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Intervista a Don DeLillo

Ultimo Aggiornamento: 26/04/2012 14:54
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Sesso: Maschile
26/04/2012 14:53


COSMOPOLIS
INTERVISTA A DON DELILLO



Come è nato il progetto dell'adattamento cinematografico di Cosmopolis?
Io non c'entro niente. Nel 2007, Paulo Branco mi ha invitato in Portogallo a partecipare al Festival di Estoril, coordinato da lui stesso. Gli piace avere in giuria gente non strettamente connessa con il cinema, come scrittori, pittori o musicisti. Ritrovarsi a parlar di cinema in questo modo è un'esperienza piacevole e, tra una conversazione e l'altra, mi ha raccontato del progetto di adattamento di Cosmopolis, suggeritogli da un'idea del figlio Juan Paul. Ne aveva già opzionato i diritti ed io, conoscendo il suo curriculum come produttore e l'elenco impressionante dei tanti grandi registi con cui aveva lavorato, gli ho detto di sì. Quando abbiamo sollevato la questione del possibile regista, Juan Paul ha suggerito David Cronenberg e, nel giro di poco tempo, tutto ha preso vita in maniera molto rapida.

Lei ha letto la sceneggiatura?
Si, certo. E l'ho trovata incredibilmente vicina al romanzo. Naturalmente, Cronenberg ha tagliato alcune scene che sullo schermo potrebbero non funzionare ma è rimasto fedele allo spirito del mio romanzo. Quando ho letto il copione, è stata mia precisa volontà quella di non dire nulla e di non intervenire, Cosmopolis era diventato un film di Cronenberg. È il mio romanzo ma era anche un suo film, ho trovato corretto non pregiudicare il suo lavoro.
Nel marzo scorso, poi, ho visto il film già completato a New York e sono rimasto molto colpito: è molto più di quanto avessi immaginato. Mi è piaciuto sin dall'inizio, dai titoli di testa: trovo che iniziarli con Jackson Pollock e finirli con Rothko sia un'incredibile idea. E la scena finale con Robert Pattinson e Paul Giamatti è semplicemente allucinante!

Aveva mai pensato a un possibile adattamento?
Nel corso degli anni, ci sono state molte proposte per adattare alcuni miei libri ma alla fine non si è mai concluso nulla. Pensavo poi che adattare Cosmopolis fosse un'impresa davvero difficile, dato che la maggior parte dell'azione si svolge all'interno di una macchina, poco adatta al grande schermo. Ma mi son dovuto ricredere per come Cronenberg sia riuscito a girare all'interno della limousine alcune scene che originariamente io avevo ambientato altrove. E mi riferisco in particolar modo alla sequenza con Juliette Binoche.

Per i suoi romanzi è quasi un paradosso: nonostante siano pieni zeppi di riferimenti cinematografici, sembrano impossibili da trasporre al cinema.
Ha ragione ma io non riesco a spiegarmi il perché. Ho sempre pensato che Libra o Rumore bianco potessero essere facilmente trasformati in film ma, a quanto pare, è complicato. Non so perché. In ogni caso, non aspettatevi mai che pensi io ad un adattamento o che scriva una sceneggiatura.

Il cinema nei suoi romanzi gioca sempre un ruolo di primo piano, nonostante non ci sia quasi mai nessun riferimento a un film o a un regista in particolare. Sembra che conti più l'idea del cinema in sé che i modelli o i personaggi che propone.
Ciò che più conta è la sensibilità che alcuni film hanno rispetto ad altri. Sono cresciuto nel Bronx, ero solito vedere film western, musical e gangster movie. A quei tempi, non sapevo neanche cosa fosse un noir. Poi, mi sono trasferito a Manhattan e ho scoperto Antonioni, Godard, Truffaut, i grandi registi del cinema europeo e quelli giapponesi, a partire da Kurosawa. Sono stati una rivelazione: la grandezza dei loro film per me era equiparabile a quella dei più importanti romanzi. In molti pensano che nel 1960 lasciai il mio lavoro in una società pubblicitaria per scrivere il mio primo romanzo ma non è affatto vero: smisi di lavorare per andare al cinema ogni pomeriggio. Solo successivamente ho preso in considerazione l'idea di cominciare a scrivere!

E poi ha scritto Americana, la storia di un uomo a cui capita di lasciare il suo lavoro nel settore dei media per dirigere un film...
Esattamente. Da allora, vivendo vicino a New York, ho scoperto che alcuni film non vengono distribuiti in nessun altro cinema di tutti gli Stati Uniti. Ad un certo punto della mia vita, mi sono ritrovato a vivere per tre anni in Grecia e ho dovuto rimanere a corto di cinema: molti buoni film non arrivavano fino a lì e mi sono reso conto che il cinema mi mancava. E, poi, sono sempre attento ad osservare da vicino quello che accade nel settore cinematografico e ritengo che, ultimamente, Il cavallo di Torino di Bela Tarr, The Tree of Life di Terrence Malick e Melancholia di Lars von Trier siano stati delle pietre miliari.

Nei suoi romanzi non ci sono solo i numerosi riferimenti al cinema ma c'è proprio qualcosa di cinematografico a partire dal livello della narrazione. Per esempio, l'inizio di Underworld è paragonabile ad una piccola sequenza.
Questo accade perché, quando scrivo, ho bisogno di vedere quello che sta succedendo. Anche quando si tratta di due uomini soli che parlano in una stanza, per me limitarsi a scrivere i dialoghi non è sufficiente. Devo visualizzare la scena, capire dove sono i personaggi, come si siedono, ciò che indossano e così via. Non avevo mai riflettuto molto su questa mia esigenza ma me ne sono reso conto di recente scrivendo il mio nuovo romanzo, in cui il protagonista trascorre molto tempo a visualizzare molti file video su uno schermo ampio. Non mi trovo a mio agio con la scrittura astratta, con storie che sembrano saggi: si deve vedere ciò che accade, io ho bisogno di vedere!

Lei è italoamericano. Si è mai sentito in sintonia con la generazione dei grandi registi italoamericani che sono esplosi negli anni Settanta e di cui è contemporaneo?
Mi è piaciuto molto Mean Streets. Io sono cresciuto nel Bronx e Scorsese nella Manhattan bassa, a Little Italy, ma entrambi parliamo la stessa lingua, abbiamo gli stessi accenti e ci comportiamo in maniera uguale. Inutile dire poi che mi erano familiari i ribelli e i facinorosi, come il personaggio di Robert De Niro, dato che ne ho conosciuti parecchi.
Anche se, per cercare il film con cui sono più sintonia, bisogna andare indietro nel tempo. Ero molto giovane quando ho visto Marty, vita di un timido di Delbert Mann, che si svolge nel Bronx, lo stesso quartiere in cui vivevo io. Il film era proiettato a Manhattan ed io e altri 7 ragazzi siamo saliti su una macchina per andare a vederlo. La sequenza iniziale aveva luogo ad Arthur Avenue: la mia strada! Riconoscere in un film angoli e negozi che appartenevano alla mia realtà è stata un'esperienza incredibile. Mai avrei allora pensato che qualcuno potesse fare un film in quella zona.

Come ha reagito quando ha saputo che David Cronenberg si sarebbe occupato dell'adattamento del suo romanzo?
Mi ha fatto piacere. Mi mancano alcuni dei suoi primi film ma da Inseparabili in poi li ho visti tutti. Sono particolarmente affascinato da Crash, eXistenZ e, naturalmente, A History of Violence. Quando ho saputo che avrebbe preso in mano Cosmopolis, mi son chiesto se fosse il tipo di materiale su cui era solito lavorare e ho pensato che forse per lui era un'occasione per affrontare qualcosa di nuovo. Comunque, ero sicuro che avrebbe potuto rendere al meglio l'impatto visivo del romanzo e che avrebbe sorpreso tutti, me compreso. Non avevo idea di come ci sarebbe riuscito ma sapevo che niente sarebbe stato convenzionale.

Ha mai visto la sua versione de Il Pasto Nudo?
Si ed è impressionante! Esattamente il genere di sorpresa che mi auguravo anche per Cosmopolis.

Quando ha incontrato Cronenberg?
Anche lui era ad Estoril e ci siamo conosciuti in quell'occasione. Ma, contrariamente a quanto si crede, in seguito non abbiamo parlato molto dell'adattamento, ho preferito rimanere fuori dal progetto. Abbiamo parlato un po' solo del fatto che sarebbe stato girato prevalentemente a Toronto e del protagonista ma l'attore che avevamo in mente non poteva prender parte al film. Quando ho saputo che Paulo aveva scelto Robert Pattinson, ho pensato che la mia nipote quattordicenne mi avrebbe finalmente guardato con occhi diversi.

Ha visitato il set?
No. Mi è stato proposto ma non l'ho ritenuto indispensabile. Sono stato diverse volte sui set cinematografici e li trovo noiosi. Si passa la maggior parte del tempo ad aspettare.

Parlando di set, non la preoccupa che la maggior parte delle riprese non si siano svolte a New York, dato che la città è così importante nel suo romanzo?
Ciò che conta è quello che accade all'interno della limousine. Si tratta di un mondo a sé, con diverse intrusioni di vario genere, visitatori e una folla inferocita. Questo è quello che conta. Inoltre, le riprese effettuate altrove e non a New York danno al film una connotazione più generale, restituendo l'idea che quanto accade possa succedere in qualsiasi altra grande metropoli contemporanea.

Il libro è stato pubblicato nel 2003. Il film esce nel 2012. Non ha paura che quest'intervallo di tempo possa rappresentare un problema per la sua comprensione o lo faccia apparire antiquato?
No. Quando stavano per essere ultimate le riprese, c'è stata la nascita del movimento Occupy Wall Street e colpisce la coincidenza, dato che è collegabile anche a quello di cui si parla nel film. Vija Kinski, nel film, spiega a Packer, il suo capo, che i manifestanti sono strettamente connessi alle azioni di Wall Street e del capitalismo e contribuiscono ad aggiornare e regolare il sistema. In un certo modo, aiutano Wall Street a ridefinirsi in un nuovo contesto e in un mondo più grande. A mio parere, questo è anche quello che sta accadendo con Occupy Wall Street: non ha cambiato niente, non ha ridotto i bonus astronomici rastrellati dai dirigenti aziendali ma ha permesso loro di studiare soluzioni alternative alla protesta.

Quale è stata la sua reazione quando per la prima volta ha visto il film? Ha trovato elementi che non erano presenti nel suo romanzo?
Sono rimasto basito. Ci sono momenti anche divertenti e sono rimasto impressionato da tutto il finale che porta il film su un altro livello. Quello che accade tra Packer e Benno Levin è segnato dal rispetto reciproco, presente nel libro ma ancora più palpabile nel lavoro di Cronenberg. Ha fatto bene David a tagliare i due interventi di Benno precedenti all'incontro, avevano senso nel romanzo ma non nel film.

I dialoghi sono quasi tutti suoi. Cosa si prova nel sentirli sullo schermo?
È la cosa più strana! Sono parole mie ma assumono un'altra vita. Ho scritto io ad esempio la conversazine sull'arte che hanno Packer e il personaggio interpretato da Juliette Binoche ma in qualche modo per me è stato come scoprirla (e comprenderla) per la prima volta.

Uno degli aspetti più importanti del libro è il modo in cui le cose — e le parole usate per riferirsi ad esse — diventano obsolete e vengono abbandonato dopo un processo di obsolescenza accelerata. Packer si chiede in continuazione "questa cosa esiste ancora?", "che parola possiamo usare per questo?"...
Vero. Nel romanzo, Packer ha una particolare percezione del tempo che lo proietta in avanti e vede ciò che succederà dopo. Questo aspetto nel film è scomparso. Avevo prestato molta attenzione al tempo e al modo in cui la nostra percezione temporale viene alterata e modellata dai soldi. Si dice che "il tempo è denaro" ma nel contesto di Cosmopolis "il denaro è tempo".

Quest'idea c'è anche nel film, è solo trattata in modi diversi.
Il suo nome appare anche nei titoli di coda, per via di una canzone contenuta nel film.
Si, l'ho notato. È per via dei testi che ho scritto nel libro per il rapper Sufi e che sono stati usati anche nel film. Questo segna l'inizio di una nuova carriera per me... come paroliere rap! Non potrei esserne più fiero.
A cura di cosmopolisitaliailfilm.blogspot.it
(Fonte originale cinerepublic.film.tv.it)
[Modificato da |Painter| 26/04/2012 14:54]
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