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Cronenberg su Cronenberg - pt.2 il cinema

Ultimo Aggiornamento: 30/03/2011 15:43
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Sesso: Maschile
02/10/2007 19:07


Cronenberg su Cronenberg: pt.2, l'esordio nel cinema

È dopo il viaggio in Europa del 1965, quando ritorna agli studi di letteratura inglese, che David Cronenberg entra in contatto con il cinema. Accade a seguito dell’effetto stupefacente che ebbe su di me un film realizzato da un mio compagno di studi. […] In questo film, che era molto dolce, recitavano i miei compagni di studio; era girato a Toronto, all’università, ed erano ripresi luoghi e scenari che io attraversavo ogni giorno. Era elettrizzante. […] Io mi sono detto: ‘devo assolutamente provare!’. In quel momento è cominciata la mia consapevolezza del cinema come qualcosa che potevo fare, qualcosa a cui potevo accedere. […] Da bambino andavo al cinema regolarmente. […] I miei genitori mi portavano al cinema anche durante la settimana, ma era come respirare, non c’era nulla di speciale. […] Non sono mai stato né un maniaco del cinema, né un cinefilo. […] Non avevo mai pensato che si potesse fare un film, arrivavano già confezionati da qualche altro posto, proprio come le automobili. […] Così non ero più solo un consumatore di film. Il cinema era materiale grezzo da modellare, tutte le cose che avevo visto diventavano adesso esperienze utili per la realizzazione di un mio film. Il mio primo approccio al cinema è stato molto pragmatico. Mi piace smontare le cose, così la mia prima mossa è stata capire la tecnologia […], ho cominciato a farmi un’idea dei vari aspetti: come si aggiunge il sonoro a un film, come entrambi vengono montati e sincronizzati […]. L’essenza della creazione sta nel controllare e nel plasmare, e non è possibile avere controllo su qualcosa che non si è costruito. […] Scomporre qualcosa in pezzi, per me, diventa subito un’opera filosofica, non semplicemente un comportamento da scimmie. Cominciai a passare del tempo con gli operatori cinematografici. C’era un posto dove noleggiavano macchine da presa […]. Mi spiegavano diverse cose. Quando alla fine mi sono sentito pronto, ho girato il io primo film. Ho fatto tutto io: ho registrato il sonoro, tenuto il microfono in posizione e manovrato la macchina da presa, tutto contemporaneamente. Non ci è voluto molto tempo per decidere di lasciar perdere la parte tecnica. […] Sono decisamente contro la tecnologia. Non ho mai girato un film in Cinemascope, non mi interessa. Ma non riesco a concepire un regista che non sia in grado di capire la differenza tra i diversi obiettivi. […] Se non si ha un minimo di conoscenza tecnica sul perché una certa cosa dia quel risultato visivo, non si può capire che c’è anche un altro modo di farla. […] L’illusione è perfetta! Io voglio l’illusione, la realtà è assolutamente irrilevante.


Transfer & From the Drain.

Nel 1966 David Cronenberg investe 300 dollari canadesi per realizzare il suo primo cortometraggio, Transfer. Parla di uno psichiatra che è seguito dal suo paziente ovunque vada, perché il paziente crede che il loro rapporto sia l’unica cosa che per lui abbia mai avuto qualche significato. […] C’è un elemento surrealista che non collima abbastanza con quello psicologico; tecnicamente è piuttosto sbilanciato.
Nel 1967 segue From the Drain, realizzato con un budget di circa 500 dollari canadesi. Ci sono due tipi seduti in una vasca da bagno vuota, completamente vestiti. […] Dai loro discorsi si comincia a intuire che si tratta di due veterani di qualche guerra assurda, di cui si ignorano le vicende, in cui sono coinvolte armi chimiche e biologiche. Alla fine una pianta rampicante esce dal tubo di scarico della vasca e strangola uno dei due personaggi. A questo punto, l’altro gli toglie le scarpe e le ripone in un armadio pieno di scarpe di altre persone. Così è evidente che esiste un complotto per eliminare tutti i veterani di quella guerra […].
L’ossessione del complotto è un tema caro a William Burroughs e le influenze che egli e gli altri scrittori esercitano su di lui sono evidenti già da questo primordiale cortometraggio. Non si tratta di prendere a prestito le tematiche o del compiacente gusto dell’ispirazione, ma di una piena condivisione nella visione delle cose nonché di un notevole approfondimento di certi aspetti. Questo diventa evidente non appena i mezzi gli permettono di realizzare pellicole semi-professionali.
Ho cercato per molti anni di sopprimere quei primi film. Credo che siano accademicamente interessanti, ma artisticamente fanno schifo. […] Sul momento era tremendamente eccitante realizzare quei film. Seguiva poi una tremenda frustrazione, dovuta all’incapacità di ottenere quello che volevo.
In un periodo molto fertile per l’underground, specialmente newyorkese, lui ed alcuni compagni (Ivan Reitman, futuro regista di Ghostbusters, Ian Ewing e Bob Fothergill) fondano una piccola casa di produzione chiamata Toronto Film Co-op. Willem Poolman della Film Canada ricava invece una sala di proiezione da un ex ufficio postale, battezzata Cinecity, in cui entrano ed escono a tutte le ore.
Volevamo scavalcare il sistema di Hollywood perché non ci apparteneva, non vi avevamo accesso. […] Ricordo delle sere d’estate in cui si andava in varie zone della città, che per l’occasione erano diventate hippy, dove si trovavano persone che proiettavano film su lenzuola appese davanti ai negozi, e la gente li guardava seduta sul marciapiede. Era davvero stimolante. Anche i tuoi film potevano essere proiettati, e tu eri parte di tutto questo. […] Mi sentivo parte di una comunità in quel periodo. La ‘diversità’ riguardava esclusivamente quello che volevo fare in senso creativo, è in questi termini che cercavo l’isolamento […], della mia unicità personale, avevo bisogno di quella estraneità.
Si laurea infine nel 1967.
È stato durante il mio anno di preparazione al master (avevo deciso di riesumare gli studi) che ho cominciato a lavorare a Stereo e Crimes of the Future. Alla fine di Stereo sapevo che non c’erano ragioni per continuare il master. Io volevo fare film.


Stereo & Crimes of the Future.

Stereo è girato nel 1969 in bianco e nero con una camera 35mm presa a noleggio. Per realizzarlo ottiene un finanziamento dal Canada Council facendosi passare per scrittore ed inviando un capitolo dimostrativo inventato per l’occasione. Ricava 3500 dollari canadesi, che investe immediatamente in Stereo. È un film che ha un notevole impatto visivo di geometrie e architetture.
Uno degli elementi con cui fai i conti, mentre dirigi un film, è lo spazio; come lo mostri, quando lo mostri e quanto lo mostri. Questo si traduce tecnicamente nel tipo dei primi piani, nella scelta degli obiettivi da usare, dei movimenti di macchina, della distanza da cui riprendere. Essendo io a quel tempo un autore purista, suppongo che quello fosse il motivo per cui tali considerazioni erano, in quei film, così palesemente visibili. Si tratta di un cinema purista in quel senso: un cinema che ha a che vedere con lo spazio, il tempo, le immagini, il ritmo, e col modo in cui queste cose sono legate a certi tipi di suoni e di silenzi, aspetti che hai assolutamente paura di trattare nei film commerciali. Non useresti mai una colonna sonora completamente muta. Ma in quel periodo io non avevo paura. Negli anni Cinquanta a Toronto c’era un certo tipo di ordine soffocante. […] L’architettura massiccia suggerisce calma, ordine ed eternità […]. Il caos che mi attrae è molto privato e molto personale. Esistono delle piccole sacche di caos che tramano negli interstizi dei quella struttura sociale a cui piace insistere sul proprio ordine e sul proprio controllo, il conflitto che vedi è quello.
Le proiezioni autofinanziate a Edimburgo e Adelaide portano l’attenzione del film alla International Archives di New York, che offre 10.000 dollari per i diritti di distribuzione e proiezioni al Museum of Modern Art, nonché il finanziamento per un progetto successivo. Crimes of the Future viene realizzato l’anno dopo, il 1970, ed è analogo a “Stereo” con la differenza che è girato a colori.
Ho usato il sonoro in modo che il film fosse qualcosa sia da guardare che da ascoltare. In Crimes of the Future ho usato una doppia colonna sonora, oltre a quella della voce fuori campo ne ho registrata una con i suoni di creature marine, delfini e gamberi. È molto presente il suono dell’acqua. […] L’ho immaginato come un balletto subacqueo, volevo creare la sensazione di guardare degli esseri di un altro pianeta. […] C’è sicuramente la sensazione di guardare in un acquario. In Stereo, in alcuni momenti, c’è il fermo-immagine, non il ralenti – si tratta della stampa multipla dei fotogrammi, con ogni fotogramma stampato cinque volte – per ottenere un particolare effetto rallentatore a scatti. In quei momenti la voce fuori campo è neutra, come quella di un osservatore distaccato. […] Volevo creare un modo nuovo di interrelazione. Non c’è linguaggio parlato, ma sappiamo che esiste un linguaggio anche nella gestualità. […] Ho provato a rappresentare la diversità del mondo trattato nel film in modi sottili, uno dei quali è consistito nel dare un senso del movimento simile a quello del balletto.
Il protagonista sia di Stereo che di Crimes of the Future è Ron Mlodzik. È interessante che sia Stereo che Crimes of the Future siano stati influenzati da Ron Mlodzik, uno studioso omosessuale molto raffinato, un intellettuale che stava studiando al Massey College. […] Ron è capace di rappresentare una creatura incredibilmente esotica, strana, che non è proprio terrestre e che, rispetto alla gestualità e alla sessualità che proietta, risulta inquietante per lo spettatore.
Questi due film semi-professionali si possono considerare la vera e propria germinazione della sua poetica. È emblematica in questo senso la presenza di società e istituzioni, trave portante nei film futuri, che ha qui il suo primo ruolo nell’esplicazione visiva (ma già in From the Drain il complotto o la corporazione rappresentavano il sottotesto della trama). In questi film, le istituzioni non sono malvagie, sono quasi nobili, sono il tentativo degli esseri umani, per quanto pazzi, di provare a strutturare e controllare il loro stesso destino. Dall’altra parte, possono essere la causa della loro stessa distruzione.


Gli intermezzi, la televisione & la Cinepix.

La sua vita cambia a seguito delle esperienze rappresentate da Stereo e Crimes, da una parte trampolini di lancio. […] erano un paio di piccoli film completi: in un certo senso l’uno era la continuazione dell’altro. Da lì non potevo certo andare avanti, anche se quel tipo di approccio mi è stato necessario per crescere. […] Ho smesso di frequentare l’università, ho smesso di pensare a fare lo scrittore. Stavo realizzando dei film più lunghi – circa 65 minuti – quindi mi stavo accostando al cinema commerciale. […] Mi ero comprato una cinepresa 16mm, grazie a una nuova sovvenzione del Canada Council […]. In quel periodo inoltre stavo di nuovo provando a scrivere un romanzo. Avevo scritto parecchie pagine, che poi ho buttato via. Evidentemente non avevo ancora rinunciato all’idea. Non ero realmente sicuro di dove stavo andando. Ero anche interessato alla scultura, e ne ho fatta una intitolata ‘Surgical intrument for operatine on mutants’. […] Parte della scultura rappresentava l’organo da operare e parte era lo strumento stesso. Naturalmente tutto questo emergerà più tardi in Inseparabili. […]
Si trasferisce per un anno nella Francia meridionale, nel borgo di Tourettes-sur-Loup frequentato anche da altri cineasti agli esordi. Qui realizza alcuni intermezzi (documentari impressionistici di due o tre minuti a tema libero) per la televisione canadese CBC, intitolati Letters from Michelangelo, Tourettes e Jim Ritchie Sculptor.
In quel periodo si svolgeva a Cannes il Festival del Cinema, mi sono imposto di andarci. Il Carlton Hotel era coperto da una sagoma di James Bond alta tre piani. […] Ma io ero davvero scioccato e disgustato dal Festival e scappai di nuovo a Tourettes. Dopo essere rimasto un po’ a leccarmi le ferite psicologiche, dissi a me stesso: ‘Se vuoi realizzare dei veri film, dovrai in qualche modo avere a che fare con quello che il Festival di Cannes rappresenta. Forse se non lo prendi così seriamente, ti sentirai meglio’. Così sono tornato a Cannes e ho semplicemente riso per una settimana. […] Vedevo cosa stavano facendo molti dei miei colleghi e dei vecchi compagni del cinema underground. Molti di loro stavano annaspando, altri erano entrati alla CBC. Stavamo vivendo, in un certo senso, una vita dimezzata: le ceneri degli anni Sessanta.
Continua a girare degli intermezzi per la CBC anche quando fa ritorno in Canada: Don Valley, Fort York, Lakeshore, Winter Garden, Scarborough Bluff, In the Dirt. Gli viene inoltre proposta la regia televisiva di Secret Weapons per la serie Programme X. I 27 minuti del film, girato in 16mm e a colori, gli permettono di narrare di una multinazionale farmaceutica che, a seguito di una guerra civile, tenta di assumere il controllo della società e il monopolio di droghe chiamate meta-adrenaline; e di uno scienziato in possesso dei risultati di importanti ricerche che si ribella e si unisce ad un gruppo di resistenza.
In questo periodo nasce la sua prima figlia, Cassandra.
Tuttavia una vera industria cinematografica ancora non esiste in Canada, essendo la produzione documentaristica il fiore all’occhiello del Paese. La ricerca per un cinema di immaginazione è ardua.
Quando mi sono guardato attorno per cercarlo, ho trovato la Cinepix, una piccola società operante fuori Montreal. […] Distribuivano film porno soft-core provenienti dall’Europa. […] Così, con molta trepidazione, ho fatto vedere Stereo e Crimes of the Future. […] Di fatto ho realizzato un provino, nel quale un altro fondatore della Film Co-op, Ian Ewing, faceva un’audizione per il ruolo di protagonista […] Ho diretto in studio una sequenza su un’altalena, era la prima volta che vedevo uno studio. […] Io ero sdraiato con la cinepresa sotto l’altalena per ottenere delle angolazioni particolari, e naturalmente era la cosa sbagliata da fare! Né io né Ian abbiamo ottenuto il lavoro. Ma quello era stato il nostro ingresso alla Cinepix, che stava cercando disperatamente qualcosa che le permettesse di sfondare nel mercato americano. Avevo scritto Shivers - Il demone sotto la pelle, e a John Dunning piaceva molto. Era esattamente quello che stava cercando. Per me era stato naturale scrivere quella storia, non c’era assolutamente nulla di calcolato. Combaciava perfettamente con il tipo di cose che avevo scritto per tutta la vita, senonché questo era un film horror. […] Non mi risulta che sia stato realizzato in Canada un film horror prima di Shivers. […] Era stato deciso che il Canada Council avrebbe finanziato film sperimentali […]. Ma Shivers non era adeguato: era disgustoso, orribile, scioccante e perverso. Alla fine ci sono voluti tre anni per convincere la Cinepix a investire del denaro.
Nei primi anni continuano anche le collaborazioni e le regie televisive. Frequenta un corso di formazione video dove lavora con le tecnologie televisive del momento, inclusa la gestione di più telecamere.
Per la serie Peep Show nel 1975 dirige due sceneggiature di 27-28 minuti che reputa davvero poco interessanti, come d’altro canto la possibilità di una carriera televisiva. In The Victim una ragazza è perseguitata da un maniaco che le fa telefonate oscene, ma quando riesce ad attirarlo nel suo appartamento è lei che si trasforma da vittima in crudele carnefice. L’unico interesse suscitato dallo script riguarda l’ambientazione dove si muove il protagonista, un appartamento lurido e tappezzato di foto pornografiche e di stupri. In The Lie Chair (la sedia della menzogna) una coppia rimane bloccata con l’auto e si rifugia in una casa isolata, nella quale vivono due anziane signore che lentamente inducono in loro le identità dei nipoti defunti.
Nel 1976 per la serie Teleplay dirige un altro episodio di 28 minuti intitolato The Italian Machine (la macchina italiana). Questo però lo scrive lui stesso e lo filma in 16mm ed è l’unico risultato delle sue collaborazioni televisive che si può giudicare pertinente ed interessante, oltre ad essere l’unico film umoristico. Trova spazio la sua passione per le auto e le moto da corsa viste come oggetti d’arte. La storia riguarda un gruppo di eccentrici patiti che agogna disperatamente una motocicletta.

Dalla Cinepix e da Shivers - Il demone sotto la pelle (1975) inizia la sua carriera propriamente cinematografica, che lo porta a far conoscere il proprio nome con un tornado di polemiche. Il seguito della carriera di David Cronenberg fino all’anno corrente è riportata specificatamente per ciascun film, lungo il percorso dei Laboratori dove si praticano esperienze.


Tutti gli interventi diretti di David Cronenberg e tutte le informazioni sono tratte dal libro Il cinema secondo Cronenberg (Cronenberg on Cronenberg) di Chris Rodley (Pratiche Editrice per l’Italia), a cui rimando e consiglio per un approfondimento ancor più ampio; si tratta della fonte biografica più completa e corretta esistente, essendo Cronenberg stesso che parla, costituita appunto da interviste raccolte tra il 1984 e il 1993. Purtroppo l’edizione italiana è fuori catalogo da anni; spero che la casa editrice decida presto per una ristampa.
Matt - davidcronenbergitalia.tk


[Modificato da |Painter| 30/03/2011 15:43]
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