartare gli attori che non avevano la forza di fare ciò che io chiedevo loro.

a cura di Luigia Parravano, tempimoderni.com



***

Cronenberg su Crash


Cosa succede quando c’è un attore che rifiuta di fare una scena?
Cronenberg:
Non mi è mai successo.

Non sono sorti problemi con Elias Koteas per la scena gay in Crash?
Sì, ma l’ha fatta.

Cosa è successo?
Io non urlo. Semplicemente non è il mio stile. È come una seduzione, quasi machiavellica. La cosa che non faccio mai è sbraitare. Tranne una volta. A James Woods [in Videodrome(1983)]. Ho detto “Piantala di cazzeggiare e vieni qui a dire quelle cazzo di battute!”. Devi sapere che Woods è un uomo davvero intelligente, ma è arrivato al punto di essere esasperato, e sapeva cosa intendevo quando l’ho detto. Ma con Elias è stato insolito. Non fu addirittura omofobia come Spader commentò, suscitando una certa avversione culturale all’essere percepiti in un certo modo. Penso che mi stesse mettendo alla prova per vedere se lo buttavo fuori. Gli ho fatto capire che l’intero film sarebbe crollato se lui non avesse girato quella scena.

Quando uscì Crash, molte persone lo presero letteralmente e pensarono che fosse stupido – come puoi eccitarti con un incidente stradale? – anziché pensarlo come una metafora. Voglio dire, non riguardava davvero le automobili.
Sia il libro che il film Crash sono opere particolari che richiedono un approccio non letterale. J.G. Ballard inventò questa grottesca sub-cultura per discutere la natura delle sub-culture – persone coinvolte in attività e mentalità grottesche poiché sono incapaci di ottenere soddisfazione dai comuni modi di comportarsi, inclusa la sessualità. Quindi sì, hai ragione, non riguarda le auto. Benché potrei prendere il caso – così per ipotesi – di persone del genere che davvero esistono, che esistono sub-culture dove le persone provocano incidenti d’auto per eccitarsi.

Ma non esistono!
[sorridendo] D’accordo… okay, le abbiamo inventate.
Tim Chapman, ballardian.com (traduzione: Matt)



***

David Cronenberg a proposito dell'elemento erotico presente nel suo cinema:
Posso immaginare che qualcuno possa non riconoscere l’elemento erotico, ma per me è davvero ovvio. Vorrei essere il primo a dichiarare di vedere la connessione tra sesso e violenza, ma va avanti da circa 5000 anni. Sto soltanto riconoscendo cose che sono apparentemente ovvie per me. Adesso siamo in un mondo bizzarro con Internet, dove possiamo vedere porno con torture ogni minuto del giorno e della notte confortevolmente a casa nostra – spesso grazie a musulmani estremisti. Sono sicuro che sarebbero abbastanza sconvolti di pensare che io vedo erotismo omosessuale nelle loro decapitazioni ecosì via, ma lo vedo, e molto chiaramente. E mi fa diventare pazzo il fatto che sono così sicuri e giusti su ciò che fanno, perché io lo vedo come un vero atto di perversione complessa. La decapitazione che ho visto è stato come un’orgia omosessuale, davvero. Malgrado cantilene religiose e barbe, è molto evidente per me.
ballardian.com
[Modificato da |Painter| 22/10/2012 11:23]
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Cerca nel forum

Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 10:55. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com