Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.
 
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Parole, cromosomi, proiezioni - due analisi

Ultimo Aggiornamento: 27/05/2012 12:35
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Sesso: Maschile
27/05/2012 12:34


PAROLE, CROMOSOMI, PROIEZIONI
Due analisi per svelare Cosmopolis



Un tempo sulle pergamene venivano vergate parole e le parole, come le pergamene, non erano a disposizione di tutti.
Prodotta con pelli di pecora, di capra o di vitello, la pergamena richiedeva una lavorazione complessa, era fatta di materia viva, aveva un odore forte, ancora riconducibile all'animale che era in origine e alle proprietà organolettiche del suo sacrificio. Perciò l'utilizzo della pergamena era un fatto raro. Perciò su di essa venivano scritte parole importanti, spesso ispirate da Dio. Parole che erano segni sacri.
Poi arrivò il papiro che era meno pregiato e meno costoso, e poi la carta, ancora meno pregiata del papiro, e infine i software per la scrittura, che sono solo combinazioni alfanumeriche e non sono nemmeno più tangibili. E il destino della parola sembra aver seguito il medesimo deprezzamento. La parola è diventata bit, unità d'informazione. Una sequenza di 0 e 1, la possibilità tra due eventi equiprobabili. Ma che significa?
Facciamo questa lunga, tediosa, premessa, perché è da qui che parte il nuovo film di Cronenberg. Ed è qui che finisce. I titoli di testa scorrono su una pergamena dove non si riversano più parole ma gocce d'inchiostro, macchie disordinate e inintellegibili. Ed è una specie di ouverture astratta che condensa in sè tutto il senso - o faremmo meglio a dire il nonsense - dell'operazione pensata dal regista canadese. Cosmopolis si rivela come il punto di non ritorno, la zona morta, della sua lunga e straordinaria carriera.
Un esito che probabilmente farà storcere il naso ai fedelissimi dell'Autore prima maniera e del suo cinema viscere e pancia, quando invece si tratta probabilmente di una naturale, terrificante evoluzione. Il frutto di uno stesso metodo. Dangerous, certamente. Ma almeno onesto.
E il riferimento al titolo precedente - per molti spiazzante, per altri semplicemente deludente - non è casuale: è allora che il suo lavoro ha manifestato i primi segnali di apparente discontinuità: una messa in scena iper-controllata, ai limiti dell'astrazione; una pulizia formale e una recitazione distaccata e straniante, neanche fossimo a teatro;quell'uso/abuso di parole e di interminabili strisce di dialogo e sequenze letterarie. Quel procedimento che allora apparve ai più un passo falso, un passo indietro - chiamatelo come vi pare - era invece un ulteriore salto poetico: dopo aver indagato, riflettuto, inquadrato, ogni tipo di mutazione corporale, carnale, ancora umana, Cronenberg ha deciso che l'ultima metamorfosi possibile era oltre la devastazione dei corpi, della carne e - se ancora oggi questo termine può avere un senso - dell'umano. Il nuovo mutante è anzi esteticamente piacevole, curato, elegante. Quanto di più vicino a un bell'esemplare di essere umano vivo. Solo che non lo è, o non lo è più. Intuendo la radicale provocazione lanciata da De Lillo nel suo Cosmopolis - che a sua volta non identifica New York e non è forse nemmeno una città ma il simulacro metonimico di ogni possibile città del mondo post-capitalistico - Cronenberg dipinge un'umanità che sembra venuta fuori da un'opera di Rotko (citato nel film): totalmente anaffettiva e lontana, bidimensionale e fredda.
Eric Packer, il protagonista, un giovane miliardario che si è arricchito con la speculazione finanziaria - altra materia da romanzo astratto: che cos'è? Che significa? Che scambia? Che produce? - non agisce ma parla e parla e parla. Il suo viaggio in limousine - una macchina/sarcofago dotata di ogni equipaggiamento tecnologico - è un itinerario immobile. Non procede. Vuoi perché c'è sempre qualcosa che ne blocca il cammino (i manifestanti che mettono a ferro e fuoco la città, i posti di blocco per la visita del Presidente, le fermate imposte dal passeggero per parlare ora con la moglie/zombie, ora con il suo personal trainer teorico, ora con un suo consulente finanziario, etc...), vuoi perchè questo stesso on the road, per come è stato concepito, è un viaggio al termine di ogni significazione. D'altra parte vuole attraversare la città solo per aggiustare il taglio di capelli.
C'è sempre qualcosa di orribilmente assurdo e terrificante e farsesco e tragico nel modo in cui Cronenberg immagina la via crucis di Eric verso quella che sembra (ma non è) una presa di coscienza: avvertiamo una ticchettante afasia di tono, come se non ci potesse essere più nemmeno un tono per raccontare una storia. E' indifferente. E, d'altra parte, quale storia racconta Cosmopolis? La progressione drammaturgica è solo apparente. Tutte le volte che Eric vuol prendere una decisione, agire, non può. Le sue sono azioni monche. Non taglierà (se non una parte) i capelli e non farà sesso con la moglie. D'altra parte il sesso stesso è diventato scambio di quelle informazioni che sono i corpi, spie di elementari bisogni fisiologici (è la stessa moglie di Eric a definire il corpo del marito un veicolo informativo, quando gli fa notare che "emette odore di sesso").
Restano le speculazioni, parole e parole, che escono dalla bocca ed entrano nelle orecchie senza provocare più nulla. Senza dire più nulla.
E' programmaticamente verboso l'ultimo Cronenberg, perché il limite del parossismo verbale è il silenzio, il segno che non rimanda più a nulla se non a se stesso. E' qui che si può scorgere l'ultima mutazione possibile, la perdita della presenza reale in un'umanità disincarnata, già post.
Dentro un veicolo che sembra una sala di regia, dove è possibile rivedere tutto (che tanto non c'è più nulla di originale da vedere, nulla che non sia già accaduto, ri-preso), controllare tutto e schermare tutto ciò che avviene là fuori, Cronenberg si siede assieme al suo Pattinson (perfetto nella sua faccia da stoccafisso, incapace di esprimere una qualsiasi reazione che provenga dall'interno) per guidarci verso l'ultimo giro di boa del Capitale, oltre il quale non c'è più violenza (richiederebbe un motivo), non c'è più morte e probabilmente non c'è più cinema. Ma solo un bel Niente.
Gianluca Arnone, Cinematografo.it



***

CROMOSOMI: SU COSMOPOLIS DI DI DAVID CRONENBERG

Nella prima apparizione della “Prousted” Limo, “scatola” mnemonica protetta dall’esterno che nel Cosmopolis di DeLillo consente l’ingresso di schegge cognitive in un’imitazione “bulletproofed” della stanza di Marcel Proust situata a Parigi sul Boulevard Haussman (a questo proposito, Michael Naas ha scritto bellissime pagine nel suo “Derrida From Now on”), David Cronenberg spinge al massimo la separazione tra l’abitacolo e un primo squarcio di città vista attraverso vetri e lunotto come retroproiezione violentissima regolata su differenti livelli di opacità, quasi ad introdurre un viaggio fantascientifico che interpreta e reinventa il “Cyberspazio” DeLilliano. Cronenberg, come ha dichiarato in alcune interviste, sceglie Toronto, toglie i riferimenti temporali, spazza via i capillari riferimenti geografici Newyorchesi contraendo il circuito in un “Drome” mentale e dislocando all’interno della macchina di Packer azioni che nel testo originale dello scrittore Italo-Americano avevano diversa ambientazione, confermando l’intenzione di sviluppare un testo in-verosimile sulla realtà aumentata. Quel processo di trasformazione dei segni che la filmografia Cronenberghiana porta avanti in modo inesorabile fino ad una riduzione, evidentemente inaccettabile per una certa critica, della massa tumorale “visibile”, giunge in Cosmopolis ad una radicalità incompromissoria e durissima. Le aporie insistite di M. Butterfly, prima ancora della “commedia” combinatoria eXistenZ, quella disseminazione del segno di cui parla Sara Del Santo in un’illuminante analisi su Eastern Promises quasi interamente dedicata ai tatuaggi/stigmata di Nikolaj e pubblicata qui su indie-eye.it, la metastasi in-visibile della scrittura in A Dangerous Method, l’iper-realismo eccessivo e rutilante di A History of Violence, vengono stressati al limite nel nuovo lavoro del regista Canadese con una sovrimpressione astratta che mette in relazione parola, segno, corpo attoriale. I numerosi quadri performativi che DeLillo stesso pare abbia trovato esilaranti nella versione Cronenberghiana del suo romanzo, sembrano una conseguenza estrema dello scontro-incontro tra i fratelli Cusack in A History of Violence; nell’esagerazione del gesto c’è un lavoro sulla complessità della visione che Cronenberg stesso spiega molto bene durante un’intervista dove si trova a difendere l’interpretazione della Knightley in A Dangerous Method, giudicata estrema e inverosimile: “Ci sono fotografie fine secolo realizzate da uno psichiatra Francese che mostrano l’accuratezza della sua interpretazione. E’ un aspetto ignorato dalla maggior parte delle persone e credo che la reazione al lavoro di Keira abbia a che fare con la loro personale idea di recitazione”. Questo iper-realismo estremo e grottesco che complica la visione, fa pensare alle recenti maschere Eastwoodiane, di cui abbiamo parlato approfonditamente dopo la visione di J. Edgar, e ancora a quello che si “stacca” dal realismo psichico e performativo dell’attore Lynchiano, per esempio, in un serial prodotto e interpretato da Laura Dern per HBO, il sorprendente e “doppio” Enlightned. Ecco che il Cosmopolis “falado” di Cronenberg, spegne tutti i riferimenti pre-cognitivi presenti nel romanzo di DeLillo per non farsi tentare da una visionarietà dichiarata, al contrario riallocando la visione in un’arena mentale e sottoponendo la parola ad un continuo rovesciamento di senso, non è un caso che Cronenberg stesso si sia trovato in un’intervista a confutare le analisi dei dialoghi di DeLillo che parlano di riferimenti Pinteriani, a Cronenberg interessa sicuramente l’eteroglossia o la tendenza parodica della parola DeLilliana, gli serve per ridurla ad un sembiante inerte dall’apparenza monodica per poi rovesciarla violentemente in commedia cognitiva che (e dobbiamo operare per sintesi) promana da un’altra eteroglossia di linguaggi, a partire da quello quotidiano, fino a quello filosofico e all’ambito inter-relato dei sistemi di condivisione sociale di massa, tanto che la sua Limo sembra una versione tragicomica e nerissima delle intuizioni sulle “nuvole” virtuali esaminate dal Belga/Canadese De Kerckhove, allievo e successore di Marshall McLuhan. In questa resa apparentemente “statica” e vitrea del quadro che isola le gag in una riduzione degli elementi visivi (stessa sottrazione operata con Peter Suschitszky sugli sfondi di A Dangerous Method) si scorge l’origine del recente progetto espositivo curato dal regista Canadese e noto con il nome di Chromosomes, organismi frattalici scansionati su tela a partire dalla digitalizzazione del repertorio filmografico cronenberghiano ( gli “stills” della testa “in esplosione” di Scanners, i tatuaggi sulle mani di Mortensen….); in Cosmopolis, al di fuori di interpretazioni sin troppo “romantiche” che si sono lette in rete in questi giorni, il dripping che apre il film e la geometria cromatica di Rothko che lo chiude sono anomalie cromosomiche, altro dagli originali, rovesciamento di quella visione storicoartistica spirituale in uno scandaglio che la ri-vede con il mezzo digitale ed esonda in quello utilizzato da Cronenberg/Suschitszky; è la Limo di Packer infestata dai graffiti, sono gli oggetti nel barber shop, è l’occhio che si spegne e si accende come un fade dal vetro dell’abitacolo, è la stanza dove Benno e Packer si incontrano, arena accidentata, quadro spezzato, stanza dei detriti dove i volti di Pattinson e Giamatti condividono la stessa posizione in uno spazio reso instabile da aritmie cronotopiche.
Michele Faggi, indie-eye.it
[Modificato da |Painter| 27/05/2012 12:35]
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