Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Stampa | Notifica email    
Autore

RECENSIONI - Rassegna Stampa / 1

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2010 20:37
OFFLINE
Post: 529
Sesso: Maschile
05/10/2007 18:55


RASSEGNA STAMPA PARTE 1


Dal romanzo omonimo (1973) di James G. Ballard. Ossessionato dagli incidenti d'auto, Vaughan esplora le possibilità di un soddisfacente rapporto erotico tra il pericolo, la macchina e il corpo umano, rimodellandone la sessualità attraverso la tecnologia. James Ballard e sua moglie Catherine imparano da lui, come fa Helen, rimasta vedova dopo un incidente automobilistico. Variazione futuribile sul connubio tra sesso e morte, il libro di Ballard, “1° romanzo pornografico basato sulla tecnologia”, non poteva non stimolare un regista che fa dal 1966 un cinema dell'horror biologico, fondato sul polimorfismo della sessualità e sulla trasformazione del corpo attraverso le macchine. Frutto di un'inconfondibile cifra stilistica e di un immedicabile pessimismo, Crash celebra la morte del sentimento e allunga la lista dei film catastrofici del Novecento al suo epilogo. Forse è già un film del 3° millennio.
Il Morandini 2007 (Zanichelli)



***

Cronenberg, dopo aver raggiunto l’apice del suo periodo più fecondo con l’eccezionale Inseparabili, ha diretto i suoi sforzi verso un’ulteriore indagine della sfera psicologica che l’ha portato ad incrociare culture nuove e rivoluzionarie come quelle nate dai viaggi lisergici di personaggi come William Burroughs, l’autore del Pasto Nudo da cui Cronenberg ha tratto un film di decisa rottura con la rigorosa congruenza del cinema da lui precedentemente analizzato (ad eccezione dell’immenso Videodrome). Oggi il regista si accosta ad un altro scrittore “maledetto”, quel James Ballard che, dopo alcuni apprezzabili romanzi di fantascienza “classica” ha deciso di studiare non più gli spazi planetari ma quelli interni a noi, gli unici ancora inesplorati. Il suo primo lavoro in tal senso è stato La mostra delle atrocità, incomprensibile guazzabuglio di frasi e pensieri su argomenti d’attualità visti in un’ottica del tutto nuova (basti pensare al capitolo intitolato “L’assassinio di JFK considerato come una gara automobilistica in discesa”). Il secondo, e definitivo, romanzo è invece proprio Crash, in cui Ballard lascia trapelare tutto il suo interesse per le auto, gli incidenti di personaggi famosi e altre tematiche già presenti nella “mostra delle atrocità”. Cronenberg ha trovato in Ballard un altro originalissimo indagatore delle deviazioni e perversioni mentali, che poi sono il succo di tutto il cinema del regista canadese, e ha pensato bene di trasporre Crash sul grande schermo, curandone personalmente la sceneggiatura. Purtroppo va detto che Crash era sì romanzo originale, ma anche del tutto indecifrabile, piatto coagulo di sensazioni e messaggi, di certo non un libro di veloce lettura. Così il film, che ne rispetta fedelmente lo stile, ne eredita anche i difetti: è ripetitivo, troppo spesso noioso, eccessivamente intriso di risvolti sessuali al limite del ridicolo. Gli amplessi eterni di James Spader (che nel film si chiama proprio James Ballard) sfiorano quasi la pornografia, ma restano freddi anche a causa di un’interpretazione poco convincente, addirittura finta nel caso della bionda protagonista. La mano di Cronenberg si fa invece sentire nelle sequenze all’interno delle auto, dal primo drammatico incidente (un corpo vola attraverso due parabrezza fino addosso alla m.d.p.) ai terroristici “voli” tra le corsie. È qui che Cronenberg sente il suo film, lo carica di una splendida intensità. Ma sono solo momenti, persi in un mare di freddi coiti sottolineati da frasi involontariamente comiche. Crash ha anche rischiato il sequestro, ma non tanto per le scene di sesso (c’è anche un appassionato bacio tra i due protagonisti maschili) quanto per la spudoratezza con cui Spader e gli altri godono nel vedere la morte, il sangue tra i rottami, suggerendo un nuovo tipo di voyeurismo pericoloso, terrificante. Belle le musiche ossessive e, of course, la fotografia.
davinotti.it



***

Uscendo da Crash, il contestatissimo film di Cronenberg, ho pensato: «Ecco un capolavoro», ma non sono riuscito a trovare le parole, gli argomenti per spiegarmi questa sensazione. Certe opere non si fanno tradurre in un linguaggio diverso dal proprio, non permettono di essere misurate con le abitudini del ragionamento. Non ha alcun senso giudicare Crash con il codice della strada o con quello morale. Un’opera d’arte rende evidente ciò che ancora non esiste, battezza ciò che non possiede alcuna forma. L’unico termine di paragone accettabile mi sono parse le giostre. Mi sono tornati alla mente certi freddi pomeriggi invernali, un minuscolo luna park vicino casa, sotto il ponte delle Valli, quelle luci fasulle e avvolgenti, le facce livide ed eccitate dei ragazzi che cercavano un divertimento e una rivelazione. Dove l’intelligenza non arriva, dove c’è un salto e un enigma, là arriva in soccorso la fantasia della vita: e cosi è esistito qualcuno, un poeta ignaro di esserlo, che chissà quando ha inventato le autoscontro. Ricordate, vero? Si infilava un gettone pagato cinquecento lire nella fessura di una di quelle assurde macchinette, ci si sedeva stretti abbracciati alla propria fidanzatina e per dieci minuti si sbatteva a più non posso contro gli altri, mentre le risate salivano sempre più, anche troppo, quasi a coprire l’inspiegabile erotismo del momento, l’affanno sessuale. Quei ridicoli incidenti a catena alimentavano un disperato desiderio carnale. Il film di Cronenberg è tutto ciò moltiplicato per mille o forse per il Duemila. Le giostre sono diventate strade trafficate, i ragazzi si sono trasformati in un disordine adulto, i baci dietro i tirassegni in amplessi tre tremendi. Ma questo ancora non ci dice perché gli adepti quella strana setta religiosa cerchino l’ebbrezza del piacere tra le lamiere delle automobili. Azzardo un’ipotesi, provo a raccontare la mente del regista e quella di Bajlard, lo scrittore di Crash. L’incidente è l’attimo irreversibile, deflagrante, è ciò che inequivocabilmente accade. Alla potenza dell’attimo bisognerebbe sapersi consegnare senza alcun riparo, senza cinture di sicurezza, senza pensieri. Noi siamo sempre prima o dopo rispetto a ciò che accade. Siamo sul bordo del marciapiede o di un divano, nel conforto della distanza, nella viltà del giudizio, nella diserzione. Essere dentro l’attimo, in quel rischio assoluto, ci appare ormai impossibile. L’urto istantaneo della vita, il contatto estremo con l’alterità ormai cerchiamo d’ammortizzarlo grazie agli strumenti della civiltà, d’ammorbidirlo fino alla cancellazione: l’hic et nunc si sbianca nel mai e in nessun posto, la realtà bruciante dell’amore si nega negli spazi cerebrali della virtualità e della delega. Anche l’automobile è diventata una vacua elaborazione della personalità, l’ennesimo commento al comodo nulla che vorremmo essere: se è bella a quel nulla darà lustro, se scivola bene lo condurrà a spasso per l’Occidente e dentro ascolteremo musichette passatempo, caricheremo tanti inutili pacchi. Cronenberg riporta la macchina al suo crudele status iniziale: luogo non solo metaforico di vita e di morte, divani su cui accoppiarsi, lamiera che ogni momento può richiudersi addosso a chi guida come un pugno. Per Cronenberg la macchina è la metallizzazione dell’energia iniziale, alcova e bara, natura celata in una carrozzeria, materia primigenia che se ne ride di ogni lussuoso tentativo di sfuggire alle leggi fisiologiche. Dovremo amare, dovremo morire: quegli attimi ci aspettano, ci spettano. E cosi i protagonisti di Crash, per quanto morbosi ed eccessivi, mi paiono più sani di chi, per eleganza e paura, ha deciso di evitare la vita. Si offrono come pionieri e martiri del nuovo desiderio, decidono di amare ciò che ogni istante inevitabilmente si accartoccia, di fare crash contro u tempo
Marco Lodoli, Fuori dal cinema - Il diario di 100 film (Einaudi)



***

“La prossima volta…”, sussurra e promette James a Catherine alla fine di Crash (1996). Insieme hanno inutilmente cercato il luogo spaesante che tutto il cinema di David Cronenberg appunto cerca. Ci sarà dunque una prossima volta, e forse più di una, di nuovo tra lamiere squarciate e aperte. Per ora, i due uniscono i loro corpi, lasciandosi risucchiare e quasi divorare dall’auto capovolta sul ciglio della strada. In prima approssimazione, il luogo che tanto affascina Cronenberg è la morte. D’altra parte, questa definizione è superficiale e persino fuorviante. Quel luogo infatti è definibile solo per negazione, come un non-luogo. Non “si estende”, non ci si “entra”. Se ne fa esperienza solo immaginandone l’attraversamento. È uno stare-tra: tra l’essere individuo e il dissolversi, tra l’organico e l’inorganico, tra la forma e l’informe. Dunque, l’esperienza immaginaria che se ne può avere è transizione e metamorfosi (La Mosca, 1986). Quando riesce a tenersi all’altezza di se stesso, quello di Cronenberg è appunto cinema che sta-tra, come una soglia inafferrabile, aperta e precaria: insieme cinema della nascita e della morte, del desiderio e dell’orrore, del farsi e del disfarsi. Questo vale sia per gli uomini e le donne, individui organici, sintesi provvisorie di materia, sia per i libri (Il Pasto Nudo, 1992) e per i film, individui virtuali, sintesi provvisorie d’immagini mentali. Basta questo per ridicolizzare chiunque sia tanto malaccorto da fare di Crash una delle molte piccole profezie d’imminente catastrofe tecnologica, e magari da fare del suo autore un risibile critico (o poeta) del rapporto erotico e feticistico tra uomini e auto. Cronenberg non può essere ridotto a queste banalità. A meno che non s’abbia il coraggio e la coerenza di farne anche un critico (o un poeta) della ginecologia, avendone egli raccontato particolari doviziosi, per quanto del tutto inverosimili, in Inseparabili (1988).
Cronenberg non deve essere in alcun modo “attualizzato”, non deve essere in alcun modo costretto a forza in una sociologia spicciola e miserevole: né per scandalizzarsene, né per farne un santino per cinefili in crisi d’astinenza. Come ogni forte autore, la sua dimensione non è l’adesso, ma il sempre. Dominato da un’idea fissa inattuale, da una prospettiva atemporale, film dopo film osserva il mondo con un solo enorme occhio di Ciclope. Il che non significa che la qualità e l’acume della sua vista siano sempre soddisfacenti. Che cosa guarda, dunque, il Cronenberg di Crash? All’inizio, guarda e c’induce a guardare corpi che s’uniscono (e qui il suo occhio ha un’efficacia intensa, consapevolmente sgradevole). Poi, guarda e c’induce a guardare estensioni inaspettate di quei corpi. Queste sono o vorrebbero essere le auto che s’avventano l’una sull’altra, che si penetrano aprendosi e lacerandosi: non oggetti sostitutivi di desiderio, ma rappresentazioni e metamorfosi della materialità dei soggetti desideranti.
È qui che il suo cinema-soglia tenta d’esprimersi. Ossia, nella transizione dalla carne al metallo, dall’organico all’inorganico, dalla forma all’informe: nel tra che li divide e li unisce (e che, senza riuscirci, il corpo tecnologico di Gabrielle dovrebbe suggerire). Il momento migliore di Crash, quello della rappresentazione dell’incidente mortale di James Dean, dà l’impressione che davvero Cronenberg stia per “abitare” il non-luogo che con i suoi film da sempre immagina. Ma quest’impressione ben presto si perde. O meglio, si snatura. Quel che in essa c’è di spaesante, di contraddittorio e orridamente emozionante subisce una metamorfosi, ma questa volta di basso livello espressivo. Da poetica che era, l’idea fissa che ne è all’origine diventa per così dire dottrinaria, programmatica. Cronenberg non resta all’altezza del compito paradossale che s’è imposto. Poiché teme di non reggere poeticamente la metafora dell’auto come metamorfosi del corpo, si decide a sottolinearla con una narrazione ripetitiva, quantitativa. Anche da qui, certo, deriva una sceneggiatura che non procede, che s’infittisce di situazioni grevi e goffe, la cui assenza finirebbe per dare al film più di quello che la loro presenza riesca ad aggiungergli. In sostanza, anche se con poco entusiasmo, inquadratura dopo inquadratura ritroviamo in Crash la poetica d’autore che già conosciamo. Ma si tratta d’un riconoscere che riguarda la testa, mai d’emozioni o spaesamenti che riguardino gli occhi. E come se Cronenberg avesse realizzato una fotografia-manifesto del luogo che l’affascina, con ciò negandone la natura di confine inafferrabile, di metamorfosi inquietante: non più soglia aperta e precaria, ma ormai solo statica, impoverita, faticosa presa di posizione. Il che c’induce ad augurargli: «La prossima volta...».
Roberto Escobar, Il Sole 24 Ore



***

Un consiglio: andate a vedere Crash in bicicletta. Il film di David Cronenberg necessita di antidoti, e la filosofia che sta dietro l’uso delle due ruote - ma anche a piedi va benissimo - può permettere un impatto più dolce. Ci si può fare del male, con Crash. È un susseguirsi ininterrotto di situazioni al di là del limite, tenute insieme, come struttura narrativa, dai ritmi e dalle forme di un film pornografico (per stessa ammissione del regista). Un mondo di algide monadi, di esseri umani perduti nel tempo e nello spazio, di mutanti senza amore. Il sesso e l’automobile sono i loro ultimi, inutili catalizzatori del desiderio. Unirsi carnalmente, in tutte le possibili combinazioni, alla ricerca di un’emozione che non arriva più: un’emozione che solo il contatto, anzi l’unione innaturale con le macchine può di nuovo, per un attimo, risvegliare. Così James (James Spader) scopre che lo shock causato da un incidente automobilistico gli può ancora disciogliere adrenalina nel sangue. La stessa cosa capita a Helen (Holly Hunter), che si è salvata nel medesimo impatto; e anche Catherine (Deborab Unger), la donna che vive con James, entra in questo giro di perverse sensazioni. Soprattutto perché tutti e tre subiscono il fascino di Vaughan (Elias Koteas), stuntman specializzato nella ricostruzione di celebri scontri, a partire da quello in cui perse la vita James Dean. Discesa agli inferi assicurata. Sempre di più, con la morte che penetra nella vita, che anzi ne diventa l’unico orizzonte. Potrebbe tutto essere molto inquietante, specialmente se Cronenberg si affidasse alle sue consuete dialettiche “mostruose”: interno-esterno, pelle-carne, conscio-inconscio. Invece, a parte la sequenza della ricostruzione della morte di Dean e poche altre, Crash - tratto dall’omonimo romanzo di James G. Ballard - resta figlio di un progetto tutto cerebrale, quando non di un abile gioco commerciale, smaliziatissimo nel suscitare scandali ad arte. Dal maestro di Videodrome e La Mosca era lecito aspettarsi di meglio.
Luigi Paini, Il Sole 24 Ore



***

L'unico film sinora visto al festival davvero perverso e morboso, ipersessuale e ossessivo, tanto trasgressivo da turbare e affascinare, Crash che David Cronenberg ha tratto dal romanzo scritto da James G. Ballard nei primi Settanta dopo la morte della moglie in un incidente d'auto, comincia così: in un hangar una bionda seducente s'avvicina a un piccolo aereo, si denuda il petto, lo struscia e preme sensualmente contro il metallo lustro, si sporge a ricevere l'uomo che da dietro le bacia il sedere nudo, la prende. Sesso e macchine (quasi sempre automobili), carne e metallo, accoppiamenti e lamiere contorte dagli incidenti, desiderio e allusivi tamponamenti, cicatrici di vecchie guerre d'autostrada e carezze con la lingua, protesi ferrigne di belle reduci dai crash e strette erotiche a tre oppure fra uomini: è per gli autori “il rimodellamento del corpo umano a opera del-la tecnologia”, l'ossessione dell'“uomo-macchina”, ibrido della modernità. Quattro personaggi: una coppia coniugale (James Spader chiamato direttamente James Ballard come lo scrittore e sua moglie Deborah Unger), una dottoressa resa vedova dall'auto (Holly Hunter); e Vaughan (Elias Koteas), sacerdote d'una religione dei crash che celebra i suoi riti ricostruendo incidenti celebri (quello che costò la vita a James Dean al volante della sua Porsche, quello in cui morì Jayne Mansfield, anche la morte del Presidente Kennedy vista come un incidente automobilistico). Quasi tutti gli atti sessuali possibili, mostrati senza reticenze, si alternano a terribili scontri d'automobili. Un comune sentire viene capovolto. Quella realtà che ogni giorno ammazza sulle strade tanta gente viene assunta non soltanto come la folle normalità che è, ma come una cultura e una fonte erotica; cicatrici orride, gambe storpie, marchi Mercedes tatuati sul petto, ferite, lividi, diventano emblemi di bellezza e desiderabilità; l'amore in macchina è fratello della morte, e se nel ribaltamento finale la bionda rimane viva, toccandola e stringendola il marito la conforta: “Vedrai, la prossima volta...” Non è il più bel film di Cronenberg ma è il più sensuale, condensa tutta la forza trasgressiva e l'ardire estremista del grande regista visionario canadese, evoca Alain Robbe-Grillet (Spostamenti progressivi del piacere) nella serialità erotica che approfondisce, scandalizza: e non s'erano mai sentiti al cinema dialoghi d'una coppia che fa l'amore tanto osceni, tanto autentici.
L.T., La Stampa



***

Non è ossessionato da particolari fobie, né attratto da pulsioni violente o distruttive: David Cronenberg, 53 anni, regista canadese di bellissimi e terribili film come Inseparabili e La Mosca, ha un aspetto elegante e tranquillo. Niente a che vedere con la carica trasgressiva espressa dal suo cinema, in particolare da Crash che ieri ha spaccato in due la platea del Festival: grandi fischi, grandi applausi, interminabili discussioni tra i critici che hanno amato o odiato il film. “Certo, qui al Festival - dice il regista - Crash corre il rischio di essere valutato solo in un'ottica seria. E invece io penso che la storia sia piena di momenti buffi, o almeno ironici”. Basato sul romanzo omonimo di J.G. Ballard (che della versione cinematografica è letteralmente entusiasta), Crash descrive un incubo a base di sesso e tecnologia, un mix esplosivo di incidenti automobilistici e amplessi furiosi. “So - dice l'autore - che molti per diverse ragioni potranno essere scioccati dal modo in cui il sesso viene rappresentato. A me interessava riflettere sulle nuove funzioni che, nel futuro, il sesso potrebbe assumere. Ora che è completamente scisso dalla sua funzione biologica, visto che i bambini possono nascere anche senza quest'elemento, che cosa diventerà? Come verrà ridefinito il suo ruolo?”. Nel cinema di Cronenberg, il tema del mutamento è ricorrente: “Il processo della trasformazione mi attrae più di quello autodistruttivo: m'interessa il cammino che porta una cosa a diventare una cosa nuova, diversa da come era prima”. Alla protagonista del film, la canadese Deborah Unger, una bionda statuaria che attraversa la pellicola con sguardi perduti e candidi reggicalze, Cronenberg ha preferito non dare troppi suggerimenti: “La verità - racconta l'attrice - è che quando ho letto per la prima volta la sceneggiatura sono rimasta terrorizzata: è un racconto che sfida, supera e provoca i nostri riflessi condizionati rispetto ai rapporti sociali. Non sono predisposta per questo genere di fantasie, di incubi, di ossessioni sessuali. Per recitare Catherine era necessaria una grande elasticità, sia di pensieri che di emozioni. Il regista per fortuna ci ha lasciato ampi spazi di libertà. E io sono rimasta affascinata dalla relazione che nella storia lega il mio personaggio a quello interpretato da James Spader: pur di non perdere il marito lei è disposta a entrare nel suo mondo di incubi. In fondo Crash parla di una storia d'amore”. Anche Holly Hunter, la protagonista di Lezioni di piano, ha subito l'incantesimo Cronenberg: “È un regista che ha il coraggio di esplorare argomenti terribilmente provocatori. E dà agli attori la sensazione di essere amati: quando uno si sente amato è più facile che abbia voglia di sperimentare, di mettersi alla prova”. Corpi intrecciati negli abbracci, ma soprattutto corpi spaventosamente mutilati e feriti: oltre che per le scene di sesso Crash potrebbe essere un film scandaloso anche per chi ha vissuto dal vero il terrore di un incidente. “Dipende - dice Cronenberg - dalla gravità delle situazioni vissute, dalla psicologia delle persone. In certi casi Crash potrebbe funzionare come una terapia”. Appassionato fin da piccolo di macchine e motori, il regista possiede una Ferrari rosso fuoco e spesso ha partecipato a corse automobilistiche: “Ho avuto anche degli incidenti - racconta - ma quelle sono esperienze completamente diverse: se si corre in una gara si indossa un abbigliamento specifico, ci sono persone che immediatamente ti soccorrono...”. Il tema del rapporto uomo-automobile lo affascina profondamente: “La gente porta le macchine come fossero vestiti, attraverso di esse dimostra la propria identità. E comunque ogni automobile esprime il desiderio umano di sfidare la realtà, di controllare il tempo e lo spazio”. Sull'argomento l'autore nato a Toronto tornerà presto: “Sto lavorando a una sceneggiatura che racconta la vita di Enzo Ferrari: sarà un film sulla Formula 1 intitolato Red Cars, e stavolta non ci sarà spazio per il sesso”. Cronenberg aggiunge che non si tratterà di un film “tradizionale”: precisazione del tutto superflua, per chi conosce il suo cinema.
Fulvia Caprara, La Stampa



***

Allacciate le cinture, il festival ha fatto Crash. E mai titolo fu più appropriato. Perchè il film di David Cronenberg, 53 anni, canadese (Videodrome, La Mosca, Inseparabili), si è infranto come una Ferrari lanciata a tutta velocità contro una Croisette finora un po' sonnolenta. Un vero film shock, al cui confronto il tanto discusso Trainspotting inneggiante ai piaceri dell'eroina sembra roba da educande. Perchè le attrazioni fatali proposte da Cronenberg su istigazione di Jim Ballard (autore dell'omonimo romanzo da cui il film è tratto) ruotano attorno al binomio sesso morte, uniti, in orgasmo simultaneo, dallo schianto automobilistico. Come se l' incastro delle macchine stimolasse quello dei corpi. Che s' intrecciano senza distinzione di sessi e con profusione di nudi maschili e femminili, in evoluzioni erotiche con la partecipazione straordinaria di arti artificiali, protesi, relitti umani e carcasse d' auto. Scene forti, quasi insostenibili, che hanno fatto fuggire molti dalle sale durante le proiezioni e hanno scatenato alla fine raffiche di fischi. Raffiche d' applausi hanno invece accolto ieri il regista e i suoi attori (James Spader, Holly Hunter, Deborah Hunger, Elias Koteas, Rosanna Arquette) all'incontro con i giornalisti. Incontro così affollato da far trasferire tutti alla sala "Les Ambassedeurs", riservata ai grandi eventi. Pallido, capelli d' argento, occhiali tartaruga, Cronenberg è un ragazzo di mezza età dall'aria timida e gentile. Potrebbe essere un assistente universitario "radical", invece è un esploratore degli orrori della mente. La sua tesi è che l' uomo sia da sempre "un essere estraneo alla natura". "Gli uomini - spiega - non hanno mai accettato il mondo come dato, ma hanno sempre cercato di cambiarlo". E neanche la sessualità è più naturale. "Per procreare non serve più . Ormai si può far tutto in laboratorio. Da biologico il sesso è diventato culturale, un'invenzione dell'uomo. Così , per risvegliare quel desiderio spesso spento nelle coppie, c' è bisogno di stimoli mentali, di forti emozioni". Rispetto al libro rovente, il film è freddo, contemplativo, gli fa notare qualcuno. "Può darsi - sorride Cronenberg - libro e cinema sono due "media" differenti. Inoltre, per certi versi, questa è una meditazione sull' esistenza dell'uomo, sulla morte". E un film ermetico, accusano altri. "Sì , nel senso che richiede da parte dello spettatore uno sforzo per entrarci dentro. Non mi interessa assecondare il pubblico". Ci sono scene ai confini del porno... "Lo so, molti trovano malsano l' erotismo del film. Ma Crash non è pornografico: la pornografia vuole stuzzicare il pubblico mentre ciò che io mostro sono personaggi alle prese con un fantasma sessuale". Un fantasma a quattro ruote. "Un' auto non è mai solo un'auto - prosegue - E qualcosa per esplorare il tempo, per trasportarsi nello spazio. Crash va oltre: l' auto libera una sessualità che non esisteva prima. In America avere un'auto per un adolescente è avere il potere e poter fare l' amore". Sesso e motori, una relazione pericolosa che potrebbe spingere a folli emulazioni? "Non credo proprio . risponde l' autore, Jim Ballard .. Anzi, niente come Crash può suggerire: andate piano, allacciate le cinture. E se vi piace fare l' amore in auto, fatelo sul sedile posteriore". Intanto, per continuare la sua rombante ossessione, Cronenberg tra breve inizierà le riprese di Red Cars, ambientato nella Formula 1 anni 60, con al centro la figura di Phil Hill e i suoi rapporti con un altro pilota. E per documentarsi, domani ha già prenotato un posto in prima fila al Gran Prix di Montecarlo. Un evento che ha scatenato, complice il ponte dell'Ascensione, le folle, divise tra i miraggi della Croisette e i brividi della celebre corsa. Con il risultato di rendere quasi impraticabili le sale del Festival, prese d' assalto da orde smaniose di qualsiasi immagine, pronte a sudare e spintonare per un ingresso, uno qualsiasi.
Giuseppina Manin, Corriere della Sera



***

La prima volta che mi è capitato di vedere un filmetto porno ho creduto di capire che la caratteristica fondamentale del genere è la ripetitività - e quindi, per chi non sia particolarmente motivato, la conseguente noia. E tiro in ballo la parola "pornografia", anche se non penso che c'entri granché, perché è la definizione giornalistica più ricorrente di Crash, il film di David Cronenberg che sta diventando il caso dell'anno. Cronenberg, che ha fatto buoni studi, spiega continuamente che pornografico, secondo l' etimologia, vuol dire parlare di prostitute, e che la pornografia è fatta per eccitare sessualmente e senza altri scopi. Ergo, che Crash non è pornografico. Più malignamente qualcuno sostiene che si ha pornografia quando tutto è bene a fuoco, ed erotismo quando invece no. E siccome Crash gode (si fa per dire) di una fotografia alla David Hamilton, di interpreti belli e fotogenici (James Spader, fin dal suo debutto nel cinema dedito ad attività "autoerotiche", Deborah Unger, fredda e divina) deve trattarsi di erotismo - se non ci fosse il problema della ripetitività e della noia indotta a insinuare il sospetto di altro. Crash deriva da un libro scritto in prima persona nel 1973 da J.G. Ballard (lo ha ripubblicato adesso Bompiani), visionario, estremo e irrappresentabile, il cui "fine ultimo, inutile dirlo - chiosava Ballard - è quello di un monito, di messa in guardia dal mondo brutale, erotico e sovralluminato che sempre più suasivamente c' invia il suo richiamo dai margini del paesaggio tecnologico". Crash il film non ha alcuna intenzione "morale" e nemmeno lontanamente il potenziale fantastico (e orripilante) del libro. ' Mission impossiblè , si potrebbe dire. Mettere in scena le ossessioni di Ballard sull' "orrendo connubio tra sesso e tecnologia", tra orgasmi e lamiere, tra le auto e l' autoerotismo, con il tripudio di dettagli teratologici del testo, era impossibile. Quello che Cronenberg è riuscito a fare è un film freddo e progettuale, che anziché essere eversivo - come, nella sua maniera orribilmente hard, lo è il modello letterario - si traduce solo in una piccola storia di insoddisfazione coniugale risolta con una nuova forma di S&M, dove (ha scritto spiritosamente il Guardian) S sta per Saab e M per Maserati, o in un remake di ' Bullit' in stile Antonioni. Spader, che nel film si chiama Ballard come lo scrittore, è il protagonista sì di un'incessante attività erotica, ma ha il problema che per raggiungere la necessaria eccitazione ha bisogno di fantasie teratologiche. In altre parole lo eccita l' odore della morte, il pensiero della deformità e del rischio mortale che ha assaggiato quando si è trovato coinvolto nello spettacolare e tragico incidente d' auto in cui è morto il marito di Holly Hunter, lasciando alla sopravvissuta un soprassalto di voglia di sesso (prontamente saziata). Nella sua ricerca di eccitazioni "auto" erotiche, Spader-Ballard si imbatte in Elias Koteas, specialista nella ricostruzione dei grandi incidenti fatali della storia (nel libro il protagonista progetta di andare a sbattere, in uno spettacolare incidente a Heathrow, contro la Rolls di Elizabeth Taylor; per indisponibilità della Taylor, nel film Cronenberg deve accontentarsi di ricreare la morte di James Dean, ed è uno dei pochi momenti inventivi); frequenta con diletto la sua corte dei miracoli, dove spicca Rosanna Arquette, devastata da un incidente e tenuta insieme da protesi e corregge, ma non per questo meno sexy agli occhi del protagonista, che ne penetra le cicatrici (secondo Cronenberg si tratterebbe di un'affermazione a favore della sessualità degli handicappati); si dedica a scopate acrobatiche con signore e signori negli abitacoli di automobili lanciate sulle freeways di Toronto (o più prudentemente nei parcheggi); e alla fine, come estrema prova d' amore, cerca di ammazzare la moglie. Non gli va bene, ma ci riproveranno. Un intero partito internazionale sostiene che Crash riassuma tutta la sessualità e la violenza dell'esperienza della cultura dell'auto, dell'amore nei tempi dell'Aids. A me, forse perché vado a piedi e in motorino, sembra solo un film morboso, voyeuristico e ripetitivo di quell' abile furbacchione che è Cronenberg: un talento visivo di serie A applicato a progetti intellettualmente di serie B rivenduti come cose serie, la cui equazione "piacere=pericolo" (con l' imperativo a-morale a raggiungere questo piacere comunque si possa) rischia purtroppo, nella povertà culturale di fine millennio, di essere presa sul serio. (Sarà una buona o una cattiva notizia che i sempre più aggrovigliati ingorghi automobilistici renderanno impossibile questa forma di erotismo?).
Irene Bignardi, La Repubblica



***

Vaughan, un giornalista scientifico televisivo ricoperto di cicatrici provocatigli da numerosi incidenti, è ossessionato dall'unione della tecnologia automobilistica con quella che scopre essere una sorta di cruda vitalità che fluisce nelle vittime degli incidenti. Attraverso una serie di rapporti sessuali all'interno di veicoli, alla ricostruzione dal vero di incidenti occorsi a personaggi celebri, esami di foto e filmati, coinvolge nella sua ricerca altre persone interessate a percorrere le opportunità di una nuova sessualità offerta all'uomo da quella che si configura come una benigna psicopatologia. Al pari di un nuovo cristo Vaughan rivela ai suoi discepoli la verità, e si avvia verso la nemesi in un'orgia di lamiere, sangue, sperma e olio lubrificante.
Crash, scritto nel 1973, oltre ad essere un romanzo rivoluzionario nella sua forma, è un documento fondamentale di un'epoca di transizione nel rapporto dell'uomo con la macchina, incentrato ossessivamente sull'esplorazione della possibilità di un felice incontro sessuale fra il corpo umano e l'automobile. Per descriverla J.G. Ballard evidenzia l'esistenza di una nuova forma di pornografia - una specie di "ipervisione", di analisi così ravvicinata e intensiva delle cose da decontestualizzarle e privarle della loro funzionalità - e la applica alla trama del suo libro. Ciò che resta è un insieme di dettagli che vengono rielaborati in nuove forme, in una combinatoria dei segni che si è sostituita al desiderio.
Cronenberg si insinua tra le pieghe della fantascienza colta New Wave (quella di Ballard, Spinrad e altri) utilizzandone le convenzioni per perseguire una poetica, come in altri casi, assolutamente personale. Seguendo un suo progetto mai interamente interrotto che percorre tutta la sua filmografia, la trasformazione, l'adattamento, l'evoluzione, avvengono sempre dall'interno, nella carne, nel sangue prima, nei flussi neuronali e nei territori della psiche poi, per manifestarsi all'interno della struttura dei rapporti sociali solo in un successivo momento. Le implicazioni della poetica cronenberghiana rimangono come sempre sullo sfondo mentre ne emerge imponente il suo segno più materiale; la sceneggiatura del film, nella misura in cui rimane fedele al testo e allo spirito dell'opera da cui è tratta non ne mutua, quella programmaticità didascalica tipica di un certo tipo di intellettuale impegnato, ruolo da cui Cronenberg si è sempre tenuto, anche con una certa indolenza, distante.
Quello che era il tema principale del romanzo di Ballard, il ripensamento dei rapporti sociali provocato dal flusso interminabile e ininterrotto delle automobili, è sostituito da Cronenberg da una rifondazione delle relazioni sessuali a un livello prima di tutto puramente biologico. Sin dai primi cortometraggi l'elemento corporeo è sempre al centro dell'opera di Cronenberg. Nella sua opera il corpo è stato via via il contenitore di strabilianti poteri psichici, il veicolo di trasmissione di virus, l'oggetto inconsapevole di mutazioni genetiche. In Crash esso diviene, per la prima volta, oggetto di un'attenzione estetica. Il corpo umano come oggetto d'arte.
Già in Inseparabili avevamo assistito a uno sguardo esteticamente interessato a parti anatomiche, e i due gemelli Mantle agivano sul corporeo, con i loro inediti strumenti chirurgici, come scultori su un blocco di creta o pittori su una tela. Altre volte erano stati organismi non umani (Il demone sotto la pelle) a trasformare la materia corporea per adattarla ad esigenze non riconducibili alla sopravvivenza o alla morte del soggetto a cui appartenevano. In altri casi erano le emozioni ad agire sul corporeo e a dare ad esso una nuova forma, più adeguata alla contemporaneità (Brood – La covata malefica, Scanners). Il corpo come centro di attenzione quindi, ma mai come vero soggetto dell'azione.
In Crash il corpo umano è per la prima volta primo attore. L'interazione con le macchine è il modo in cui lo sguardo sul corpo si libera da ogni istanza etica o morale. Il corpo come materia, che agisce su stesso attraverso la macchina, il simbolo del trasferimento di materia nel mondo contemporaneo, così come il traffico lo è per la circolazione delle informazioni e delle idee.
Nell'immaginario postmoderno ballardiano, l'unico modo per il corpo di riprendere il controllo sul mondo materiale è quello di conquistare un suo ruolo nel mondo degli oggetti, farsi "cosa" e così acquistare attraverso la stretta interazione con altri oggetti la possibilità di plasmare la materia di cui è composto. I protagonisti di Crash, sofferenti a causa di una integrazione incosciente in un flusso di oggetti ormai dotato di una propria autonomia indipendente dai bisogni primari (in questa chiave possono leggersi tutti gli angosciosi riferimenti al fluire del traffico, come se fosse un qualcosa dotato di vita propria), non possono far altro che integrarsi, e utilizzare quel flusso incosciente ed ipnotico per modellarsi, alla ricerca di una nuova sensibilità di sé stessi che non può darsi in altri modi. Per compiere questo passo bisogna che il corpo interagisca con il mondo delle cose dal di dentro. Ridotto a materia plasmabile al pari di un blocco di creta o di una tela bianca, modificato nelle proporzioni e nelle funzionalità da intelaiature metalliche, unito alle macchine nel groviglio di lamiere di un incidente d'auto.
In Crash, la gente utilizza le automobili come estensione dei propri organi sessuali. È solo un altro modo per relazionarsi in un mondo di alienazione e sessualità esaurita. Queste persone ricavano una spinta iper-erotica dagli incidenti stradali.
Uno degli aspetti più straordinari del film è la scelta di caratterizzare i personaggi con uno sguardo asciutto ed obbiettivo, piuttosto che farli apparire come esseri in preda a oscure e insolite spinte compulsive. Quello che a un primo sguardo può apparire come una bizzarra devianza ben presto guadagna, sotto lo sguardo freddo e clinico di Cronenberg, attributi di familiarità e logicità, malgrado resti forte la sensazione di trovarsi davanti a un mondo altro.
Quella di Cronenberg è in realtà una potente e ispirata metafora dell'omni-sessualità del tardo ventesimo secolo. "L'incidente è un evento fertile, non distruttivo", afferma uno dei personaggi in un momento apparentemente banale. Una tesi affascinante esposta in uno stile provocatorio e assertivo ma, al contrario di altri registi che potrebbero facilmente accontentarsi di esprimere un'idea simile in un modo epigrafico, per Cronenberg è solo l'inizio. Da autore "empirico", Cronenberg trasporta lo spettatore dentro la sua idea e comincia ad esplorarne le varie implicazioni e ramificazioni.
Ancora una volta, gli eroi cronenberghiani sfuggono alle classificazioni di ordine morale in quanto sottostanti a una logica che da questo ordine prescinde, per far riferimento a un disegno non finalistico e privo di una precisa appartenenza culturale. A guidarci nella loro evoluzione è appunto quella "benigna psicopatologia" che fa prevalere in maniera violenta il dato biologico su quello etico.
Alessandro Guerra, castlerock.it
[Modificato da |Painter| 10/06/2010 20:37]
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Cerca nel forum

Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 00:37. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com