Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Stampa | Notifica email    
Autore

RECENSIONI - Rassegna Stampa /2

Ultimo Aggiornamento: 26/05/2012 09:56
OFFLINE
Post: 529
Sesso: Maschile
26/05/2012 09:55


COSMOPOLIS
Rassegna Stampa / 2



L'inferno gelido del miliardario Pattinson
Cosmopolis tra capitalismo e apocalisse

A Cannes l'attesissimo film di Cronenberg, che arriva anche nei nostri cinema: un finanziere si blinda nella sua limousine, in un crescendo di tensione e violenza. Il regista: "Per la prima volta volevo affrontare il tema del denaro e di come plasma il mondo". Ma sulla Croisette i riflettori sono tutti per il divo protagonista
ROMA - Un mondo gelido, governato dallo strapotere dei soldi, in cui a muovere le fila non è più il presidente degli Stati Uniti, e nemmeno il numero uno del Fondo monetario internazionale, ma un pugno di ventenni più o meno talentuosi diventati padroni della Terra. Il capitalismo ormai lontano da qualsiasi idea produttiva, fatto solo di investimenti virtuali che si spostano da un luogo all'altro del Pianeta. La proteste di chi è contro il sistema che degenerano in scontri pesanti. La limousine, una delle migliaia che ogni giorno girano per le strade di New York, simbolo di un luogo freddo, anonimo e ipertecnologico, dove si consuma la vita di chi conta. Il sesso visto sempre e comunque in maniera distorta, quasi come esercizio intellettuale, casuale e senza passione. La violenza che questo contesto senz'anima non può non generare: all'inizio strisciante, poi sempre più esplicita, insensata, autodistruttiva, inevitabile.
C'è tutto questo, e anche di più, in uno dei film più attesi di questa stagione cinematografica: Cosmopolis di David Cronenberg, con Robert Pattinson assoluto protagonista, dall'omonimo romanzo di Don De Lillo di scena oggi - in concorso - al Festival di Cannes e appena sbarcato nelle nostre sale. E così, questa mattina, per la pellicola c'è stata una doppia anteprima per la stampa: una romana, una sulla Croisette. E in entrambe, la visione di quest'opera così particolare, controversa, anche stilisticamente estrema, dai dialoghi molto filosofici e volutamente non realistici, ha diviso la platea dei critici. Perché siamo di fronte a un prodotto cinematografico che, per quanto raffinato, si presta a essere amato oppure odiato.
Cupo, glaciale, apocalittico con il suo annunciare la fine del capitalismo, Cosmopolis è ambientato in un giorno-clou nella vita del protagonista, il magnate finanziario ventottenne Eric Packer. Il film comincia con lui che comunica alle sue bodyguard la volontà di andare dall'altra parte di New York, nel suo vecchio quartiere, a "farsi sistemare il taglio" (di capelli). Comincia così un viaggio allucinante per le strade: alcune devastate dalla rabbia dei manifestanti, altre bloccate per la visita del presidente. Con lui, di volta in volta, gli amici nerd con cui ha costruito il suo impero, amanti fisse (Juliette Binoche), bodygard compiacenti, una moglie milionaria e sfuggente (Sarah Gadon). E due minacce che incombono: quella di perdere tutto per un calcolo finanziario sbagliato; e quella di morte che si incarna in un personaggio interpretato da Paul Giamatti...
"Il giovane Packer - commenta Cronenberg, da Cannes - è imprigionato nella sua limousine, nella propria ricchezza e in una vita miliardaria e programmata, ma ha bisogno di liberarsi e vuole tornare a tutti i costi alle origini, al vecchio sobborgo di periferia dove è cresciuto, sfidando una New York impazzita". E sulla coincidenza tra gli scontri di piazza che lui mostra e il fenomeno Occupy Wall Street, si smarca: "Le rivolte c'erano davvero durante la lavorazione ma è una bizzarra casualità, il mio non è certo un documentario". Sul significato della pellicola, invece, non c'è alcun dubbio: "E' un tema importante che non ho mai veramente affrontato: il denaro. Il potere dei soldi e il modo in cui plasma il mondo. Per parlarne non ho avuto bisogno di fare ricerche specifiche sul mondo della finanza: vediamo i suoi rappresentanti dappertutto".
E grande attesa anche per la performance del protagonista, il superdivo Robert Pattinson decisissimo a scrollarsi di dosso il vampiro romantico della saga Twilight. E qui il suo personaggio è davvero agli antipodi: freddo, crudele, disturbato. E nello stesso tempo filosofico, deciso a conversare con le varie persone che incontra con un taglio totalmente teoretico, astratto. Per entrare in questa lucida follia, l'attore spiega oggi, sempre dalla Croisette, "di essersi interamente basato su sensazioni, non su idee". Recitazione istintiva, per nulla cerebrale: agli opposti del modo di comportarsi del suo Eric Packer. Intanto, stasera, lo ritroviamo sul red carpet festivaliero. Che ha già percorso l'altro giorno, ma solo nel ruolo di "fidanzato di": di scena c'era On The Road, con protagonista la sua compagna Kristen Stewart.
Claudia Morgoglione, Repubblica



***

Appena presentato in concorso al Festival di Cannes, il nuovo film di David Cronenberg è la messa da requiem per il mondo che abbiamo fin qui conosciuto
«Uno spettro s’aggira per il mondo – scriveva Marx tanto tempo fa - lo spettro del capitalismo». New York, oggi. Tutto in ventiquattr’ore: Eric Packer, golden boy dell’alta finanza, viaggia per le strade della città sulla sua lussuosa limousine bianca. Mentre la rivolta sta montando e i mercati finanziari stanno crollando, il giovane non ha che un pensiero: recarsi dal proprio parrucchiere, all’altro capo della città, per tagliarsi i capelli. Così, mentre la visita del Presidente americano paralizza Manhattan, Eric assiste impotente al crollo del suo impero personale e alla fine del mondo capitalista. E’ inoltre convinto che qualcuno voglia assassinarlo. Quando? E dove? Appena presentato in concorso al Festival di Cannes, il nuovo film di David Cronenberg è la messa da requiem per il mondo che abbiamo fin qui conosciuto. Adattando per il grande schermo uno dei romanzi più corrosivi e visionari di Don DeLillo, il regista canadese ci ha regalato un film che di più stretta attualità non potrebbe essere, ma lo fa ricorrendo a un archetipo antico, quello di Ulisse.
Quello di Cronenberg è tuttavia un mito capovolto: come in un dipinto di Rothko, Eric non è il simbolo della ricerca umana nel mondo, ma un Ulisse solo, bloccato in un momento d’immobilità assoluta e per di più perso in una realtà fuori controllo, pronta all’implosione. Eccola allora la metafora della limousine, quell’enorme, debordante, linda realtà viaggiante (il capitalismo ultraliberista senza regole né etica) che ha finito per risucchiare dentro se stessa il mondo intero, stretto in quell’abitacolo (che per contrasto è nero e blu) in cui tutto può entrare o uscire, ogni parola può essere pronunciata o più semplicemente taciuta. Come se ogni tipo di comunicazione tra gli umani avesse ormai perso ogni peso, alla fine Eric non è che una figura del silenzio, un residuo. La tensione emotiva, fortissima per tutto il film, è allora il frutto di questa dialettica costante tra ciò che era e ciò che (forse) sarà, tra la vita paranoica sublimata dal complottismo (l’ultima possibilità di autorappresentazione del capitalismo?) e una fuoriuscita tutta da trovare. Crollata la polis, resta il cosmos, ma ormai fuori da ogni tempo o spazio o ethos, completamente devitalizzato. Ma come beffarda pernacchia al nichilismo assoluto, Cronenberg ci lascia con il buon sapore di una catastrofe necessaria: il re che siede sul suo trono (Robert Pattinson, defraudato dell’amoroso vampirismo di Twilight) è nudo, la sua carne è mostruosa, ma è nudo.
Marco Luceri, Corriere Della Sera



***

Cronenberg: così finiscono i vampiri del capitalismo
Cosmopolis con Pattinson miliardario braccato da un killer in una New York  caotica tra Borse che crollano e proteste per strada
La limousine bianca scivola nelle strade di New York. Fuori c’è la vita vera della gente che protesta, esasperata dalla tragedia della crisi economica, dentro quella virtuale di Eric Packer (Robert Pattinson), golden boy dell’alta finanza, sull’orlo del crack, ma soprattutto alle prese con un malessere esistenziale che gli pone dubbi oscuri spingendolo verso il baratro dell’autodistruzione.
David Cronenberg racconta di aver lavorato per soli sei giorni alla sceneggiatura di Cosmopolis, tratto dal libro omonimo che Don De Lillo ha scritto nel 2009, immaginando, con straordinaria lungimiranza l’attualità dei nostri giorni: «Il romanzo - ammette il regista - è incredibilmente profetico. Mentre giravamo sono successe molte delle cose che descrive, Rupert Murdoch ha ricevuto una torta in faccia, proprio come accade a Eric, ed è nato il movimento “Occupy Wall Street”. Ho dovuto cambiare ben poco per rendere la storia contemporanea, l’unica differenza è che abbiamo utilizzato lo Yuan al posto dello Yen. Non so se De Lillo abbia delle azioni ma forse dovrebbe acquistarle, perchè possiede una percezione notevole di quello che sta per avvenire».
Seduto accanto al regista, vagamente spaesato nel frullatore del Festival, lo scrittore dice che l’idea di Cosmopolis gli è venuta osservando le tante limousine che popolano le vie di New York, ma che, alla base dell’ispirazione, c’è quel senso di «pericolosità che si respira in America da quando c’è stato il Vietnam e l’assassinio di Kennedy».
Nel libro (dedicato a Paul Auster), e anche nel film, ricorre la celebre frase d’apertura del «Manifesto del Partito Comunista», adattata ai giorni d’oggi: «Uno spettro si aggira per il mondo - lo spettro del capitalismo». Don DeLillo è certo che «il movimento di "Occupy" sia solo l’inizio», non a caso affida al personaggio della Responsabile della Teoria (interpretata da Samantha Morton) la spiegazione del presente: «Le persone che protestano sono il frutto di Wall Street e del capitalismo, sono loro quelle che contribuiranno a modificare il sistema». Per Cronenberg «il riferimento non è casuale. Il film parla del potere dei soldi, del modo con cui influenza il mondo».
Sullo schermo le parole sono rimaste importanti, come sempre nei film dell’autore canadese («per me l’essenza del cinema è filmare una persona che parla, non un paesaggio»), ma ai dialoghi si sono aggiunte le sue visioni, il tono metaforico, il contrasto tra il silenzio tecnologico dell’abitacolo in cui accade tutto, e il frastuono allarmante dell’esterno, con i cortei, gli scontri, il senso incombente di violenza: «E’ una visione molto soggettiva, appartiene al protagonista, e ha poco a che fare con la realtà visto che Eric ha scelto deliberatamente di isolarsi, di vivere in una specie di acquario».Sulla sua faccia, sul volto celebre e amatissimo di Robert Pattinson, scorre il senso di tutto il film, l’incubo del potere economico che distrugge se stesso, la cupidigia sprezzante e la paura della fine.
Non poco per un attore che deve la sua fama alle performance atletiche di un vampiro innamorato: «Per Robert - osserva Cronenberg - Twilight è un incidente di percorso, lì ha fatto un lavoro interessante, ma io l’avevo già visto in altre cose, Remember Me, e Little Ashes in cui interpretava Dalì da giovane, con quei baffetti sottili e l’accento spagnolo. Insomma, è un bravo attore, con un’ottima conoscenza del cinema. E poi se non ci fosse stato il successo di Twilight non avrebbe potuto esserci questo film, perchè il suo nome attira finanziamenti. E’ quello che è accaduto con Viggo Mortensen, quando l’ho scelto per A History of Violence. In futuro lavoreremo di nuovo insieme».
Educato alle conseguenze della popolarità, un po’ imbranato e un po’ maleducato (per via di quello stuzzicadenti sempre in bocca) Robert Pattinson, che sullo schermo macina scene di sesso con diverse partner, compresa l’acclamata Juliette Binoche, passa spesso la parola al suo regista, sorride, guarda in giù: «Cronenberg voleva che recitassi senza sapere bene che cosa stavo facendo, anzi, appena sentiva che stavo trovando un legame di causa ed effetto, o una spiegazione logica sul comportamento del mio personaggio, smetteva di girare». Eppure lo speculatore Eric e il giovane Pattinson hanno qualcosa in comune, il primo è prigioniero dei soldi, il secondo della celebrità: «Negli ultimi 5 anni della mia vita sono successe cose incredibili, è vero, se adesso volessi uscire e passeggiare per la Coisette non potrei farlo, certe volte ho la sensazione che la folla voglia far accadere per forza qualcosa, così per evitare rischi, si finisce per passare la vita nei privè».
Fulvia Caprara, La Stampa



***

Cronenberg porta sulla Croisette la fine del Capitalismo. «Io non investo. La finanza è un gioco d'azzardo»
CANNES - «Io non investo, la finanza non è il mio mondo. Per me è un gioco d'azzardo». David Cronenberg, occhiali e giacca scura, fare molto affabile, sembra aderire alla visione di Cosmopolis, il suo ultimo film, presentato questa mattina alla 65esima edizione del festival di Cannes e accolto dalla stampa con applausi e qualche fischio. La pellicola, nelle sale da questa sera, è basata sull'omonimo romanzo di Don DeLillo, anche lui sulla Croisette assieme al regista e agli attori Robert Pattinson, ex-protagonista di Twilight, amatissimo dalle adolescenti, Sarah Gadon e Paul Giamatti.
Il film, fedele al testo, racconta una giornata molto particolare per Eric Packer (Pattinson), giovanissimo golden boy della finanza newyorkese, che decide di attraversare la città per farsi tagliare i capelli dal suo vecchio barbiere di fiducia in un giorno in cui la grande Mela è paralizzata per la visita del presidente degli Stati Uniti. Incurante delle minacce di morte ricevute, conscio che il viaggio durerà delle ore, Eric si infila nella sua Limousine super accessoriata, seguito dalle guardie del corpo.
Il film si svolge quasi prevalentemente all'interno dell'auto, un microcosmo "proustiano", come lo definisce il regista. In questo ambiente assurdo il protagonista riceverà vari ospiti: la gallerista Juliette Binoche con cui ha un rapporto sessuale e a cui darà mandato di comprare una cappella tappezzata di quadri di Rothko; il medico a cui si sottopone per una visita quotidiana molto accurata; vari soci d'affari, che gli confermano la notizia del crollo della Yuan (nel libro era lo Yen), su cui Packer aveva fatto ingenti investimenti.
Intanto il mondo a Manhattan è in subbuglio, la gente scende in strada per protesta contro il mondo della finanza, porta in giro provocatoriamente topi morti per la coda e li elegge a nuova moneta di scambio, dichiarando la fine del capitalismo. Packer sembra indifferente, lascia che la sua "Limou" venga imbrattata e spintonata dalla folla inferocita, guarda senza reagire il video in cui il presidente della Fed viene accecato da un facinoroso durante un'intervista televisiva, prende una torta in faccia da Andre Petrescu (Mathieu Amalric).
Il libro di DeLillo, uscito nel 2003, sembra scritto ora. «È una pura coincidenza - spiega il regista canadese - che il film esca quando si verificano fenomeni di protesta popolare come "Occupy Wall Street" e non potevo immaginare che qualcuno desse una torta in faccia a Rupert Murdoch. Il romanzo di DeLillo è molto convincente, ma non è la Bibbia. È un'interessante riflessione sul mondo del Capitalismo, di cui predice la fine. Quanto a quello che succederà al mondo occidentale è difficile dire. Leggo i giornali come tutti e non so come reagire nel leggere che l'euro potrebbe scomparire…».
L'amore tra Cronenberg e il libro è nato da un'idea del produttore Paulo Branco. «Ho letto il libro, l'ho trovato fantastico e ho scritto la sceneggiatura in sei giorni. È stato molto facile, perché i dialoghi di DeLillo sono meravigliosi. Ho solo dovuto trascriverli al computer e mettere accanto i nomi».
La moglie, la giovane ereditiera Elise Shifrin (Sarah Gadon, protagonista anche di Antiviral di Brandon, figlio di David, a Cannes nella sezione "Un certain regard") non entra mai nella Limousine di Eric. Si incontrano su un taxi che si ferma accanto all'auto di Eric, in una libreria, davanti a un teatro, in un ristorante e alla fine si lasciano. Eric non piange mai, si abbandona a un unico momento di commozione quando apprende la notizia della morte del rapper Bruta Fez, le cui canzoni sono in filodiffusione in uno dei due ascensori della sua casa (nell'altro ci sono le musiche di Eric Satie). «Succede che la gente pianga per persone che non conosce, basti pensare alla morte della principessa Diana», spiega Cronenberg.
Molti accadimenti sono apparentemente insensati, come l'uccisione per mano dello stesso Eric del capo delle sue guardie del corpo. «Per il protagonista è una specie di liberazione da tutte le costrizioni imposte da una vita in cui non sta più dentro. Allo stesso modo si legge l'ostinazione nel voler tagliarsi i capelli nel quartiere di origine dall'altra parte della città. È un ritorno alla purezza del mondo infantile».
Il film è, come è già stato detto, molto fedele al libro, eccetto per quello che riguarda il rapporto tra Benno Levin (Paul Giamatti) ed Eric. Benno nel romanzo fa capolino a più riprese; nel film, per esigenze di economia temporale, solo all'ultimo con un lungo dialogo che dura venti minuti. Benno è un dipendente di Eric, che ha maturato una sorta di ossessione per il capo. «Nella conversazione che intercorre tra i due è come se Eric fosse il prete e Benno la persona che si confessa. Eric si ricorda appena di Benno, ma i due sono legati per sempre».
L'inizio e la fine del film sono un tributo all'arte, Pollock in testa "il dinamismo", Rothko in coda, "la quiete".
Cristina Battocletti, Il Sole 24 Ore



***

Intenso e complesso il nuovo lavoro di Cronenberg, un po’ surreale ma sempre immagine dei tempi che viviamo, con Robert Pattinson che supera l’esame di maturità a pieni voti.
Con Cosmopolis Cronenberg si conferma regista visionario: attinge dal libro di Don DeLillo, ne rimane fedele, e apporta quelle poche modifiche che rendono il racconto cinematograficamente valido. Offre poi l’opportunità a Pattinson di impersonare il ruolo di Eric, originariamente pensato per Colin Farrel, e l’attore lo ricambia con la sua migliore interpretazione.
Cosmopolis non è una pellicola facilmente digeribile, parole e pause sono pregne di significato, per questo il regista, che ha curato personalmente la sceneggiatura, ha ritenuto giusto che gli attori si attenessero in maniera maniacale ai dialoghi del copione, senza cambiare neppure una sillaba. Questo, seppur faticoso, ha permesso alle immagini di caricarsi di quel valore simbolico che, se evidente nelle pagine di DeLillo, poteva non avere la stessa immediatezza nella finzione cinematografica.
Il film è una sorta di 24 cinematografico, dove al posto dell’agente Bauer che insegue i cattivi, abbiamo il ricco Eric Packer-Pattinson, che impiega un’intera giornata per spostarsi dalla propria abitazione al barbiere di fiducia, per ‘rifare il taglio’, e invero insegue se stesso, in un susseguirsi di eventi che fanno crollare le sue sicurezze economiche e mettono a nudo un malessere sociale quanto mai attuale.
Il percorso della limousine per le vie di New York è reso tortuoso da funerali, visite presidenziali e rivolte popolari. Attraverso i dialoghi del nostro protagonista con i diversi personaggi che ospita nella macchina, una sorta di moderna agorà, c’è l’analisi del mondo contemporaneo, dell’alta finanza, della leggerezza con la quale i golden boys di Wall Street giocano con i soldi, non pensando che le loro azioni possono mandare in rovina un’intera comunità.
Si respira la crisi delle banche americane e ‘Occupy Wall Strett’, dando al romanzo di DeLillo un aurea di preveggenza.
Il pellegrinare di Eric si conclude in una sorta di confronto finale, con Benno, un Paul Giamatti in ottima forma, che regala un po’ di humour ad un epilogo decisamente drammatico.
Pattinson mostra una maturità interpretativa notevole, in una pellicola dove la macchina da presa indugia quasi costantemente sul suo volto.
Marai Grazia Bosu, ecodelcinema.com



***

COSMOPOLIS di Cronenberg è una delusione molto interessante
Delusione e molti sbadigli alla proiezione stamattina di Cosmopolis, attesissimo, uno dei film anticipatamente dati in pole position per la Palma. Difficile a questo punto che se la porti a casa. Cosmopolis è una di quelle opere ostiche e volutamente non accattivanti, non ruffiane, che non fanno concessioni, anche molto ombelicali, molto autoreferenziale. Ma perché no? David Cronenberg non ha più bisogno di dimostrare niente a nessuno e faccia pure quello che vuole, perché lui può. Qui, dopo una serie di film abbastanza mainstream in cui aveva deciso di scendere a patti assai intelligentemente con il mercato e con le regole della narrazione neopopolare (A History of Violence, A Dangerous Method ecc.), torna al cronenberghismo duro e puro, cioè al se stesso più disturbante. Tratto da Don De Lillo (ma non so quanto sia rimasto del romanzo, non avendolo letto), è un apologo fin troppo dimostrativo sul caos del nostro mondo globalizzato dominato dall’instabilità-volubilità-volatilità dei mercati e dalla rapacità, che trova nella finanza il suo strumento, la sua leva massima. Protagonista è un fighetto ventottenne che ha già accumulato con le sue speculazioni e il suo intuito una smisurata fortuna, e che vediamo in una qualsiasi giornata mentre, su una limousine che come un’astronave traversa una metropoli, vuole raggiungere il suo barbiere di fiducia. Ma è un giorno complicato a Cosmopolis, città che riassume molte megalopoli d’occidente, perché lo yuan ha deciso di impazzire creando parecchia turbativa sui mercati e all’impero del nostro Eric Pecker – così si chiama il tycoon. Intorno, fuori dalla limo-spaceship, succedono cose strane, inquietanti, ingorghi da andare fuori di testa, fuochi di ribellione. In diretta tv viene sgozzato un esponente del Fondo monetario, la visita del Presidente crea un clima militarizzato da stato d’assedio. Il metabolismo della città cortocircuita, si blocca, collassa. La limo rimane intrappolata. Il nostro telefona, soprattutto parla e parla e straparla, con lo chauffeur, con altri passeggeri che ogni tanto vengono imbarcati, o con altri personaggi durante qualche incursione a casa o in ufficio. La moglie. Un’art dealer con cui Eric fa l’amore mentre parlano di Rothko (è Juliette Binoche). Una massaggiatrice-prostituta. Ci sarà altro sesso, e sempre una violenza sottotraccia pronta ad esplodere materializzata da armi che ogni tanto appaiono e scompaiono. Dialoghi altissimi, iper letterari (scritti dallo stesso Cronenberg), con dichiarate ambizioni filosofeggianti, si parla di denaro, crisi finanziaria, avidità, sesso e quant’altro. Difficile da reggere, francamente, anche per il tono non proprio modesto che trasuda da ogni inquadratura. Estenuante. Ci sarà un omicidi gratuito, il nostro diventerà il bersaglio di un killer, ma anche lì lo scontro diventerà verbale, e altri fiumi di parole e sentenze e aforismi scorreranno. Nonostante gli insopportabli difettacci, il film – rigoroso, impeccabilmente girato, stilizzato – riesce lo stesso molto bene a comunicarci la glacialità, l’impersonalità di un universo dominato dall’avidità e dall’astratta potenza di un denaro sempre più immateriale e invisibile. Sarebbe il caso di tornare e parlare di alienazione, reificazione, vecchie categorie hegeliane-marxiane rilucidate dalla scuola di Francoforte. Ma a che pro? Cronenberg è un vecchio signore che avendo attraversato le decadi furenti dei Sixties e Seventies sa ancora imbastire una critica feroce a quello che si chiamava sistema, e riesce a farlo credibilmente. Quella sua Cosmopolis sul punto di collassare con tutti i suoi abitanti dentro – una Sodoma & Gomorra, una Babele con il collante sociale che non tiene più e lascia andare alla deriva i singoli -, a me ha richiamato certo Godard tra anni Sessanta e Settanta, quello di La cinese e soprattutto di Weekend, cui certe sequenze sembrano ispirarsi (e c’è pure qualcosa di Dillinger è morto di Marco Ferreri, se è per questo). Cronenberg, come Godard, sembra credere che ancora nel cinema la parola possa incendiare la prateria e creare un sussulto di coscienza. Difficile essere d’accordo, ma facciamo finta almeno, cosa ci costa in fondo? Onore comunque a un autore fedelissimo a se stesso che, nonostante l’abbondante noia che ci ammanisce, sa anche bene restituirci il senso di gelo e vuoto in cui tutti oggi ci ritroviamo a vorticare. E Robert Pattinson? Stavolta, per la prima volta fuori da Twilight se la cava bene. Cronenberg l’ha ben diretto, anche perché ha configurato il suo protagonista glaciale, impassibile, al limite del non-umano, robotico e già un po’ androide, su misura per lui e della sua inespressività.
Luigi Locatelli, luigilocatelli.wordpress.com



***

Una pellicola che stordisce lo spettatore in un viaggio tra atarassia, dialoghi surreali alla Lynch e cerebralismi elitari
A un anno dal freudiano A Dangerous Method, il maestro David Cronenberg torna sul grande schermo partecipando alla sessantacinquesima edizione del Festival di Cannes. La sua attenzione si è questa volta posata sul complesso romanzo Cosmopolis di Don DeLillo, che lo ha portato un’altra volta ad esplorare i meandri della mente umana ed intingerle di noir. Protagonista della pellicola, un apatico (e quindi decisamente in parte) Robert Pattinson, il quale già aveva tentato di allontanarsi dal suo avatar twilightiano con le sue performance di Come l’acqua per gli elefanti e Bel Ami.
Il suo personaggio è quello di un giovanissimo e geniale speculatore finanziario che, tra ossessioni e sociopatia, trascorre buona parte del suo tempo all’interno di una ipertecnologizzata limousine ad incontrare persone chiave della sua routine personale e lavorativa. Sullo sfondo, una New York sempre più tumultuosa, in cui il clima è tesissimo a causa di una protesta globale che potrebbe minare la vita del Presidente degli Stati Uniti e persino quella del milionario protagonista.
Se per anni la critica è stata solita accostare la carnalità di Cronenberg alla visionarietà labirintica di Lynch, Cosmopolis dà ulteriore credito a questa tesi. I dialoghi dei suoi attori, che sembrano impalpabili come fantasmi, hanno una componente surreale così marcata da farli apparire ridicoli ed inquietanti al contempo, come i conigli antropomorfi di Rabbits o gli spiriti ineffabili della Loggia Nera twinpeaksiana. Ogni analisi, ogni conversazione, ogni pensiero del film viene trasfigurato in un cerebralismo estremo che pontifica su massimi sistemi economici, politici ed umani, sopra i quali l’atarassico Eric Packer sembra scivolare, in perenne ricerca di qualunque stimolo fisico ed intellettuale che dia un senso alla propria esistenza. Le luci fredde di monitor ricoperti di grafici e cifre si alternano ai toni lividi di una città sempre più cupa e notturna, che viene oscurata anche in pieno giorno dall’interno del lungo e comodo guscio blindato dove il protagonista si sente protetto e vulnerabile insieme, in un gioco di masochistica paranoia autosabotante.
Summa di locuzione masturbatoria e nevrotica, la sequenza conclusiva con Paul Giamatti, colpevole indovinato (dal regista e dal pubblico), magistrale in tutto il suo sviluppo e, soprattutto, nel suo finale così aperto eppure senza scampo. “Tu mi stai costringendo a ragionare e non mi va”, afferma seccato Packer verso gli ultimi minuti del film. Una frase simbolica, capace di sintetizzare la reazione dello spettatore ad un film che, più che stimolarne l’attenzione, la violenta con profluvi verbali ed elitaria angoscia metropolitana.
Gianluca Grisolia, doppioschermo.it



***

C'è un romanzo strano forte che viene adattato per il cinema da un regista strano forte anche lui. Il secondo non tocca quasi nulla dei dialoghi del primo, pensando solo a riorganizzare la narrazione per il medium che usa. In più come in una cover musicale (parole dello stesso regista) non cambiando niente di parole e melodia, spazia in creatività su tutto il resto.
Il risultato è David Cronenberg's Cosmopolis, un film che racconta sostanzialmente di un miliardario che gira in una limousine progettata per essere un'alcova, in cui c'è tutto (gabinetto incluso) e che costringe chiunque lo voglia incontrare a entrarvi dentro. La storia si apre con la decisione di andarsi a tagliare i capelli dall'altra parte della città dal barbiere in cui se li faceva tagliare il padre, il viaggio che ne consegue è una lenta disgregazione del mondo fuori dalla limousine (il cui sonoro è quasi sempre otturato dai vetri spessi) e decadimento fisico del protagonista (già di suo mutilato e sempre più colpito, ferito, svestito e via dicendo).
C'è tutto il senso stesso di mutazione nelle 24 ore in cui si svolge la non-storia delirante di Cosmopolis, il mutamento cronenberghiano che diventa decadenza di una persona singola e di una società che gli sta intorno. I ratti che contagiano tutto, le rivolte, il vandalismo e ancora il funerale con bara di vetro, le donne, il sesso e infine il grande confronto. Un film che diventa postatomico senza l'atomica.
Il viaggio del protagonista verso la propria infanzia (il barbiere del padre per l'appunto) è ricostruito con un eccesso di verbosità e dialoghi al limite del metaforico spinto (forse la cosa peggiore), oltre a un percorso interiore che è odissea esteriore. Ci sono pochissimi (se non nessun) riferimento effettivo a Il posto delle fragole ma è invece presente un'implicita idea di seguire quell'idea di racconto e percorso "narrativo".
Il risultato alla fine di tutto è lo specchio del caos che lentamente pervade la società e il protagonista. Un film in cui il mood conta più dei contenuti e nel quale alla fine il senso generale di spaesamento e il passaggio tra l'economico, il sociale, l'umano e il carnale (molti i riferimenti al degrado e alle malattie biologiche) restituiscono un senso raro di decadenza, crollo e anarchia. Se Godzilla è la paura dell'atomica e della distruzione subita, Cosmopolis è la paura della crisi economica, sociale e politica occidentale (si, anche se è stato scritto nel 2003).
Insomma si tratta di un film tutt'altro che facile, tutt'altro che commerciale e forse tutt'altro che pienamente riuscito. Lo stesso però è un'esperienza che non si dimentica in fretta nè si può liquidare in due parole.
Gabriele Niola, badtaste



***

L'occhio che annulla.
L'occhio-macchina da presa di Cronenberg spia, scruta, insegue, depista, indugia, logora, si dissolve, (tra)muta, svela.
Le parole nutrono il silenzio, ergendolo a verboso creatore di una parabola ellittica lungo la quale la costante, perversa, (dis)perdente, autodistruttiva ricerca di eludere/braccare l’anomalia — di aggiustare il taglio — (s)materializza ossessioni, squarcia equilbri(smi), libera la strada.
L'annientamento ha inizio. E non può che giungere a compimento.
Il rumore bianco che avvolge il morto che (s)ragiona, Eric Packer, lo accompagna nella traversata infernale verso la pacifica sconnessione di sé; perché lo smarrimento è un luogo infetto che non si può accettare, è una (con)fusione nebulosa di armonia e contaminazioni psichiche.
E' una prostata asimmetrica, un piano infallibile che fallisce, una previsione che non prevede l’imprevisto.
La limousine sfreccia a passo d’uomo, ospita lo spettro che non dorme, inghiotte fluidi organici, eccita topi incitandoli alla contestazione. E, ossequiosamente, osserva. Donne che scopano, teorizzano, sfuggono; un medico che viola condotti rettali; giovani che giocano con i cassonetti dell’immondizia capitalistica.
Fuori il caos, forse il caso; sfregiata la carcassa elegante procede nell’impercorribile percorso catalizzatore d’incroci compositi (de)formativi e allucinanti, che rivelano a Eric Packer l’insostenibile disorientamento dell’essere, l’inconcepibile concezione dell’insensata astrazione dalla visione.
Non colmano l’insopprimibile vuoto i check up quotidiani, il sesso compulsivo che lascia odore ma non sapore né conforto, l’esercizio freddo e chirurgico del potere, i mascheramenti che celano l’angoscia e nel contempo la bramano, i lucidi momenti di follia, che esplode e subito implode, impreca, imputridisce, perché non è niente, non significa niente.
Boati belano. Una testa schizza e s’eclissa. Una mano incontra una pallottola e s’inabissa. Non sono niente.
Con la faccia impiastricciata che brevemente lo connette alla realtà e lo trasfigura in un automa che ha acquisito consapevolezza della propria identità di anima inanimata e inesistente, Packer, il miliardario, il deturpato, il liberato, può affrontare la dannazione del confessionale con l’altro sé: il reietto, ripugnante, inutile Benno Levin (un Paul Giamatti semplicemente perfetto).
Un finale che è il cuore nero, tossico, stordente dell’allegoria delilliana, alla quale Cronenberg (anche sceneggiatore) conferisce il suo sguardo scientificamente deformante e la costruzione di una tensione impareggiabile per conoscenza della materia ed abilità nello stimolare/tormentare l’intero apparato sensoriale.
Complici le musiche di Howard Shore — sottili, pungenti, nevrotiche, che s’insinuano sottopelle alterando organi, strutture, funzioni — il torbido crescendo della partitura orchestrata dal regista canadese è portentoso e inquietante (e nemmeno scalfito dalla modesta interpretazione del protagonista), che crea dipendenza e suscita sconfinata ammirazione e devozione.
M Valdemar, cinerepublic.film.tv.it



***

Un tratto breve per andare dal proprio barbiere di fiducia può diventare un tragitto tanto pericoloso quanto intimo e profondo.
Cosmopolis è un adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo uscito in libreria nel 2003 del talentuoso Don DeLillo pluripremiato scrittore statunitense. Presentato al Festival di Cannes è diretto dal regista David Cronenberg (eXistenZ, Crash, La Mosca).
Il giovane uomo d'affare Eric Packer (Robert Pattinson) sale sulla sua lussuosa limousine bianca per raggiungere il suo barbiere che si trova all'altro capo della città. Manhattan è paralizzata dalla visita del presidente degli Stati Uniti mentre diversi manifestanti invadono le strade in segno di protesta contro la società capitalista. Il clima sta per cambiare irrimediabilmente e la frustrazione della gente emerge con manifesta avversione. Il breve percorso si trasforma presto in un viaggio che grazie agli incontri ed appuntamenti che si susseguono, si trasforma in un excursus che gli permette di riflettere sulla propria vita e sul senso degli affari. Complice l'imprevedibilità del mercato ed impotente per gli avvenimenti che lo circondano sarà costretto ad assistere al crollo del suo impero e a vivere sotto la costante sensazione che qualcuno vuole la sua morte. In questo clima caotico ed eversivo il breve viaggio verso un comodo taglio di capelli diventa un'odissea dai risvolti thriller.
Un uomo realizzato e troneggiante dall'interno della sua lussuosa auto che non può davvero desiderare di più dalla vita eppure alla ricerca di nuovi stimoli che lo avvicineranno al baratro in questa parabola sapientemente riportata da Don DeLillo nel suo romanzo e descritta in questo adattamento cinematografico da Cronenberg come un affresco paradossale, suggestivo e inquietante del rapporto tra uomo e società.
La macchina da presa pennella i movimenti di Pattinson, vero punto focale del film, la fotografia deforma le sue visioni che diventano anche le nostre; le sue paure si confondono con quelle dello spettatore, così come le sue fobie che cominciano ad insinuarsi nelle nostre menti. Il tempo dilatato del romanzo coincide con quello delle carrellate, forse troppo esaustive ma certamente sprezzanti delle odierne tecniche da videoclip. Il protagonista interagisce con il tempo così come Allegra Geller in eXistenZ (1999) con la bio-porta che la collegava alla realtà vituale. E qui la bio-porta è il tempo stesso, rappreso e che Cronenberg riesce a gestire magistralmente, come da anni pareva aver dimenticato.
Probabilmente una delle migliori interpretazioni di Robert Pattinson che è affiancato dagli attori Paul Giamatti (Una notte da leoni 2, Duplicity, La versione di Barney), Samantha Morton (Minority Report, John Carter) e Juliette Binoche (Chocolat, Jet Lag, The Son of No One).
Franco Tiniferra, mauxa.com
[Modificato da |Painter| 26/05/2012 09:56]
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Cerca nel forum

Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 11:31. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com