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Film radicali, arte e censura - intervista

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2013 20:55
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Post: 529
Sesso: Maschile
02/12/2013 20:55


INTERVISTE A CRONENBERG:
I FILM RADICALI, L'ARTE E LA CENSURA



Cronenberg: Io non sono particolarmente insicuro o paranoico, ma ho sempre pensato che se devo finire in galera ci finirò per la mia arte e non per le mie origini ebraiche. Un mio amico vide Vidrodrome e gli piacque molto e aggiunse “sai, un giorno ti sbatteranno dentro”, e poi se ne andò. Non mi aiutò molto. Immagino, sotto sotto, che la mia vita come membro di una comunità sia sempre stata a repentaglio per qualche ragione. Come se la società avesse scoperto chi ero veramente, cosa c'era sotto la superficie, e volesse distruggermi.

Una delle cose che vuoi fare con l'arte è scoprire cosa pensi, cosa è importante per te, cosa ti disturba. Alcuni vanno a confessarsi o parlano con amici stretti al telefono, per fare la stessa cosa. E naturalmente sono importanti i tuoi sogni. Non ho mai approcciato i miei in termini psicoanalitici, ma riconosco che sono interessanti – una versione della mia personale realtà. Ci faccio attenzione. È un altro modo per capire cosa stai pensando. Devi sovvertire la tua mente talvolta per sapere cosa sta succedendo davvero.

Non penso di fare film radicali. Sono spesso ricevuti in quel modo o percepiti con orrore da censori e persone che pensano di rappresentare la volontà comune. Per questo li guardo e dico, se fossi al loro posto e la mia conoscenza dello sforzo umano fosse la loro, allora li riterrei radicali. Ma non credo che qualcuno possa dire che un mio film sia politicamente pericoloso, ma c'è un paese dove è stato bandito. “Politico” non è la parola giusta in questo contesto. Credo sia per via delle immagini, non per i suggerimenti filosofici dietro alle immagini. Sono le immagini che li colpiscono subito, e poi il tono disturbante del film in generale.

Se fosse solo una questione di corpi mutilati come spesso i film mostrano, non riterrei così interessante l'immagine estrema. La gente spesso mi dice, perché non fai come faceva Hitchcock e suggerisci solamente le cose? Prima di tutto rispondo, avete mai visto Frenzy? Che ha un paio di scene terribili. Scelse lui di farle, nessuno lo obbligò. Penso che la reticenza nel mostrare di Hitchcock avesse più a che fare con la censura di quei tempi che non con demoni personali. Io devo mostrare le cose perché parlo di cose che la gente non potrebbe immaginarsi. Se le lascio fuori dallo schermo, non esistono. Se parli di sparare a qualcuno o di una gola tagliata, li puoi lasciare fuori dallo schermo e il pubblico ha qualche idea di come sono andate le cose. Ma prendi Max Renn in Videodrome e la fessura nel suo stomaco... se l'avessi solo suggerita, cosa avrebbe pensato il pubblico? Non avrebbe proprio funzionato. Io presento al pubblico immagini e possibilità che devono essere mostrate. Non c'è altro modo di farlo. Non lo faccio per il gusto dello shock. Non ho fatto un solo film che non mi abbia sorpreso in termini di accoglienza; se ne andavano, restavano toccati o scioccati da cose che non pensavo li avrebbe scossi di un millimetro. Per me è proprio una questione di immagine concettuale. Non è solo... bene, uccidiamo un maiale in primo piano e avremo la reazione che vogliamo.

Non so dire da dove provengano queste immagini estreme. Mi sembrano schiette e naturali e ovvie. Spesso provengono dall'imperativo filosofico di narrare e sono quelle cose che il film richiede. Io non le impongo. Il film o la sceneggiatura richiedono una certa immagine, un certo momento nel film, e questo emerge. È come la filosofia dell'Evoluzione Emergente, che dice che certi salti imprevedibili emergono dal naturale scorrere delle cose, portando l'evoluzione al passo successivo. Ogni film, credo, ha la sua versione dell'Evoluzione Emergente. Devi solo inserire la spina, dopo esserti guardato intorno in cerca della presa, e l'elettricità arriva – sempre che la corrente funzioni. È il miglior modo in cui possa descrivere questo processo.

Come creatore di personaggi credo di avere la libertà di create un personaggio che non debba rappresentare tutti i personaggi. Posso creare una donna come personaggio che non rappresenti tutte le donne. Se la ritraggo come una fessacchiotta della classe media, perché dovrebbe voler dire che ritengo fessa tutta la classe media femminile? Se mostro Debby Harry che si brucia una tetta con una sigaretta, voglio forse suggerire che tutte le donne vogliono bruciarsi le tette con le sigarette? È infantile. Mettere delle imposizioni sui personaggi che puoi creare, e sugli atti che possono compiere, è osceno, è un incubo kafkiano.

È molto difficile indovinare ciò che è inconscio e ciò che è conscio, ma analizzando i miei film potresti pensare, per esempio, che ho paura delle donne, inconsciamente, e io ti direi, d'accordo e allora? Cosa c'è di male? Se io sono un esempio di americano bianco e i miei film mostrano che ho paura delle donne, allora è una cosa di cui discutere e persino da denigrare. Ma esattamente dove si va a parare, per quella via?

Io non mi censuro mai. Censurarmi, censurare le mie fantasie e il mio inconscio mi svaluterebbe come regista. È come dire a un surrealista di non sognare. Il modo in cui ritraggo le donne è molto più complesso di qualsiasi approccio ideologico che possano svelare. Le pubblicità ci dicono che l'immagine di una donna in costume seduta sul cofano di una macchina è ciò che una donna aspira ad essere. Questo è molto più infido. Una ragazzina di dodici anni che vede Videodrome potrebbe esserne molto disturbata perché è sia attratta che disgustata dalla sessualità e dalle immagini – l'immagine di una donna che si brucia. Ma è diverso. Non c'è un messaggio chiaro nel film che una dodicenne possa assorbire riguardo il comportamento che dovrebbe avere da adulta – non è questo lo scopo dell'arte, dire a qualcuno come dovrebbe vivere.

Per me politica non significa politica sessuale. Politica ha a che vedere con battaglie per il potere, partiti e rivoluzioni. La gente usa il termine rivoluzione sessuale in un senso metaforico. È una questione semantica.

Quando ho dovuto patteggiare con il Toronto Censor Board per The Brood, l'esperienza fu talmente, inaspettatamente personale e intima che mi scioccò. Dolore, angoscia e senso di umiliazione, degradazione e violazione. Posso solo fartelo capire con un'analogia: mandi il tuo splendido figlio a scuola e lui torna senza una mano. Solo con un moncone fasciato. Telefoni alla scuola e loro ti dicono che, tutto considerato, ritengono che tuo figlio sia più socialmente accettabile senza la mano. Che tutti stiano meglio senza quella mano. È per il bene comune. Mi sono sentito esattamente così.

I censori tendono a fare la stessa cosa degli psicotici: confondere la realtà con l'illusione. La gente si preoccupa degli effetti sui bambini dei duemila omicidi che passano in TV ogni mezz'ora. Ma bisogna precisare che hanno visto la messa in scena di un omicidio. Non un omicidio. Ecco qual'è il vero ostacolo.

Charles Manson trovò un messaggio in una canzone dei Beatles che gli disse cosa doveva fare e perché doveva uccidere. Sopprimere ogni pensiero potenzialmente pericoloso, esplosivo o provocante non impedirà a un vero psicotico di trovare ciò che scatena la sua particolare psicosi. Per coloro che sono normali e capiscono la differenza tra la realtà e la fantasia, il gioco, l'illusione – e molti bambini lo fanno senza difficoltà – c'è una distanza e un equilibrio sufficiente. È una cosa innata.

Diventa complicato quando ci va di mezzo pure il movimento femminista. C'è una grande spaccatura tra chi sostiene che la censura sia necessaria e chi ancora crede nella totale libertà di espressione. L'immagine di un uomo che frusta una donna, per esempio. Può emergere da un film, anche se il film fa capire al pubblico che si tratta di un gioco tra amanti che stanno insieme da quarant'anni e hanno bambini. Non importa. È l'immagine che conta. Quindi la censura è la polizia dell'immagine: non gli importa del contesto dell'immagine, è solo l'immagine in se stessa.

Si crede che un'immagine possa uccidere. Letteralmente. Come in Scanners: se i pensieri possono uccidere, anche l'immagine può. Quindi suggerire del sadomasochismo, per esempio, scatenerà una massa di psicotici a fare cose che non avrebbero mai fatto se non fossero stati esposti a quell'immagine. A differenza della censura, la classificazione dei film è legittima; quando è un suggerimento piuttosto che una legge. Ma anche qui nessuno è più qualificato di altri nel classificare, che è lo stesso problema della censura. Come può qualcuno della mia età, un mio contemporaneo, vedere un film e poi decidere che io non lo dovrei vedere? Non lo capisco proprio.

Un artista non è anche un cittadino appartenente alla società. Un artista è destinato a esplorare tutti gli aspetti dell'esperienza umana, i suoi angoli più oscuri – non necessariamente – ma se è lì che è diretto, è lì che deve andare. Non si deve preoccupare di quelli che sono considerati atteggiamenti negativi o positivi, o esplorazioni giuste o sbagliate, dalla sua particolare sezione di società. Quindi dal momento che sei un artista non sei un cittadino. Non hai di fatto responsabilità sociali di nessun tipo.

Se qualcuno dicesse “ora devi fare la parte del cittadino e fare un passo indietro per vedere quello che è successo, capire perché hai l'impulso di creare e mostrare queste cose”, allora la mia posizione sarebbe diversa. Non sono più un artista ma divento un analista dell'atto in se stesso. Ci sono molti artisti che non sentono il bisogno di esaminare il processo, o che facendolo temono di perdersi o cambiare.

Nabokov disse che nessuno gli tirava i sassi. Io potrei dire allo stesso modo che sono un cittadino e ho responsibilità sociali, e le prendo seriamente. Ma come artista la responsabilità che hai è permetterti la totale libertà. È quella la tua funzione, ciò per cui tu sei fatto. L'arte e la società non coesistono facilmente; è stato sempre così. Se l'arte è anti-repressione, allora arte e civiltà non vanno a braccetto. Non devi essere un seguace di Freud per rendertene conto. La pressione dell'inconscio, la tensione, porta all'espressione, all'essere ascoltati. Non puoi reprimerla e verrà fuori in qualche modo.

Quando scrivo non devo censurare il mio immaginario e le mie connessioni. Non devo essere preoccupato di cosa diranno i critici, cosa diranno quelli di sinistra o cosa diranno gli ambientalisti. Lo devo ignorare. Se ascoltassi tutte queste voci sarei paralizzato, perché non una risolverebbe la cosa. Devo guardare alla voce che mi parla prima che tutte queste strutture le vengano imposte sopra, e lasciare che esprima queste verità terribili. Essendo irresponsabile divento responsabile.
da Mondo2000
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