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RECENSIONI - Rassegna Stampa / 2

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2010 20:38
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Sesso: Maschile
05/10/2007 19:16


RASSEGNA STAMPA PARTE 2


Le polemiche scatenate da Crash prima della sua uscita nelle sale hanno coinvolto anche settori non preposti istituzionalmente alla critica cinematografica. E’ un dato, questo, che può suggerire ad un osservatore esterno tutte le potenzialità dell’ultimo lavoro di David Cronenberg che si muove, come sua abitudine, fuori da schemi convenzionali e controtendenza, analizzando le mutazioni in atto all’interno della società e del genere umano.
Se era facilmente intuibile che la critica potesse spaccarsi, come spesso accade per i lavori del regista canadese, erano senz’altro meno prevedibili le dimensioni che il dibattito su Crash avrebbe assunto su alcuni quotidiani e il fatto che associazioni come Legambiente e istituzioni come il Consiglio Comunale di Napoli fossero coinvolti nella vicenda.
Dalla metà di ottobre su La Repubblica sono apparsi diversi articoli, a firma soprattutto di Irene Bignardi, che si scagliano contro il film.
Crash resta una baracconata disonesta che nella povertà intellettuale di fine millennio rischia di diventare un pericoloso oggetto di culto per guardoni e cinefili boccaloni.”
“... Accolto come un capolavoro eversivo da un’ala della critica e come un film morboso e pericoloso da un’altra (tra cui mi iscrivo, con l’aggiunta che lo considero anche noioso e fasullo) - è un erotismo, come sa chi ha letto il romanzo di J.G. Ballard da cui il film è tratto e chi segue le cronache cinematografiche, legato agli incidenti d’auto, allo stato di pericolo e di orrore generato dal rischio automobilistico.”
Lo spazio e la frequenza riservate alle invettive della Bignardi fanno facilmente intuire come sia proprio questa la tesi sposata dal quotidiano romano riguardo al film. Articoli in cui Michele Serra e Natalia Aspesi si dissociavano decisamente dalle posizioni della Bignardi (che si è schierata apertamente per il ritiro del film dal circuito) non hanno avuto un analogo trattamento.
Liquidare Crash (sia il romanzo che il film) con giudizi tanto sommari e definitivi è, secondo me, indice di disonestà professionale. Soltanto una lettura o una visione meno che superficiali possono portare a tale semplificazione, e la povertà intellettuale a cui la giornalista si richiama per giustificare un prodotto come Crash risulta essere il limite più evidente di una delle più famose critiche cinematografiche nazionali. Mascherare una crociata puritana con scuse infantili per nascondere un certo tipo di chiusura mentale non è affatto giustificabile.
Il fatto è che Crash, come tutte le opere di Ballard e Cronenberg, ha una potenzialità eversiva immensa, una potenzialità di critica totale all’intero sistema.
E una società che corre verso l’omologazione globale non può permettere che espressioni artistiche che vanno al di fuori dei canoni tradizionali possano insidiare lo status quo, e per ciò non può che ritenerle e definirle pericolose e diseducative.
Anche Legambiente ha ritenuto opportuno prendere posizione contro il film, per bocca del suo esponente Angelo Scudieri. “E’ un serio pericolo per gli spettatori” ha dichiarato. “Conosco qualche scena, e poi dopo Cannes ho letto la recensione di Irene Bignardi su La Repubblica.”
Da ciò si evince che le tre pagine di carta bollata indirizzate al sostituto procuratore di Napoli affinché ritirasse la pellicola siano state compilate senza avere visionato il film. Viene spontaneo, a questo punto, domandarsi quanti tra i firmatari dell’ordine del giorno del Consiglio Comunale di Napoli (18 consiglieri ripartiti da Alleanza Nazionale a Rifondazione Comunista) lo abbiano fatto con cognizione di causa. Il fatto che sia il Pds che il Prc si siano dissociati dalla firma dei loro consiglieri, esprimendo “pieno rispetto per le opinioni personali di ogni componente della massima istituzione cittadina ma altresì ritiene che vada assicurata alla creatività artistica la massima capacità espressiva nel rispetto della legislazione vigente” e affermando che in ogni caso “non rientra tra i compiti istituzionali del consiglio comunale occuparsi di tali questioni” non è troppo consolatorio.
Richiamarsi a una pratica usata e abusata dai regimi totalitari (e qui in Italia dovremmo saperne qualcosa) per impedire lo svolgimento di uno spettacolo la dice lunga sulla confusione politica e povertà culturale che oggi regna in Italia e nel mondo. In U.S.A., infatti, la proiezione del film è stata posticipata di sei mesi e il ministro della cultura inglese ha intrapreso una crociata per la censura del film. Ma le masse non si educano con i divieti, ma facendo valutare soggettivamente tutti gli elementi a disposizione. Il discorso che i giovani sarebbero i più condizionabili da scene violente mi lascia quantomeno perplesso: le cronache giornalistiche sono zeppe quotidianamente di episodi che fanno orrore, e la violenza fine a se stessa non è affatto il tema conduttore del film. Uscendo dal cinema, infatti, non si è portati a una guida spericolata, ad un emulazione dei protagonisti anzi, tutt’altro. Per questi motivi è molto più credibile la tesi di Ballard che definisce il suo romanzo una “favola didattica” e che afferma che “ogni ragazzo che ha appena preso la patente dovrebbe possedere una copia del film Crash.”
E’ chiaro come tutte queste polemiche abbiano alimentato la curiosità degli spettatori, fornendo al film un battage pubblicitario insperato dai distributori, ma è altrettanto palese come possano aver condizionato e danneggiato la corretta fruizione dell’opera da parte di coloro che su di esse si sono basati per farsi un’idea del film.
Cronenberg, indubbiamente, ha avuto la capacità di portare sullo schermo un romanzo con oggettive difficoltà di trasposizione cinematografica mantenendone intatto il senso. L’operazione è talmente ben riuscita che risulta semplice e comodo parlare dell’uno richiamandosi all’altro.
Il film come il libro, infatti, non si basa su una trama vera e propria, effettivamente scarna ed essenziale, ma è la messa in scena di personaggi che da una condizione di non-emozione ricercano in modo estremo e ossessionante la via per ritrovare i sentimenti.
Seppure scritto nel 1973, il romanzo Crash si incastona perfettamente tra la fine dell’era post-industriale, che ha creato l’alienazione (catene di montaggio, cicli produttivi, ritmi di vita ripetitivi), e l’inizio dell’era tecnologica, che ha prodotto la spersonalizzazione dell’essere umano. Anticipando tematiche cyberpunk, Ballard ha creato una protesi meccanica, un prolungamento del corpo umano - l’automobile -, elevandola a metafora dell’era tecnologica, per immergerci in una realtà in cui i protagonisti hanno bisogno di uno stimolo esterno - meccanico - per tentare di riappropriarsi delle proprie emozioni. Per questo mettono in atto una serie di eventi estremi - incidenti stradali - per rimettere in moto le loro sensibilità sopite. Per dare allo spettatore la visibilità di tale condizione, Cronenberg punta a una recitazione monocorde da parte degli attori, a una mimica facciale praticamente assente, in modo che si colga lo stato di profonda apatia dei protagonisti.
Come Ballard anche il regista canadese usa una narrazione gelida e sguardi analitici ed essenziali sui personaggi, usando inquadrature e tagli in cui i visi e i corpi sono spesso in primo piano e di conseguenza invasivi rispetto all’ambiente circostante.
L’esasperazione delle scene sessuali, mai fini a se stesse, non è altro che una metodica ricerca della ripetitività, la messa in scena di un’ossessione profonda e consciamente inseguita da tutti i personaggi. Le scene più forti, invece, servono per tener viva nei protagonisti la capacità di provare ancora sentimenti, la convinzione che sia ancora possibile vivere una vita normale dal punto di vista delle emozioni.
Non è casuale, credo, considerando la personalità e i lavori precedenti di Cronenberg, che solo il finale risulti differente dal romanzo, ancor più esasperato e di maggior impatto, ma perfettamente in linea con l’opera del regista.
Nella finzione filmica, come del resto nel romanzo, non c’è mai alcun accenno alla retorica o al voler entrare nel merito, ulteriore prova della professionalità dei due autori. E se la mancanza di giudizio morale è vista negativamente dai soliti noti (leggi Bignardi) “inventare una storia di perversioni estreme, che collega l’erotismo alla morte e alla deformità, e aderirvi in un contesto volutamente serioso, è diverso - e più pericoloso - che registrare senza cornice morale”, fa di Crash una parabola educativa che si incastona perfettamente tra inizio/fine millennio, una “favola didattica” che resterà nella storia del cinema.
Roberto Sturm, intercom.publinet.it



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E’ passato abbastanza tempo dall’uscita di questo film perché le incitazioni al rogo in nome della pubblica morale siano state se non dimenticate, per lo meno superate da urla originate da più recente indignazione. Ora possiamo dire che in definitiva Cronenberg ha solo fatto un gran lavoro, non è per niente facile tradurre in immagini i deliri di uno dei più controversi scrittori del secolo e Ballard è ancora adesso un cantore disilluso delle infinite possibilità di deriva umana.
Certo rappresentare una sessualità iperattiva dietro i vetri del prolungamento fallico per eccellenza, l’auto, deve essere sembrato davvero troppo a tutti gli adoratori dell’ultimo modello in commercio. Ma è proprio qua che Ballard e Cronenberg si incontrano e celebrano lo stato terminale delle ambizioni consumistiche, che non portano la felicità come promesso dagli spot, ma a volte possono condurre ad un apice eiaculatorio che si fa materia attraverso l’impatto, Crash per l’appunto. E se nel libro le parole erano forti, e lo sono ancora, di certo le immagini non sono da meno, quindi le rappresentazioni di famelici amplessi, come quelle di feticistiche riproduzioni di incidenti o le fantasie voyeristiche messe in atto con una freddezza che richiama il metallo, non sono altro che il fine ultimo di chi deve per forza richiamare l’attenzione su un pericolo, quello poi avveratosi della progressiva meccanizzazione dell’io che si fa negazione della morte, attraverso il mancato riconoscimento della paura e la celebrazione della velocità come fine ultimo, ma per correre dove, poi nessuno lo sa.
In Crash la morte è il fantasma ultimo che viene mascherato da una sessualità iperattiva, che nega la sua esistenza, in contrapposizione con essa e che alla fine diventerà il veicolo del contagio, come nel Demone sotto la pelle. Crash è un fantastico esempio di quello che in Cronenberg è divenuto celebrazione del diverso, un discorso iniziato anni fa con i primi film e che è sfuggito ai più in favore di una facile individuazione di una tematica di superficie come quella della poetica della nuova carne.
La chiave di lettura di Crash è da ricercarsi in un desiderio di rappresentare i riti di passaggio nel corso della vita, unico meccanismo per riconoscere la crescita individuale e sicuro termometro della nostra direzione. Tutto il film è incentrato sulla sopravvivenza del mito alla morte violenta, in questo senso i protagonisti del film vivono tutti un tempo preso a prestito, dunque territorio assoluto del mito. Il rito dell’incidente stradale è la chiave per accedere al mondo mitico rappresentato, la sessualità è il mezzo per affermare la propria sopravvivenza e il modo per celebrare il tempo in più che i protagonisti sottraggono alla morte. La chiave d’accesso per comprendere al meglio il discorso sul rito di passaggio è nella rappresentazione dell’incidente di James Dean. La morte di Dean lo ha consegnato al mito, i protagonisti del film, in quanto sopravvissuti ad un incidente d’auto sono essi stessi mitici, nel senso che hanno in comune sia la sopravvivenza che la menomazione, ma sono anche coscienti che per entrare nel mito bisogna aver avuto un’esperienza che, in qualche modo gli ha cambiato la vita, la rappresentazione ha la valenza di acclamare chi riesce a sopravvivere più volte, sia all’incidente in sé che al passaggio attraverso l’esperienza mitica che simula la morte, il cui superamento li fa sentire vivi e non più mortali, non immortali però, la differenza sta nel fatto che loro possono morire, ma non ne sentono più la paura.
Detto questo bisogna richiamare l’attenzione sul fatto che il gioco iniziato da Ballard e proseguito poi da Cronenberg è quello di scardinare le icone consumistiche che, anche oggi, ci danno l’illusoria momentanea sicurezza di essere qualcuno, un qualcuno talmente unico da trascendere, attraverso l’uso degli oggetti celebrati dalla pubblicità, il nostro destino ultimo. Se l’auto in Ballard/Cronenberg non è più il veicolo del prestigio sociale e fantasmaticamente la celebrazione delle proprie intime dimensioni, allora forse si può vedere meglio che dietro le nostre convinzioni circa i bisogni primari, si nasconde una manipolazione. Ed è a questo punto che i due ci lasciano a riflettere, una riflessione molto difficile sulle reali possibilità di trovare noi stessi sotto il marasma di convinzioni indotte che ancora oggi ammorbano la nostra esistenza.
Anna Maria Pelella, bloomriot.org



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Ogni orgasmo è morire ripetutamente una volta dopo l'altra, ed è anche il momento in cui la carne si mescola in un impasto di sensi incontrollabili e violenti. Crash è la sintesi di tutto questo, è un film sulla liberazione delle energie sessuali in tutto il loro impeto primordiale. È l'efficace trasposizione in celluloide di cosa sia la morbosità e la foia più feroce, è un violento grumo di necrofilia, autolesionismo ed autodistruzione riassunto alla perfezione nell'evento-incidente, lo SHOCK. I suoi protagonisti perdono identità risucchiati nell'ossessione dell'eccitamento finale, perché il raggiungimento del coito rappresenta il momento ideale che si colloca tra vita e morte e vitamorte. Cronenberg partorisce con Crash l'idea di rimodellamento del corpo umano da parte della tecnologia: l'uomo che si scioglie nelle ferraglie uscite fuori dalle proprie mani, diventando pezzetti di carne mischiata a ferri e viti e metalli, e lo fa con il solito talento registico fatto di inquadrature oblique, testarde e scricchiolanti e fotografia tra le più gelide e ghiacciate della sua filmografia. Ottime le musiche taglienti. Il film, tuttavia, pecca di frammentarietà e d'eccessiva "teatralità" (sospiri estenuanti).
Forse la prossima volta...
a cura di Riccardo Marra, ilcibicida.com



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Dopo il riaccendersi delle luci viene da annusarsi con preoccupazione i vestiti per controllare se l'odore delle lamiere contorte, del sangue e dello sperma non sia rimasto rappreso o se gli arti non abbiano iniziato a subire trasformazioni inarrestabili... Perché Crash è la sintesi estrema tra le visioni di Cronenberg costruite sulle ossessioni del disfacimento e della rimodellazione dei corpi e l'erotismo inteso come unico possibile lubrificante del desiderio, eseguito automaticamente, senza emozioni, come una corsa senza freni verso l'impatto fatale. I respiri accelerati ed affannosi, i movimenti ripetuti e meccanici non proiettano i desideri morbosi e inconfessabili dei personaggi, ma angosce e beffarde imperfezioni dell'esistenza: l'incapacità ad accettare i limiti dell'ego e la pulsione a donarsi completamente al "club" del metallo seducente, alle protesi d'acciaio, alle cicatrici venerate come vagine profonde ed infinite.
L'umanità - o ciò che ne resta - viene intrappolata nei rottami arrugginiti. C'è un'adorazione feticista per gli squarci post traumatici che diventano marchi di riconoscimento, segni indelebili che infondono il desiderio. È sesso consumato senza partecipazione, quello di Crash, in spazi soffocanti ed angusti, alla ricerca dell'orgasmo cloroformizzante, unica illusione di sopravvivenza.
Cronenberg filma orrori "invisibili" e maleodoranti, ridisegna le forme agli ultimi sopravvissuti, smembra e ricompone la Carne sorreggendo ogni singolo frammento con viti e bulloni, esplora le scalfitture della memoria, formulando la rappresentazione della morte come legame di appartenenza al reale. Lo scontro viene riprodotto come sublime forma artistica: accelerazioni allucinate e senza controllo usate come inefficaci antidoti all'ebbrezza dei dolori che nutrono l'anima ed annullano i pensieri. Crash scardina gli ultimi guard rail e i desideri dell'uomo-macchina, ormai triturato unione indissolubile con l'automobile, perfetta estensione della fusione tra lamiere e superfici dei corpi. Se Videodrome profetizzava indissolubili vincoli con il televisore, estensione delle mutilazioni virtuali, l'incubo immaginato da Ballard si rivela paurosamente vicino agli ingombranti fantasmi della coscienza, repulsivo ma attraente come la puzza insopportabile che fuoriesce dai grovigli degli incidenti stradali. Gli attori sono utilizzati come presenze evanescenti e monoespressive, segnale inquietante di una futura sostituzione: automobili sempre più veloci per narcotizzare impossibili ribellioni, filosofia e teoria della riplasmazione del corpo che si insinua tra i pensieri rischiosi ed annulla ogni aspirazione a redimersi. Ecco Crash, sgradevole, indigeribile, bellissimo...
Domenico Barone, cinema.data.net



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Lontano dal gore allegorico di Brood e Il demone sotto la pelle (di cui ritorna il luogo-ospedale), Cronenberg revisiona il cinema macabro-intellettuale degli esordi amatoriali (Stereo, Crimes of the future): l’estrema, scioccante morbosità concettuale e figurativa colonizza la materia grigia dello spettatore, turba morale e coscienza attraverso le pareti rettali, la carne e gli attributi fisici. Prendendo le mosse dal romanzo di J.G. Ballard (il personaggio di James Spader porta il suo cognome), il regista riconsidera l’Ordine della Nuova Carne, modellata dalla tecnologia e dalla fusione con il metallo, allevata nella dolorosa richiesta di piacere (sessuale): la ricerca di infortuni, morte e supplizio, in quanto pratica "illecita", è intimamente legata al godimento erotico, al fascino del proibito, alla perversione più aberrante di una fantasia/fantasma tipica dell’essere umano. Il Weekend (Godard) di Cronenberg inscena un congresso carnale dietro l’altro, speso di preferenza in macchina (estensione genitale per eccellenza), lungo superstrade come flussi di spermatozoi o termostati del desiderio (il traffico che aumenta, diminuisce) e all’apice eiaculatorio durante la "penetrazione", cioè l’incidente, il "crash" (il "metallo" di due individui si fonde; le auto sono "personalizzate", hanno una storia, un’anima).Non esistono frontiere, la stessa omosessualità fa parte di un gioco ancor più sadico, attirato dagli ematomi, dalle cicatrici (a forma di vulva), dalle malformazioni (la povera Arquette senza un seno e con le gambe di metallo), dalle mortificazioni della "polpa" (vedi l’"amplesso" fra Spader e Vaughan, che fanno combaciare le due metà del tatuaggio con il marchio della Chrysler), dalla lascivia orgiastica, dal voyeurismo patologico (foto e video sugli incidenti mortali), dal feticismo più assurdo (reinscenare i più grandi incidenti d’auto della storia: quello di James Dean, di Jane Mansfield). La fotografia è algida, i piani sequenza conducono un intenso ritmo statico sottolineato dalla chitarra psichedelica di Howard Shore, i punti di inquadratura sono allucinati. Cronenberg non fa morale né provocazione fine a se stessa: il suo è uno schietto quanto parossistico apologo sul torbido sesso o, meglio, su ciò che per noi è torbido del sesso e per lui è un oggetto di studio scientifico come un altro. Nel binomio sensualità/orrore, veniamo posti a confronto con le nostre perversioni più recondite, con i limiti/non limiti che la nostra mente crea attorno al piacere ed i suoi tabù. Maledetto, beatamente indecente come L’impero dei sensi di Oshima, il cinema di Cronenberg dona catarsi violentando la mente nelle sue preconcette definizioni di Bene e di Male.
Niccolò Rangoni, spietati.it



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L'atteso Crash, contestato premio speciale all'edizione 1996 del festival di Cannes, si è rivelato una bufala colossale. Mi tapperò le orecchie pur di non sentire pareri opposti motivati su luoghi comuni come "...non l'hai capito", "...devi entrare nella storia" o "...il regista lo ha fatto apposta per trarre in inganno". Non è vero. La storia è naturalmente moderna (l'invenzione dell'automobile ha poco più di cent'anni) ma forse il torbido rapporto fra persone deluse dai comuni stimoli e sfoghi sessuali e uno degli oggetti più presenti ed indispensabili del pianeta è inespresso e scialbo nella rappresentazione. Premessa: tutti i personaggi del film parlano, in
QUALSIASI situazione, come se avessero un orgasmo multiplo continuo a tutte le ore della giornata in qualsiasi luogo. La storia. Un frontale fa sì che nell'abitacolo dell'ignaro auto-erotomane piombi un corpo inerte. Gli istanti che trascorrono fra l'incidente e la presa di coscienza dell'accaduto, fanno capire a questo ragazzo che è eccitato per chissà che cosa. All'ospedale incontra poi la moglie della vittima dell'incidente che poi, dopo una rapida escalation di eccitazioni varie fra le lamiere, lo introduce in un pittoresco gruppo di meccanici, stunt-men e designer delusi dalla realtà che si eccitano con videocassette di incidenti, rifacimenti di incidenti famosi e sveltine a sfondo automobilistico. I dialoghi, ma forse la colpa è di
Russ Ballard l'autore del libro omonimo, sono degli zeri completi e la mano di Cronenberg, veramente mirabile in Videodrome, Il Pasto Nudo, La Mosca o Inseparabili, è inchiodata al volante. Qualche esempio? "Questa macchina profuma di sperma dappertutto", "Come immagini di farti il culo del meccanico?" o "Hai fatto l'incidente senza di me?". Non importa che siano frasi fuori del contesto, una volta che ne vedrete anche quello la risata sarà spontanea per la seconda volta. Non è sconvolgente, non è nuovo e non è affatto trasgressivo. Basta far scopare gli attori dappertutto per rendere un film trasgressivo? Basta forse infarcirlo di scemenze? Se al peggio non c'è limite potremo verosimilmente aspettarci Crash 2, speriamo non diretto da un rinsavito Cronenberg, con scene di sesso fra scimmie e uomini sopravissuti ad incidenti aerei. Più originale e trasgressivo di così!
Michele Benatti, kultunderground.org



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La strada del regista canadese è sempre stata orientata alla filosofia della mutazione, al gioco delle parti, alla variazione delle posizioni dei personaggi all’interno della trama, sempre magistralmente analizzati nella loro dimensione psicologica più recondita e profonda.
In Crash Cronenberg esplora uomo e macchina fino ad arrivare a farli congiungere quasi carnalmente. La mutazione qui diventa ancestrale, origine della relazione che a partire dalla rivoluzione industriale ha legato indissolubilmente l’essere umano a ciò che da trecento anni fa andare avanti il mondo, e che oggi, con la tecnologia, diventa una realtà proiettata verso il futuro. La sceneggiatura, tratta da un romanzo di J.G. Ballard, è il trampolino di lancio per questo viaggio visionario e, allo stesso tempo, incubo. James Ballard, l’attore James Spader, è coinvolto in un incidente che lo conduce vicino alla morte. Durante lo sciagurato evento, un medico coinvolto nel disastro decede, e Ballard inizia una relazione con la moglie del dottore, una fredda Holly Hunter, con la quale si perde in un viscerale culto dei “car-crash” incontrando persone che si immergono nell’unione con le automobili fino a fondersi con esse, con il dolore che ne comporta. E’ un viaggio senza soluzione dove le forti emozioni sono bandite se non quelle con il ferro che corre sulle strade, nirvana assoluto e grande attrazione.
La fusione, con il mezzo inventato da Henry Ford, è il puro orgasmo di tutti coloro che vivono questa storia, che fra cicatrici, sensuali e orribili allo stesso tempo, non riescono a non farsi attrarre dalla commistione della carne con quella del macchinario.
Dopo le esplorazioni delle mutazioni più incredibili ma anche più vicine alla nostra vita, una su tutte quella di Inseparabili con il doppio Jeremy Irons, i colori viola, blu e nero, cadono sullo schermo come cubetti di ghiaccio, e Cronenberg non esita a descrivere il sottile piacere dell’unione su ciò che è caldo, vivo e pensante come un essere umano, e un corpo gelido e grigio come il metallo che diventa rovente solo per l’incontro con un altra superficie, come se lo stridio del contatto fosse un urlo di piacere non controllato.
Amore e morte si incontrano e si congiungono in una cosa sola come due automobili in uno scontro frontale, e l’impatto delle lamiere è come il contatto della pelle fra due corpi.
Chi ama il regista potrà apprezzare in tutti i suoi aspetti il suo modus cogitandi , anche se in una forma complessa e scomoda, chi non ha mai visto un suo film si troverà spiazzato davanti ad un film gelido e fastidioso che non ha emozioni se non quella cerebralmente espressa dai personaggi coinvolti.
Ghiaccio allo stato puro.
Mattia Nicoletti, centraldocinema.it



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Amante dell’erotismo e degli scambi di coppia, il regista James Ballard ha un incidente grave in macchina: guarisce e desidera provare emozioni forti dentro la carlinga delle automobili. Coinvolge la disponibile consorte, la donna che ha reso vedova nello scontro quasi mortale e un presentatore che ama ricreare veramente – e non simulare – i crash-car di celebri divi. Cronenberg fa di James G. Ballard (autore, nel 1973, del libro da cui il film è tratto) il protagonista e, con coerenza implacabile, mostra le degenerazioni di un mondo dove l’auto è diventato feticcio e addirittura alcova di un amore impossibile. Arti meccanici, sesso malato, fantasie morbose, il tamponamento come paraninfo dell’atto anale e amalgama di eros e thanatos: forse mai Cronenberg ha osato tanto, e infatti il film ha dato molto scandalo fin dalla sua presentazione a Cannes, ma la glaciale ironia che lo ricopre e l’assenza di voyeurismo lo rendono uno dei film più sensuali e pornograficamente sexy che siano mai stati fatti, anche grazie a un cast perfetto (Spader, faccia alla Christopher Walken, è convincente, ma la rivelazione è la conturbante Unger, protagonista delle scene che regalano maggiori brividi). Sicuramente un Cronenberg all’altezza della sua fama. Koteas, per immedesimarsi nella parte, ha percorso da solo in auto cinquemila chilometri, da Los Angeles a Toronto in Canada – città natale del regista dove il film è stato anche girato.
Roberto Donati, centraldocinema.it



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James Ballard è un pubblicitario impegnato nella produzione di uno spot sugli incidenti stradali. Ha un ambiguo rapporto con la moglie Catherine: i due si tradiscono nella speranza di soddisfare le loro esigenze\insoddisfazioni sessuali e la ricerca\perdita del loro eros. Un giorno James è coinvolto in un incidente stradale che lo segna oltre che nel fisico anche nella psiche. L’altra automobile coinvolta, infatti, trasportava Helen, sopravvissuta, e suo marito, morto. James, colpito dall’avvenimento, si lascia trascinare da Helen in un particolare giro di vite, centro nevralgico (come lo definisce Rosanna Arquette), in cui conoscerà personaggi sempre più al limite dei loro corpi, come Vaughan, interessato alla ricostruzione reale d’incidenti automobilistici storici (James Dean e Jayne Mansfield). Il gruppo sarà costantemente interessato alle inter-relazioni sessuali e l’effetto che gli incidenti automobilistici hanno sulla scintilla dell’eros.
Cronenberg non è più quello di una volta, ma se è vero che è cambiato, mutato, il suo modo di girare, raccontare, il suo sguardo puntato sulle e attraverso le mutazioni del corpo non si allontana troppo da quello che ha sempre fissato. Non si parla più però solo di bellezza, non è tecnologia né medicina, è di più, perché meno lontano, e come dice Vaughan “il rimodellamento umano da parte della tecnologia è solo rozza fantascienza, una psicopatologia….” che accomuna il regista ed i suoi seguaci. Adesso è tutto ciò che esso è, un’esplosione di morte e amore, di carne e ferro, una sintesi del contemporaneo. Crash, nel percorso biografico del regista, è la tesi del suo indiscutibile fatalismo, qui affrontato nella sua estrema conseguenza: molti dei precedenti film del regista avevano nell’incidente il momento di mutazione del percorso naturale delle cose, in questa pellicola sono i protagonisti che, oltre a godere degli incidenti, cercano di procurarsene altri volontariamente. La lunga sequenza che vede James e Catherine a letto, obbliga lo spettatore ad ascoltare\vedere tutto, senza mai un attimo di pausa, di respiro, come se fosse Vaughan a raccontarlo, presente anche lui lì, in quel momento, nelle fantasie dei due amanti, l’uomo che non parla, ma ansima, sussurra, quasi non sappia respirare. Accoppiamenti come tamponamenti, collisioni, momenti d’esplosione, e piccole\grandi morti del corpo. Il coinvolgimento di James è immediato, il suo lavoro sul set dello spot svanisce per tutto il resto del film, sostituito da Vaughan ed il suo centro nevralgico. L’essenza dell’essere rimane fine alla sua carne, senza più nessuna distinzione, si cerca quella malata, marchiata, mutata, diversa, in un’orgia meccanica che fagocita i corpi, una decappottabile che si chiude e divora i suoi occupanti pronti all’ennesima orgia. Un corpo di carne e metallo, il braccio teso di Tetsuo (1989) di Tsukamoto.
Mario Bucci, cinemah.com
[Modificato da |Painter| 10/06/2010 20:38]
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